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IL DUELLO/ 14

Sant'Agostino e la salvezza per Dante e Petrarca

Se in Dante si avverte il segno dell’opera di sant’Agostino, in Petrarca questo è maestro a cui guardare per uscire dal peccato e vivere una vita santa. Se in Dante la salvezza viene da Dio attraverso le creature, che sono segno di Lui, in Petrarca la salvezza è da raggiungere distaccandosi da queste e seguendo l'esempio del vescovo di Ippona.

Cultura 18_04_2021

Se in Dante si avverte il segno del pensiero e dell’opera di sant’Agostino, anche se il grande santo e intellettuale non diviene mai protagonista della Commedia, in Petrarca il vescovo di Ippona rappresenta il maestro fondamentale, punto di riferimento ideale cui guardare per uscire dalla palude del peccato e decidersi definitivamente per una scelta categorica di vita santa.

È Dionigi da Borgo San Sepolcro, letterato e teologo, monaco agostiniano e vescovo di Monopoli dopo il 1340, a regalare al Petrarca Le confessioni di sant’Agostino ove il santo racconta con schiettezza e profondità il percorso della propria conversione.

Segni dell’ammirazione che Petrarca nutre nei confronti di sant’Agostino si vedono chiaramente nel De secreto conflictu curarum mearum (noto anche come Secretum) e nella lettera indirizzata a Dionigi da Borgo San Sepolcro ove il poeta racconta dell’ascesa al Monte Ventoso (Mont Ventoux) vicino a Valchiusa in Provenza. Quest’ultimo testo, che rappresenta l’atto di nascita dell’alpinismo, da un lato documenta l’impresa che il poeta compie in compagnia del fratello Gherardo nel 1336, dall’altro diviene occasione per un esame di coscienza e per una perlustrazione della propria debolezza spirituale.

Non trovando nessun amico che possa essere adatto come compagno di viaggio per compiere la scalata, Petrarca sceglie il fratello più giovane Gherardo. Una volta iniziata la salita, emergono però i diversi temperamenti dei due fratelli: Gherardo cerca infatti di salire «per una scorciatoia lungo il crinale del monte», Francesco vuole trovare «un sentiero più agevole dall’altra parte del monte», una via più lunga, ma più piana, per scansare la fatica. Così Gherardo sale rapidamente verso l’alto e Francesco lo raggiunge solo più tardi. I due fratelli procedono insieme, solo per poco tempo, perché il poeta è sempre alla ricerca di vie più semplici e così rimane più in basso.

La salita acquista un valore simbolico, chiara metafora della vita e della ricerca della felicità, rappresentazione paradigmatica della meta che tutti aspirano di raggiungere. Allora Petrarca si rende conto della validità dell’insegnamento di Ovidio secondo il quale «volere è poco; occorre volere con ardore per raggiungere lo scopo» e comprende che nella sua vita sta continuamente differendo la salita verso la vera beatitudine per sostare in mezzo a falsi piaceri, rappresentati dalle valli e dai pianori.

Quando però finalmente si inerpica più in alto, Petrarca avvista un panorama meraviglioso che si spinge fino alle cime delle Alpi «gelide e nevose». Poi, salito ancora, Petrarca riesce ad avvistare Acque Morte e la foce del Rodano, quando decide di leggere qualche passo delle Confessioni, che porta sempre con sé, «libretto di piccola mole, ma di infinita dolcezza».

Lo apre e vi legge queste parole: «E vanno gli uomini a contemplare le cime dei monti, i vasti flutti del mare, le ampie correnti dei fiumi, l’immensità dell’oceano, il corso degli astri e trascurano se stessi». Petrarca scopre la dimensione della propria interiorità, la profondità dell’anima. Comprende che nulla accade mai a caso, che le pagine di sant’Agostino sono state scritte per lui:

Sapevo […] che quanto avevo letto era stato scritto per me, non per altri; tanto più che ricordavo ciò che di se stesso aveva pensato Agostino quando, aprendo il libro dell’Apostolo, come lui stesso racconta, lesse queste parole: “Non gozzoviglie o ebbrezze, non lascivia e impudicizie, non risse e gelosia, ma rivestitevi del Signore Gesù Cristo, e non seguite la carne nelle sue concupiscenze.

