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LA POLEMICA

Messa di Natale, il problema è chi decide l'orario

L'orario non è un problema, l'importante è avere la Messa, ci dicono alcuni lettori. Ma quello che noi diciamo è che il problema non è l'orario in sé, ma chi lo decide, e perché. E tacere o assecondare il dispotismo dello Stato è una pessima idea. 

Editoriali 29_11_2020

Vogliamo davvero metterci a fare una polemica sull’orario della Messa di Natale? Così alcuni lettori ci scrivono dopo i servizi pubblicati ieri (qui e qui) sulla questione del coprifuoco alle 22 anche per la notte di Natale, con relativo anticipo forzato delle veglie. Ci fa notare ad esempio un prete che anche Giovanni Paolo II e Benedetto XVI avevano anticipato la classica messa di mezzanotte, e per motivi pastorali tanti preti già lo fanno da molti anni. L’importante è poter celebrare la messa con il popolo, continua il nostro amico: «Oltretutto, prima della Riforma liturgica ultima, il sacerdote celebrava  di seguito, senza interruzione, le tre Messe di Natale, a prescindere dall’orario. Nel Messale di Paolo VI si raccomanda di distinguere le tre celebrazioni e di farle coincidere il più possibile con l’indicazione temporale, ma non c’è un’indicazione stringente di un orario».

Tutto vero, ma chi pone queste obiezioni a quanto abbiamo scritto, credo non abbia compreso il punto centrale della questione: il problema non è l’orario della messa in sé, ma chi lo decide. E perché.

Da una parte, il dibattito che si è creato ci ha spinto a riprendere il perché della Messa di mezzanotte a Natale, riscoprendone le origini storiche e bibliche, cosa ormai che anche molti pastori ignorano. Quindi l’orario non è proprio indifferente.
È vero però che legittimamente molti parroci  per motivi pastorali già da tempo anticipano l’orario della veglia: sia perché devono coprire più parrocchie, sia per facilitare la presenza di persone anziane e famiglie con bambini. Ma in questi casi sono appunto i sacerdoti o i vescovi a decidere esercitando il proprio legittimo potere. Con una piccola chiosa: il vice-presidente della CEI, monsignor Antonino Raspanti, in una intervista alla Stampa ha ribadito la stessa noncuranza del coprifuoco affermando che tanto già i Papi e tanti preti lo anticipavano già prima: «chi alle 22, chi alle 21.30, chi alle 21». Giusto, ma tutti costoro sarebbero già in violazione del coprifuoco; per starci dentro è richiesto un ben altro anticipo dell’ora. Quindi la novità c’è, eccome.

In ogni caso è un’altra cosa, ed è inaccettabile, se a decidere l’orario della messa è lo Stato; a maggior ragione se il motivo è assurdo. Dovrebbe indignare sentire un qualsiasi membro del governo liquidare la faccenda con battute sull’ora di nascita di Gesù. Si dirà che sono sottigliezze, che alla fine l’importante è che si possa andare a Messa, qualsiasi sia l’ora.

Noi invece crediamo proprio di no: c’è in ballo la libertà religiosa, anzi meglio: la libertà della Chiesa. Libertà che non è il diritto di fare ciò che si vuole in nome della religione. Ma riconoscere anzitutto la dignità della persona umana che trascende la pura materialità e quale, dice la Dignitatis humanae, «l’hanno fatta conoscere la parola di Dio rivelata e la stessa ragione». Come ha detto il vescovo Massimo Camisasca (lo abbiamo riportato ieri) «la fede, mai come in questo tempo, è un fatto sociale. In questo tempo abbiamo bisogno di speranza e la fede per molta parte del nostro popolo alimenta la speranza, dona le energie per combattere, sostiene nei momenti difficili».

Allo Stato è chiesto di riconoscere questa realtà. E riconoscere che la Chiesa cattolica ha per questo un ruolo fondamentale che lo Stato deve garantire. Dice il Concordato, recepito dall’articolo 7 della Costituzione, che «la Repubblica italiana riconosce alla Chiesa cattolica la piena libertà di svolgere la sua missione pastorale, educativa e caritativa, di evangelizzazione e di santificazione. In particolare è assicurata alla Chiesa la libertà di organizzazione, di pubblico esercizio del culto, di esercizio del magistero e del ministero spirituale nonché della giurisdizione in materia ecclesiastica» (art. 2).

Come abbiamo più volte rilevato, purtroppo la Chiesa italiana ha rinunciato al suo ruolo già lo scorso febbraio, lasciando allo Stato il potere di decidere come esercitare il culto, in nome di una concezione distorta di bene comune. Questo peccato originale lo paghiamo anche oggi e lo pagheremo ancor più caro in futuro se non ci si sveglia. “L’importante è che ci lascino andare a messa” è un minimalismo comprensibile dopo mesi passati in bilico, ma evita di affrontare il nodo cruciale e apre le porte a un progressivo e sistematico restringimento della libertà della Chiesa.

Questo per quanto riguarda chi deve decidere l’orario delle messe. Ma c’è anche il perché.
Il problema sarebbero le norme per evitare il contagio del virus e quindi la Chiesa, per tutelare la salute delle persone, si dovrebbe attenere alle norme generali senza chiedere deroghe.  Al proposito però si deve dire che già è assurdo il coprifuoco alle 22, quando tutti i locali sono chiusi. Dove vuoi che si assembrino le persone, oltretutto in inverno? Ma è ancora più assurdo, in nome di questa norma irrazionale, proibire che le messe vadano oltre le 22.

Se davvero il problema fosse il rischio di assembramento, paradossalmente il governo dovrebbe obbligare la messa a mezzanotte e oltre: il motivo per cui già tanti parroci la anticipano è proprio per favorire una maggiore presenza, per cui ritardare la Messa sarebbe la garanzia di avere meno persone in giro e quindi meno rischi di contagio. Se davvero il problema fosse il rischio di contagio provocato dagli assembramenti non sarebbero consentite manifestazioni come quelle di Napoli per Maradona o di Roma per l’apertura di un centro commerciale.

C’è un evidente contrasto tra le clamorose violazioni delle regole che le autorità accettano senza colpo ferire, e la rigorosità esercitata nei confronti dei cattolici che vanno a messa. Un contrasto che rende tutte la vicenda Covid più vicina alla farsa che al dramma.

Nel caso che stiamo trattando evidentemente il problema non è il bene comune, ma ancora una volta è la volontà del governo di affermare il suo dispotismo nei confronti della Chiesa. Tacere o accontentarsi di un guinzaglio un po’ più lungo è una pessima idea.