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LA MEMORIA

Sant’Elena, l’archeologa della Santa Croce

Se è possibile, oggi, venerare le reliquie della Santa Croce è grazie al coraggio di una donna: l’imperatrice romana Elena, madre dell’imperatore Costantino. Quella di Sant’Elena è una vita affascinante sotto diversi aspetti, ma rimane focale in tutto il corollario di episodi e storie che l’accompagnano, un incontro che le cambierà la vita: quello con l’amore di Gesù.

Ecclesia 18_08_2022

Se è possibile, oggi, venerare le reliquie della Santa Croce è grazie al coraggio di una donna: l’imperatrice romana Elena, madre dell’imperatore Costantino. Quella di Sant’Elena è una vita affascinante sotto diversi aspetti, ma rimane focale in tutto il corollario di episodi e storie che l’accompagnano, un incontro che le cambierà la vita: quello con l’amore di Gesù. L’incontro avverrà in circostanze particolari: nel 326, l’imperatore Costantino fa  uccidere il figlio Crispo, su istigazione della matrigna Fausta; di fronte a tale  tragedia, Elena – che all’epoca aveva settantotto anni – mantiene salda la sua fede in Cristo, non dispera, e si reca in pellegrinaggio penitenziale in Terra Santa dove farà costruire le Basiliche della Natività a Betlemme, dell’Ascensione sul Monte degli Ulivi e la basilica della Resurrezione.

Il nome di Sant’Elena – lo sappiamo bene – è legato inestricabilmente al ritrovamento della Santa Croce, simbolo dell’amore di Cristo per tutti gli uomini. Ma come avvenne tale ritrovamento? Nel viaggio in Terra Santa, Elena, decide di salire sul Golgota, su quella famosa collinetta chiamata “testa del cranio”: il termine aramaico era gulgultā, in ebraico gulgoleth, e significavano ambedue “cranio”, “teschio”. Per prima cosa, Elena, giunta sulla collinetta, farà distruggere gli edifici pagani costruiti dai romani. Ma il ritrovamento della Croce di Cristo era il suo obiettivo: cominciò, allora, a pregare e a supplicare Dio di esaudire i suoi voti. Le ricerche – comunque – non avevano prodotto risultati fino a quando, un giorno, individuò finalmente il punto esatto dove la Santa Croce era sepolta. Fece scavare lì, sotto quella terra, fino a quando comparve una tavola: era l’“elogium” scritto da Pilato; la tavola affissa alla croce che indicava il motivo della condanna a morte del Nazareno. Mentre la donna baciava, piangendo, la tavoletta dell'iscrizione della Croce, i muratori riuscirono a estrarre dalla terra anche altre due croci, e gli elogi dei due ladroni. A questo punto sorgeva un problema: quale delle tre croci era quella del Figlio di Dio? E, così, come ci dice lo storico Rufino di Aquileia nella sua monumentale Historia Ecclesiastica (redatta nei primi anni del V secolo), avvenne che il Vescovo di Gerusalemme, Macario, ebbe un’intuizione per sciogliere tale enigma. Fece portare le tre croci a casa di una donna malata da tempo, e pronunciò questa preghiera:  «Signore, tu che hai concesso la salute al genere umano, per la morte di croce del Figlio Tuo Unigenito, e che hai ispirato alla tua serva Elena di cercare il legno beato dove fu sospesa la nostra salvezza, indicaci con evidenza quale delle tre croci che sono qui, servì per la gloria divina, e quali furono supplizio dei malfattori. Fa che questa donna, che giace sul letto malata, al tocco del legno santo, sorga subito dalla morte imminente, alla vita». Dopo aver toccato la donna con la prima e la seconda croce senza nessun risultato, al tocco della terza croce, la donna guarì subito, alzandosi dal letto e glorificando il Signore.  Era quello il Sacro Legno. La preziosa reliquia – assieme a due Sante Spine della corona di Cristo, il titulus di Pilato e una parte della croce del ladrone crocifisso accanto a Gesù – venne portata a Roma e conservata nella Basilica di Santa Croce in Gerusalemme.

La storia del Titulus di Pilato si intreccia con quella della basilica romana che – tra il 1484 e il 1493 – fu sottoposta a un restauro. Durante questi lavori, gli operai trovarono – con grande sorpresa, come attesta il Diario della città di Roma del 1492 – una nicchia nascosta. Dentro questa, vi era una scatola di piombo, e sopra questa, una tabella di terracotta, con la scritta “TITULUS CRUCIS”. Nella scatola si trovò la famosa tavoletta; aveva la grandezza di un palmo e recava una parte dell'iscrizione nelle tre lingue (ebraico, greco e latino). È necessario evidenziare un particolare di non poco conto: nel testo latino è riportata la dicitura "Nazarinus" anziché "Nazarenus"; e il termine “Nazarinus” corrisponde proprio alla forma corretta del latino classico del I secolo. Inoltre, ci sono diversi esami – tra cui il carbonio 14, reso famoso per l’esame realizzato per la Sacra Sindone – sembrano essere però discordanti. Alcuni studiosi tendono per la tesi della autenticità della tavoletta in legno, altri parlano di un falso medievale, seppur l’analisi di alcune fotografie dell'iscrizione sono state esaminate da diversi paleografi con questo comune risultato: le lettere sono risultate perfettamente compatibili con quelle del I secolo, confermando, quindi, la possibilità che la reliquia sia l'originale o almeno una copia fedele dell'originale.

Nella storia appena descritta più volte si è fatto riferimento alla basilica romana che custodisce le reliquie della Passione di Cristo. Ma qual è la storia di questo luogo santo? All’epoca dell’imperatore Augusto, la zona dell’Esquilino – dove sorge il luogo di culto dedicato alla Croce del Signore – era uno spazio periferico, rispetto al centro della Capitale. Questo luogo fu scelto  dagli imperatori Severi, nel III sec. d.C. per costruire la residenza imperiale che comprendeva un palazzo, il Circo Variano e l'Anfiteatro Castrense, poi incluso nelle Mura Aureliane costruite tra il 271 e il 275 d.C. Per volere dell'imperatore Costantino il palazzo venne ristrutturato e gli fu attribuito il nome di “Sessorium”. Fu nel 324, a seguito del trasferimento della capitale dell’impero a Costantinopoli, voluto da Costantino che la residenza passò di proprietà a Elena. Fu lei a utilizzare una parte del palazzo come cappella. Di questa, non vi è più traccia, purtroppo; infatti, dell’originale cappella paleocristiana, con rivestimento musivo dell’epoca di Valentiniano III non è rimasto nulla, perché venne completamente ristrutturata per volontà del Cardinale Bernardino López de Carvajal, titolare di questa basilica dal 1495 al 1523. Il cardinale fece decorare la volta della cappella con mosaici da Baldassarre Peruzzi (verso il 1507-1508) e incaricò Giuliano da Sangallo di modificarne l’architettura e gli accessi (verso il 1519-1520).  Sul pavimento della cappella, comunque, è visibile una lapide che ricorda che  questo luogo fu cosparso della terra del monte Calvario, portata a Roma dalla santa. La cappella di Sant'Elena custodì le reliquie della crocifissione per più di sedici secoli, fino a quando, nel 1930, furono trasferite nella nuova cappella delle Reliquie, ricavata dall'antica sacrestia, opera dell'architetto Florestano Di Fausto, per essere esposte in maniera permanente alla venerazione dei pellegrini.