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Sottomissione

Se oggi è lo Stato che fa la Chiesa

C’era un tempo in cui la Chiesa indicava il bene comune e si opponeva allo Stato accentratore che pensava di imporre una propria etica. Ora la Chiesa italiana ha accettato di fatto, e sempre più anche di diritto, che sia lo Stato a determinare (vedi i Dpcm) cosa sia il bene comune. Il caso della Messa di mezzanotte è solo la punta dell’iceberg di una Chiesa che non fa più la Chiesa.

Ecclesia 01_12_2020

Riccardo Cascioli ha toccato il punto della questione della Messa di mezzanotte, quando ha spiegato che il problema è chi decide e perché. La Chiesa ha già deciso che decide lo Stato e si sottomette. Vale la pena di analizzare cosa stia dietro a questa presa di posizione, perché le prese di posizione nascono sempre da lontano e sono l’effetto di processi culturali lungamente depositati.

La Chiesa ha sempre pensato a due cose circa lo Stato: che lo Stato moderno accentrato e accentrante in sé tutta la vita sociale non sia il vero Stato; che in ogni caso lo Stato non sia l’ultima istanza a decidere cosa sia il bene comune. La Chiesa non può abbandonare queste due posizioni se non cambiando la sua visione delle cose. Di fatto però le ha abbandonate e questo abbandono spiega la sua sottomissione allo Stato circa la Messa di mezzanotte e, naturalmente, molto altro ancora.

Ci fu un tempo in cui la Chiesa si opponeva allo Stato quando quest’ultimo pensava di avere il monopolio del bene comune e che per realizzarlo esso fosse autorizzato a piegare a se stesso ogni altra realtà sociale, culturale, religiosa, comunitaria e frutto della storia. L’autorità politica – che non coincide con lo Stato moderno – ha per scopo il bene comune temporale (ossia qui su questa terra, nel mondo o secolo che dir si voglia). Ma essa non è autosufficiente a determinare cosa sia il bene comune, perché per farlo la politica deve rivolgersi dapprima all’etica e da ultimo alla religione vera, ossia alla Chiesa cattolica. La politica lavora per il bene comune ma, da sola, non sa cosa esso sia veramente. Quando l’autorità politica assumeva il volto dello Stato autosufficiente, capace da solo di determinare e attuare il bene comune, la Chiesa protestava e lottava, in vista sia della propria libertà sia della vera libertà di tutti.

Davanti al problema Coronavirus lo Stato non ha applicato un concetto di bene comune garantitogli dalla Chiesa, ma lo ha formulato esso stesso e, anzi, è stata la Chiesa ad adeguarsi al concetto di bene comune imposto dallo Stato. Intendiamoci, non è che la Chiesa dovesse mettersi a fare tamponi o altro, la Chiesa deve fare la Chiesa. Ma nemmeno può accettare che lo Stato faccia coincidere il bene comune con i suoi Dpcm. Quando lo fa dà prova di una sua autosufficienza nel campo del bene comune che la Chiesa non può accettare e che apre le strade a forme dittatoriali. Se lo accetta, la Chiesa perde ogni titolo per vantare un ruolo pubblico e, quindi, lo Stato fa bene a decidere l’ora della Messa di Natale. La Chiesa glielo concede ancora prima che esso lo faccia.  

Il punto è allora questo. Siccome la Chiesa ha ormai accettato di fatto, e sempre più anche di diritto, che sia lo Stato a determinare il bene comune, ecco che essa si concepisce come un’agenzia sociale che dà il proprio contributo al raggiungimento del bene comune deciso dallo Stato. Anzi, in questo essa si sente vocata a dare il buon esempio e quindi non solo accetta tutte le imposizioni senza protestare, ma anche le inasprisce di propria volontà. Quando la Chiesa dimentica di fare la Chiesa nello spazio pubblico, finisce per essere più statalista dello Stato. La Chiesa italiana non solo accetterà le disposizioni assurde sulla Messa di Natale, ma anche ne sarà felice, convinta che in questo modo i cattolici potranno contribuire al bene comune. La Chiesa ha perso l’idea che per contribuire al bene comune essa lo deve fare come Chiesa e non come Chiesa di Stato.

Certo, stupisce che la Chiesa sia felice di non fare più la Chiesa in pubblico. Ossia che abdichi con convinzione. Stupisce che per sapere cosa sia il bene comune essa si debba rivolgere al ministro Boccia, oppure alla Commissione europea o all’Onu e ne assuma linguaggio e contenuti. E siccome la cosa è stupefacente, deve essere frutto di qualche lunga incubazione culturale che ha cambiato in profondità il pensare della Chiesa e dei cattolici senza che se ne accorgessero.

Oggi, spesso, il cattolico è contento e appagato quando non deve più scontrarsi col mondo, ma può fare quello che fanno tutti con il sorriso sulle labbra; egli desidera essere approvato dal mondo e non dare l’impressione di avere qualcosa a parte da dire, soprattutto quando si tratta di condannare alcuni comportamenti. Le mascherine, le distanze, la temperatura misurata sulla porta della chiesa, il divieto di inginocchiarsi, l’Eucarestia sulla mano, la limitazione delle presenze, la chiusura delle chiese, la sospensione e il rinvio dei sacramenti e ora l’anticipo della Messa di mezzanotte per decreto ministeriale… gli hanno dato finalmente l’occasione per credere di essere come tutti gli altri, per sentirsi a casa sua nel mondo, per non essere considerato di un’altra pasta. Tutto ciò lo convince che “andrà tutto bene”, che si collabora tutti per uno scopo solidale, che finalmente ha preso piede lo stile del Buon samaritano, che la Chiesa non è di pochi ma di molti o di tutti, perché fa qualcosa che fanno molti o tutti.

Scriveva Karl Rahner quasi cinquant’anni fa: “Ovunque si svolge una storia individuale e collettiva dell’umanità, là si dipana non solo una storia della salvezza, bensì anche una storia della rivelazione nel senso vero e proprio del termine”. Ciò vale anche per il Covid. Per questo la Chiesa non solo si adegua ma è anche contenta di farlo. Per questo il ministro Boccia stabilisce l’ora della “nascita di Gesù” e, come ha fatto ieri su Avvenire, anche il vero senso evangelico del sabato che non è per la legge ma per l’uomo. Se la Chiesa non fa la Chiesa in pubblico, finisce non solo che diventa più statale dello Stato, ma che lo Stato ci pensa lui a fare la Chiesa.