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EMILIA ROMAGNA

Scalfarotto 2.0, approvata nella notte la legge bavaglio

Il parlamento regionale, poco dopo le 3:30 della notte tra venerdì e sabato, ha approvato la legge contro la cosiddetta «omotransnegatività», a cui intanto è stato cambiato il titolo. No da Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia, che avevano presentato gran parte degli emendamenti (1.787), sì da Pd, SI, 5 Stelle e Gruppo misto. Una legge ideologica, che con il pretesto della lotta alle “discriminazioni” prevede corsie preferenziali per le persone Lgbt nel mondo del lavoro e dello sport, la diffusione della teoria del gender nelle scuole e il controllo dei contenuti diffusi dai media. Il tutto nella regione di Bibbiano e dello scandalo affidi.

Vita e bioetica 27_07_2019

Poco dopo le 3:30 della notte appena trascorsa, quella tra venerdì 26 e sabato 27 luglio, il parlamento regionale dell’Emila Romagna ha approvato la legge contro la cosiddetta «omotransnegatività», a cui intanto un emendamento aveva cambiato il titolo in «Legge regionale contro le discriminazioni e le violenze determinate dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere». Al di là della modifica simbolica, nella sostanza cambia ben poco.

Al voto finale erano 43 i consiglieri presenti, con 33 favorevoli e 10 contrari. La legge è stata approvata con il sì di Partito democratico, Sinistra Italiana, Cinque Stelle e Gruppo misto (Silvia Prodi e Gian Luca Sassi). No da tutta l’opposizione di centrodestra, con Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia. Centrodestra che aveva presentato gran parte dei 1.787 emendamenti complessivi, cercando con l’ostruzionismo parlamentare di scongiurare l’approvazione di una legge dai tratti liberticidi.

È stata una battaglia campale, come non se ne vedevano da vent’anni nella rossa Emilia, visto che secondo i calcoli fatti dal sito dell’assemblea regionale si è arrivati al “sì” finale dopo circa 39 ore in aula (al netto delle pause tecniche), com’era avvenuto nella regione solo in un’altra circostanza, nel 1999. Il tutto iniziato con le sette ore di discussione generale mercoledì 24 luglio, cui ha fatto seguito una seduta a oltranza che si è svolta pure in piena notte ed è andata avanti - con qualche pausa - dalle 16:43 di giovedì, quando è iniziato il voto sui 1.787 emendamenti, fino appunto alle 3:30 di oggi.

Il particolare del record di durata la dice lunga sulla contrapposizione che si è svolta e l’importanza della posta in gioco, che riguarda in primo luogo la libertà d’espressione e d’educazione di chi crede nella famiglia come cellula fondamentale della società, fondata sulla complementarità maschile-femminile.

LA LEGGE IN PILLOLE

L’esatto opposto dei fini di questa  legge, che, servendosi del paravento della lotta alle discriminazioni verso le persone che si identificano come Lgbt, si propone di far progredire la causa arcobaleno, creando corsie preferenziali nel mondo del lavoro, favorendo l’insegnamento della teoria del gender nelle scuole (passando per la «formazione e aggiornamento» dei docenti), il controllo dei contenuti (indesiderati) diffusi sui mezzi di comunicazione attraverso il monitoraggio del Corecom, che «si fa parte attiva nella segnalazione alle autorità» (art. 8). Inoltre, per i fini di questa legge, l’articolo 1 stabilisce l’adesione della Regione a Ready, la rete nazionale delle pubbliche amministrazioni gay-friendly. Dallo stesso articolo, già in sede di commissione Parità (qui il testo che era stato licenziato dopo l'ultima riunione di luglio), era stata espunta una parte criticatissima della proposta, ossia l’espressione «anche potenziali» - relativa alle «situazioni di discriminazione» da «prevenire e superare» - che di fatto aumentava a dismisura l’arbitrarietà degli interventi secondo i desiderata della lobby Lgbt.

Rimane comunque il nodo principale poiché, come questo quotidiano ha più volte ricordato soffermandosi sui contenuti di quella che era ancora una proposta di legge (vedi qui, qui e qui), il nostro Paese ha già le norme necessarie per tutelare qualsiasi cittadino dalle “discriminazioni”.

