Se Repubblica si inventa il reato di omofobia
In uno dei soliti articoli di attacco alla Lega, sul quotidiano Repubblica troviamo scritto, tra l'altro, che il senatore Pillon è stato condannato per il reato di omofobia. Che però non esiste. In realtà Pillon è stato condannato per diffamazione, ma intanto si abitua l'opinione pubblica al fatto che esista l'omofobia.
Per tristi doveri professionali apri Repubblica, non quella di Platone (copyright Mario Palmaro), del 31 maggio scorso, sfogli e trovi dopo quattro pagine questo titolone a tutta pagina “La Lega fuorilegge. Dai soldi all’omofobia, le 38 inchieste aperte”. E nel tempo di un “Amen” ti vengono in mente in ordine sparso i seguenti pensieri: 9,1 milioni di italiani hanno votato volutamente o senza saperlo non per un partito politico ma per un’organizzazione malavitosa; Repubblica non si è accorta che la campagna elettorale è finita e le urne sono state chiuse da una settimana; Repubblica si prepara alle prossime elezioni; Repubblica non ha capito, come molti, che le critiche al Capitano Salvini sono come la pozione magica per Asterix o gli spinaci per Braccio di Ferro; una inchiesta aperta non significa un processo chiuso con condanna; la sinistra pensa ancora che le inchieste giudiziarie possano strappare alte grida di sdegno all’elettorato (in realtà ci riescono solo con i loro), quando invece strappano solo sbadigli perché alla fine, come nella pubblicità, bisogna pur rinnovarsi nelle modalità di attacco al nemico; chissà quante inchieste aperte ci sono a carico degli esponenti del Pd; lo stupore dei repubblichini di fronte alle magagne leghiste è proprio di coloro che ignorano cosa sia il peccato originale che, malvagità sua, tocca tutti gli uomini e quindi è trasversale; il moralismo attribuisce la responsabilità dei singoli presunti delinquenti al partito stesso o ai suoi vertici e, così ragionando, il cristianesimo dovrebbe essere considerata una religione nefasta e Gesù un malfattore perché tra i primi dodici c’era un ladro di nome Giuda.
Poi leggi l’articolo di Corrado Zunino e i pensieri si sommano, anzi si moltiplicano fino a quando l’occhio s’imbatte in questa frasetta: “Il senatore Simone Pillon è stato condannato a Perugia per omofobia”. E lì i pensieri si arrestano (pure loro possono subire un arresto) per sensi di colpa. Ti viene infatti da pensare che sei proprio distratto: ti è sfuggita la notizia che l’omofobia è reato e che il senatore Pillon è stato condannato per questo reato. Cerchi subito in rete nei siti specializzati qualche conferma, ma nulla. Poi ti ricordi che stai leggendo Repubblica che a volte, ma solo a volte, non ha proprio il rigore argomentativo dell’opera omonima dell’ateniese di cui sopra.
Allora pensi che presso la sede del giornale di via Cristoforo Colombo a Roma, amino essere creativi. Pillon è stato infatti condannato per diffamazione in un processo che vedeva come parti lese l’associazione gay Omphalos e il responsabile del gruppo giovani Mauro Monni, ma nelle mani del giornalista il reato di diffamazione si è trasformato, come un barbapapà, nel reato inesistente di omofobia. Eppure la stessa Repubblica l’11 e il 12 aprile scorso, dando notizia della conclusione del processo, scrisse che si trattava di diffamazione e non di omofobia.
Ma si vede che i repubblichini hanno fretta di tirar fuori dal cassetto il famigerato ddl Scafarotto sull’omofobia. Oppure è la solita strategia: inizia a dire che esiste il reato di omofobia, la gente ci crederà e poi i parlamentari si dovranno adeguare a questa percezione collettiva.
C’è però da aggiungere che il giornale diretto da Carlo Verdelli ci ha aperto una finestra consolante sui nostri piccoli o grandi drammi quotidiani. Pensate quanto potrebbe essere confortante e catartico (“catartico” è a beneficio dei lettori di Rep che sono colti) inventarsi dei reati a proprio uso e consumo: maltrattamento del buonsenso per chi non riconosce l’ovvio; uso cafone di giornali e Tv; pornografia ideologica quando oltre ad offendere l’etica comune si offende anche l’estetica; turbativa d’animo che fa scattare le manette per coloro che vogliono imbrattare le pareti delle coscienze altrui; prostituzione culturale allorché ci si vende al potente di turno, reato che va a braccetto con l’adescamento culturale; immissioni orali sopra la norma se Tizio dà fiato alla bocca a sproposito; incoerenza dottrinale se, ad esempio, ti dici cattolico e sei a favore dell’aborto; riduzione in schiavitù del politicamente corretto, reato che si spiega da sé così come abbandono di elettore nei partiti progressisti, discorsi scemi in luogo pubblico, guida del Paese in stato di ebbrezza da utopie, vilipendio della verità, uso improprio di sinapsi, oltraggio al nome di Lapalisse, smercio e uso di idee stupido-facenti (non è previsto un quantitativo minimo per uso personale), coltivazione di stereotipi e spaccio di luoghi comuni, istigazione all’omologazione, strage dei principi non negoziabili, occupazione abusiva della fiducia popolare, naufragio della speranza collettiva, vandalismo cerebrale, fino ad arrivare a reati bagatellari, ma che ti possono cambiare l’umore della giornata, come la juventusfobia, che prevedono ammende salate per i tifosi delle squadre avverse.
Comunque sia ad oggi il delitto o il crimine di omofobia non esiste né nel codice né nelle leggi penali, bensì esiste solo nelle pagine del nuovo codice penale di Repubblica in vendita a fascicoli ogni giorno in edicola. E dunque, per fortuna, viviamo ancora nella Repubblica italiana e non nella Repubblica di Scalfari.