Sciopero per la Flotilla, l'Italia in ostaggio dei pro-Pal
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Una mobilitazione generale col pretesto di denunciare la violazione dei diritti umani accusando il governo di passività. Bloccare trasporti, scuole, sanità e servizi non porterà nessun aiuto a Gaza, il vero obiettivo è paralizzare il Paese.
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Oggi l’Italia si fermerà per effetto dello sciopero generale proclamato da CGIL e USB in risposta al blocco della Global Sumud Flotilla, intercettata dalla marina israeliana in acque internazionali mentre cercava di portare aiuti umanitari a Gaza. Una vicenda che ha suscitato reazioni in molte città italiane, con manifestazioni, presìdi nei porti, cortei spontanei e anche scontri con le forze dell’ordine, culminati nelle proteste che si sono verificate a partire da mercoledì sera in alcune città, con momenti di tensione tra manifestanti e polizia.
Lo sciopero odierno coinvolgerà tutti i settori, pubblici e privati, con l’obiettivo dichiarato di denunciare l’attacco ai diritti umani e la passività del governo italiano, accusato di non aver difeso i propri cittadini a bordo della Flotilla. Saranno a rischio trasporti ferroviari, metropolitane, trasporto aereo e marittimo, scuole, sanità e servizi pubblici locali. I sindacati hanno garantito il rispetto delle prestazioni minime essenziali, ma i disagi per i cittadini si preannunciano significativi. La giornata di oggi sarà quindi caratterizzata da un blocco pressoché totale, che solleva non solo questioni politiche e umanitarie, ma anche interrogativi di ordine istituzionale e normativo.
In questo clima acceso è esploso un duro scontro tra la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il segretario generale della CGIL Maurizio Landini. Da Copenaghen, dove si trovava per un vertice europeo, Meloni ha criticato con durezza la mobilitazione, definendola “un pretesto” e affermando che “il weekend lungo e la rivoluzione non stanno insieme”, riferendosi al fatto che lo sciopero cade di venerdì, come gran parte degli scioperi degli ultimi anni. Secondo la premier, la protesta non solo non aiuterà concretamente la causa palestinese, ma provocherà forti disagi agli italiani. La Meloni ha ribadito che l’Italia è già tra i principali Paesi donatori di aiuti umanitari a Gaza e ha attaccato la legittimità politica dello sciopero, accusando i sindacati di usare strumentalmente una vicenda internazionale per fini ideologici interni.
La replica di Landini non si è fatta attendere: il leader della CGIL ha definito “un’offesa” paragonare lo sciopero a un weekend lungo, accusando la premier di “mancanza di rispetto verso i lavoratori e verso chi contribuisce con le tasse”. Landini ha ribadito che lo sciopero è un diritto costituzionale, una forma di democrazia e uno strumento di pressione sociale soprattutto quando le istituzioni non rispondono alle istanze popolari. Ha difeso la legittimità dell’agitazione sottolineando che la protesta non è un capriccio ideologico, ma nasce dalla necessità di reagire a una grave violazione del diritto internazionale e dalla richiesta che il governo italiano agisca per difendere i suoi cittadini coinvolti nella Flotilla.
Il botta e risposta tra Meloni e Landini riflette una tensione crescente tra il governo e il sindacato, e riapre il dibattito su una questione mai veramente risolta: quella della legge che disciplina il diritto di sciopero in Italia. Attualmente il riferimento normativo è la legge 146 del 1990, modificata e integrata dalla legge 83 del 2000, che regola le astensioni dal lavoro nei servizi pubblici essenziali. Ma dopo 35 anni quella legge mostra tutti i suoi limiti, appare inadeguata a bilanciare il diritto di sciopero con altri diritti fondamentali come quelli alla mobilità, alla salute, all’istruzione, e non offre strumenti chiari per intervenire quando le motivazioni alla base dello sciopero esulano da rivendicazioni strettamente sindacali o contrattuali.
La vicenda della Flotilla è un esempio eloquente da questo punto di vista: si tratta di una questione di politica internazionale, che tuttavia impatta sui servizi nazionali e sulla vita quotidiana di milioni di italiani. La legge attuale non stabilisce in modo chiaro se e come questi temi possano giustificare uno sciopero generale, lasciando ampio margine all’interpretazione soggettiva delle Commissioni di garanzia e alle strumentalizzazioni politiche del conflitto sociale. Serve dunque una riforma seria e organica del diritto di sciopero, non per limitarlo ma per aggiornarlo, per renderlo più coerente con i tempi, per fissare regole certe su preavvisi, adesioni, motivazioni legittime e garanzie per i cittadini.
Non è più accettabile che ogni sciopero generale diventi motivo di paralisi del Paese e che milioni di persone subiscano le conseguenze di decisioni assunte da una minoranza sindacale senza un confronto trasparente. Il diritto di sciopero va tutelato, ma deve essere esercitato con responsabilità, nel rispetto degli altri diritti collettivi e individuali. La giornata di oggi sarà un banco di prova per il Paese non solo sul piano della solidarietà internazionale, ma anche su quello della maturità democratica e della capacità di riformare strumenti vecchi di trent’anni per adattarli a una società che è profondamente cambiata.
Se lo sciopero riuscirà a bloccare l’Italia, come sembra probabile, sarà anche il momento per la politica di domandarsi quanto ancora si possa andare avanti senza mettere mano a una nuova legge capace di regolare i conflitti sociali del presente, bilanciando libertà e responsabilità di tutti.