Nel viaggio di ritorno Petrarca rivolge gli occhi della mente in se stesso e non parla per tutta la discesa dal Monte Ventoso. Ogni tanto volta lo sguardo indietro a contemplare la cima del monte. Segno, questo, che, a differenza di sant’Agostino che dopo la lettura del passo sceglie in maniera categorica di andare dietro a Gesù, Petrarca non sa staccarsi dai beni terreni, ma continua ad amarli «con più vergogna, con più tristezza».

Nel De secreto conflictu curarum mearum (scritto probabilmente tra il 1347 e il 1353, ma divulgato postumo) sant’Agostino diventa addirittura coprotagonista dell’opera, modello ideale che Petrarca vorrebbe imitare soprattutto nella perentoria decisione di abbandonare il passato e la via del male abbracciando totalmente il bene incontrato.

Sant’Agostino, indicato semplicemente con il nome di Agostino, discorre con Petrarca, familiarmente chiamato Francesco, alla presenza di una bella donna, la verità, che non parlerà mai, ma apostroferà Petrarca solo nella prefazione:

Perché temi e ti turbi al mio insolito aspetto? Mossa a pietà de’ tuoi errori, venni di lontano a recarti aiuto, finche n’è tempo. Troppo e molto più che non era mestieri curvasti a terra gli sguardi annebbiati. Che se le terrene cose tanto t’allettano, che sarà mai ove tu rivolga il cuore alle eterne?

Con la forza della maieutica Agostino indirizza Petrarca a riconoscere la verità, il proprio male, gli errori commessi, anche quelli che non avrebbe mai ammesso, perché gli sono sempre apparsi come grandi beni.

Scritto in latino come tutte le altre opere, ad eccezione del Canzoniere e de I trionfi, il Secretum si ispira, oltre che alle Confessioni di sant’Agostino, anche al De consolatione philosophiae di Severino Boezio e al De tranquillitate animi di Seneca. Nel primo libro nel confronto con il maestro Petrarca deve riconoscere che la sua colpa maggiore è la malattia della volontà per cui il poeta, pur riconoscendo il bene, non riesce a perseguirlo per una sorta di debolezza e di pigrizia spirituale.

Nel secondo libro Petrarca passa in rassegna tutti i vizi capitali ammettendo alla fine di essersi macchiato di tutti ad eccezione dell’invidia. Il vizio che più ostacola Petrarca nel cammino verso la purificazione e la salvezza è l’accidia, la vera malattia della contemporaneità. All’epoca del Petrarca tutti sanno ancora ben distinguere il bene dal male, la verità dalla falsità, ma molti faticano a distaccarsi da quel fascino per i beni terreni che li spinge a idolatrarli.

Nel terzo libro Agostino induce Petrarca a riconoscere che due catene ancora lo trattengono dalla salita verso il Cielo: l’amore per Laura e il desiderio di gloria, le due supreme passioni che hanno trattenuto il poeta a Terra. Proprio l’incontro con la donna amata coincide con il momento del traviamento spirituale. Quanto è distante la Beatrice dantesca dalla Laura del Petrarca! Nel contempo che frattura si è creata tra l’esperienza dell’amore nella Commedia, in cui il rapporto tra Dante e Beatrice costituisce una compagnia sulla strada verso il destino, e l’esperienza che racconta Petrarca. Agostino ribadisce al poeta:

Non c’è nulla che produca l’oblio e la trascuranza di Dio al pari dell’amore delle cose terrene; di quello specialmente che chiamano per proprio nome Amore.

Dante avrebbe probabilmente scritto:

Non c’è nulla che sia ostacolo al cammino verso il Cielo se guardato alla luce di Dio e contemplato, quindi, come creatura o come bene e non come idolo.

A conclusione del Secretum, ringraziando Agostino e la Verità, Petrarca implora il maestro di non abbandonarlo mai.