Educazione, ci salverà la scuola parentale
I dati sulla scuola italiana sono drammatici: un adolescente su 3 è analfabeta funzionale e l'abbandono delle scuole superiori è a livelli allarmanti. Ma le risposte che arrivano dagli "esperti", che puntano quasi esclusivamente sulla tecnologia, possono solo peggiorare la situazione. Perché per educare ci vuole ben altro e nel futuro, solo le scuole parentali saranno in grado di rispondere.
Scuola tutta da rifare “Analfabeta funzionale un adolescente su tre”, così titolava il 3 settembre la Stampa di Torino l’articolo scritto da Maria Berlinguer. Se la premessa pare apocalittica, il contenuto non è da meno, anche se in realtà la sfida lanciata dalla rivista Tuttoscuola, cui l’articolo si ispira, è quella di trasformare la crisi in una opportunità di crescita: «Tra dieci anni saranno un milione e trecentomila gli studenti che diserteranno l’appello del primo giorno di scuola. Il trend demografico parla chiaro. In due lustri il turnover riguarderà il 40% degli insegnanti, che ancora incidono per il 90% sul bilancio del Miur. Un’occasione d’oro per cambiare il volto del sistema formativo a parità di spesa…».
I dati parlano chiaro, e confermano comunque la percezione di uno stato di disfacimento che è avvertito anche da chi non li conosce: il 39% degli italiani nella fascia tra i 25 e i 64 anni non ha un titolo di studio superiore alla terza media. Il 30% è analfabeta funzionale, il doppio rispetto alla media europea (15%). Un analfabeta funzionale è più incline a credere a tutto ciò che legge in maniera acritica, visto che, come certifica Piaac-Ocse (Programme for the International Assessment of Adult Competencies), non riesce a comprendere quello che legge.
I dati Invalsi di quest’anno ci dicono che il 35% degli alunni non è in grado di comprendere un testo in italiano, con un picco del 50% in Calabria. Dati ancora peggiori per l’inglese e la matematica dove le percentuali della non comprensione variano geograficamente dal 32% del Nord al 56% di Sud e isole. Negli ultimi vent’anni 3 milioni e mezzo di studenti su 11 hanno lasciato la scuola secondaria superiore. Un’emorragia che è costata cara anche in termini economici. In ogni caso la spesa per l’istruzione è scesa dal 5,5% del Pil del 1990 al 3,9 del 2016, la media Ue è del 4,7. A questi dati si aggiungono quelli relativi agli episodi di bullismo in costante crescita, al discredito sociale (ed economico) cui sono sottoposti gli insegnanti, spesso vittime anch’essi di violenza da parte di alunni e genitori (!), alla diffusa e profonda demotivazione della maggior parte degli alunni, anche di quelli che tutto sommato “vanno bene”.
La scuola è tutta da rifare, è vero. Il problema è che la cura proposta, anziché risanare l’organismo, finirebbe per aggravare ulteriormente la malattia sino ad uccidere il paziente. Il ragionamento portato avanti è questo: secondo le proiezioni Eurostat, rielaborate dalla Fondazione Agnelli, fatto 100 il numero di studenti italiani tra i 6 e i 16 anni del 2015, nel 2030 scenderanno a 85. Dunque, ipotizzando di mantenere costante la spesa per l’istruzione, «si può immaginare di rivoluzionare il sistema scolastico che, al di là delle riforme, è ancorato a un modello del secolo scorso».
Rivoluzionarlo in che senso? È presto detto: «Tutti sono concordi nel sostenere che il cervello si sviluppa nei primi 5 anni di età. Dunque il calo dei bimbi può trasformare in tempo pieno quel 10% di classi antimeridiane. O magari portare nelle periferie i futuri insegnanti. La globalizzazione delle economie e delle tecnologie comporterà la globalizzazione dei sistemi informativi. L’Italia è pronta a questa rivoluzione?». E allora vai con robotica e nuove tecnologie a go-go!
Non si capisce, o non si vuole ammettere, che la malattia da cui è afflitto il nostro sistema di istruzione si chiama statalismo, e che la crisi profondissima che attanaglia la scuola altro non è che il riflesso della crisi dell’intera società, infarcita di vuoti slogan e ancorata, a dispetto di ogni evidenza, all’idea delle “magnifiche sorti e progressive”, in una generale glorificazione del progresso e di parole d’ordine ad esso legate, come soluzione di tutti i problemi nonché portatore di insperata e universale felicità. Robotica e tecnologia, appunto, ma non solo…
Da questo punto di vista, pare inevitabile che ne segua le sorti, andando incontro ad un irreversibile declino. Questa scuola statalista, sindacalizzata, smarrita nei meandri della burocrazia, infarcita di slogan e incombenze che nulla hanno a che fare con una vera e integrale crescita della persona, è da rifare, ma prima deve finire di implodere, deve esaurire il proprio ciclo di autodistruzione.
Può sembrare un discorso fantascientifico o quantomeno esagerato, ma in un mondo come il nostro, molto simile a quello che vide la fine dell'Impero Romano con l'arrivo dei barbari, il futuro della scuola, analogamente al futuro di questa società, si chiama scuola parentale, che insieme all'homeschooling rappresenta la scelta di una famiglia, o di un gruppo di famiglie, di provvedere autonomamente all’istruzione dei propri figli (l’insegnamento può essere impartito anche dagli stessi genitori, oppure da educatori privati. La possibilità di educare i propri figli a casa o in una scuola parentale è garantita dalla Costituzione).
Non scuola paritaria, perché questa è tale proprio perché legata a doppio filo alla statale, dovendone in qualche misura – purtroppo crescente - replicare modelli e funzionamento. Quando la scuola statale avrà esaurito il proprio ciclo, si potrà contare solo (o quasi) su una scuola totalmente libera, realizzata da singole famiglie o piccole aggregazioni di esse, appassionate alla cura e alla educazione dei propri figli, desiderose di trasmettere loro le conoscenze e le esperienze che la storia dell’umanità ci ha consegnato, per ritrovare le proprie origini, radici e identità.
Esistono già esperienze così, ma sono residuali e spesso guardate con sospetto, perché nella smania di iper-regolamentare tutto che attanaglia la nostra società, sembrano sfuggire al controllo e non garantire quei parametri di formazione che servono allo sviluppo dell’economia.
Si tratta, mi rendo conto, di uno scenario estremo, ma molti segnali sembrano confermare che questa è la direzione verso cui siamo incamminati. Uno scenario drammatico e sicuramente non indolore, ma è questo il prezzo da pagare per una umanità che pare aver perso la bussola, il senno, e con esso la capacità e il desiderio di educare.