UNA LEGGE FORTEMENTE VOLUTA DA PD E 5 STELLE

Ciononostante la netta maggioranza di centrosinistra, con in testa il Pd, forte pure dell’accordo con i consiglieri del Movimento 5 Stelle, ha continuato a spingere ossessivamente per approvare questa legge prima della pausa estiva e prepararsi alle prossime elezioni regionali con il ‘bottino’ già consegnato all’associazionismo gay. E questo malgrado la cultura anti-famiglia veicolata dalla proposta normativa sia la stessa da cui è nato, nella medesima regione, lo scandalo affidi emerso grazie all’inchiesta “Angeli e Demoni”, su cui il Pd continua a minimizzare e produrre cortine fumogene, cercando di buttare tutto in caciara politica.

Per inciso, già il 24 luglio, prima che iniziasse il dibattito sulla legge «contro le discriminazioni», il centrodestra aveva chiesto, invano, di dare la precedenza nell’ordine del giorno alla discussione per istituire una commissione d’inchiesta regionale sui fatti di Bibbiano.

La battaglia campale a cui abbiamo accennato è quindi iniziata simbolicamente così, mettendo prima gli interessi ideologici di gruppi particolari, rispetto a un caso concreto in cui si è creato dolore in intere famiglie e bambini sono stati sottratti ingiustamente ai loro genitori. La relatrice di maggioranza, Roberta Mori (della cui vicinanza ad alcune delle indagate di "Angeli e Demoni", inchiesta rispetto alla quale risulta estranea, abbiamo già riferito qui), aveva aperto i lavori con un discorso subito rilanciato via Facebook da Vincenzo Branà, presidente del Cassero Lgbt di Bologna, ossia di quello stesso gruppo (una costola dell’Arcigay) che aveva messo in scena la vergognosa rappresentazione blasfema della Passione di Gesù, intitolata Venerdì, credici. Ma offendere Dio e milioni di fedeli non rientra evidentemente nella sensibilità di chi chiede nuove leggi per non essere “discriminato”.

Lo stesso Branà, come informa con nonchalance ancora il sito del parlamento regionale, ieri mattina - dopo una nottata di votazioni sugli emendamenti - «ha fatto vivere ai consiglieri anche momenti piacevoli», portando «brioches per tutti» i consiglieri di maggioranza. Uno di casa, nel palazzo. Un altro attivista Lgbt, Alberto Nicolini, che insieme ad altri amici ha assistito in aula alla seduta notturna del 25-26 luglio, ha espresso su Facebook il suo fastidio per Giuseppe Paruolo, invitandolo ad andare «in un luogo più consono alle sue posizioni discriminatorie». Paruolo è l’esponente del Pd che ad aprile, suscitando le ire dei maggiorenti del suo partito, aveva proposto degli emendamenti contro la barbarie dell’utero in affitto (chiedendo di contrastarne la pratica e non concedere finanziamenti alle associazioni che la promuovono), poi molto edulcorati a luglio dagli stessi dem. Lo ricordiamo a beneficio di chi pensa ancora che le varie leggi contro l’omofobia, ‘figlie’ del ddl Scalfarotto, servano a combattere le discriminazioni.

Tra gli interventi in aula, ne segnaliamo uno della pentastellata Silvia Piccinini, che giovedì aveva sostenuto la vecchia storiella secondo cui «la teoria del gender non esiste». Rispondeva a un intervento di Giancarlo Tagliaferri (Fratelli d’Italia), che aveva ricordato in aula che lo stesso papa Francesco ha sottolineato in diverse occasioni la pericolosità della teoria del gender, definita dal pontefice una «colonizzazione ideologica» nonché una «bomba atomica» contro la famiglia. Un altro esponente di FdI, Michele Facci, aveva intanto affermato che questa è una «legge manifesto» per ingraziarsi la comunità Lgbt «tanto cara alla relatrice di maggioranza, Roberta Mori». Riferendosi al comportamento tenuto dai cattodem, il forzista Andrea Galli aveva intanto fatto presente che gli emendamenti di marca Pd servono come «cerotti su una gamba di legno», in quanto è tutto l’impianto della legge a essere inaccettabile.