San Benedetto Giuseppe Labre, il "vagabondo di Dio"
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Pellegrino a vita, laico, senza dimora: il santo mendicante si fermava solo per adorare Gesù eucaristia e il suo pellegrinaggio si concluse nella Città Eterna.
Nel pieno centro di Roma, vicino a via Cavour e a pochi passi dal Colosseo, sorge la chiesa di Santa Maria ai Monti. È una piccola chiesa, ricca d’arte e fede, che si trova a pochi metri da uno dei centri più conosciuti della movida romana: piazza della Madonna dei Monti. Qui, molti giovani turisti si mescolano ad altrettanti numerosi giovani romani. I locali alla moda presenti nella piazzetta sono pronti ad accogliere tantissimi ragazzi ogni sera. Il loro vociare irrompe nelle strade adiacenti. Ma, in tutto questo baillame, la chiesa di Santa Maria ai Monti, nel suo silenzio, nella sua sacralità, ricorda a tutti la voce più importante: quella di Dio.
È in questa chiesa che riposa il corpo di un santo straordinario: è san Benedetto Giuseppe Labre di cui oggi ricorre la memoria liturgica. La sua tomba è colma di biglietti, di richieste di preghiera. Il suo corpo, ritratto in quel marmo così candido, ricorda la sua purezza. Il suo viso, giovane, non può che affascinare ogni fedele che vi si avvicina. Ma un particolare soprattutto ci colpisce: i suoi piedi sono scalzi. In fondo, proprio questo elemento, potrebbe considerarsi l’emblema di tutta la sua esistenza: a piedi nudi, in cerca del Signore e della sua Parola. Pellegrino a vita, laico, senza dimora, che ha vissuto per la strada, tra i più poveri: è tutto ciò san Benedetto Giuseppe Labre. ll suo unico desiderio: conoscere Dio ed essere vicino ai più poveri. In loro, il santo «vagabondo di Dio» (con questo appellativo sarà conosciuto da tutti), vedeva Cristo sulla Croce, carico della sofferenza. Morirà giovane san Benedetto Giuseppe Labre: a soli 35 anni, il 16 aprile del 1783.
Era nato ad Amette, nel Nord della Francia al confine con il Belgio, il 26 marzo del 1748. Era il primo di quindici fratelli. Entrò nei Certosini, per poi uscirne quasi subito. Poco dopo provò a vivere tra i monaci Trappisti. Ma anche questa non era la sua strada: erano, infatti, altre le vie che lo attendevano. Da questo momento in poi cominciava il suo lungo, innarrestabile pellegrinaggio: Loreto; Assisi; Compostella, nella Spagna; i santuari della Svizzera. Gli ultimi sei anni di vita li trascorse a Roma: dalla Città Eterna, ogni anno, partiva come pellegrino alla volta della Santa Casa di Loreto. Nel suo soggiorno a Roma si trovava a visitare diverse chiese al giorno, così da poter essere presente a più adorazioni eucaristiche nell’arco della stessa giornata: una contemplazione della Santissima Eucaristia continua, senza sosta, per essere sempre vicino al Signore. Questo suo peregrinare, davvero, rimane qualcosa di straordinario ancora oggi: un’anima e un corpo in continuo movimento.
La sua bisaccia era colma di Dio: portava sempre con sé il libro L’imitazione di Cristo in latino; il Memoriale della vita cristiana del padre domenicano Louis de Grenade (1504 - 1588); l’ Epistola di Gesù Cristo alle anime fedeli, un trattato spirituale del certosino Jean Juste Lanspergio (1489 - 1539); un testo dal titolo Esercizio della Via Crucis e uno intitolato L’Ufficio dei sette dolori della Vergine. E poi, delle immaginette sacre a lui care come il Bambino dell’Ara Coeli e l’immancabile effigie della Vergine di Loreto.
E proprio alla Vergine Maria il santo si sentiva particolarmente legato: «A qual grado salisse questa tenerissima filiale devozione verso la Vergine nel nostro Benedetto Giuseppe non è facile a ridirsi. […] Bastava vederlo genuflesso avanti ai suoi altari per vederne gli interni trasporti di tenerezza verso di Lei, scorgendosi dagli occhi, che di tanto in tanto alcun poco apriva, gli interni sentimenti del suo spirito, come io stesso con mia grande edificazione ho osservato, e come è noto ad una grande moltitudine di testimoni, che lo hanno veduto nelle chiese dedicate a Maria Santissima e specialmente in quelle ove si venerano le sue immagini più insigni» (P. Marconi, Ragguaglio della vita del Servo di Dio Benedetto Giuseppe Labre scritto dal suo medesimo confessore, 1783).
Il 16 aprile del 1783, giorno della sua morte, era mercoledì santo. Benedetto era riuscito a stento, ormai stanco nel fisico, a essere presente alla funzione nella chiesa di Santa Maria ai Monti. Gli abitanti del quartiere che lo videro così pallido credettero che sarebbe morto durante la lettura. Ma il santo, debole nel corpo ma non nell’anima, rimase fino al termine della funzione religiosa. Solo all’uscita si accasciò sulle scale della chiesa. Fu allora portato in casa di un macellaio, tale Francesco Zaccarelli che che abitava nell'adiacente via dei Serpenti. Fu il figlio Pierpaolo a portarlo nella loro casa per offrirgli un letto in cui morire degnamente. In questa casa, all’ora della preghiera dei Vespri, dopo aver ricevuto l’estrema unzione, il santo raggiunse il Cielo.
Il corpo fu poi trasportato nella chiesa di Santa Maria ai Monti dove «dalla sera del giovedì santo fino alla domenica di Pasqua la salma del mendicante fu esposta […]. I soldati corsi che montavano la guardia alle porte di Roma furono chiamati dalla loro vicina caserma per assicurare il difficile servizio d’ordine» (Agnes De La Gorce, Un povero che trovò la gioia, Parigi 1936, Ed. Pro Sanctitate, 1992). Un incredibile afflusso di fedeli gli rendeva l’ultimo omaggio. Quell’uomo che sembrava a molti un povero e semplice «vagabondo» era invece un santo amato da tutto il popolo romano.
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Dio non è apparso come una cometa, ma ha scelto di irrompere in modo inaudito nella storia, facendosi carne attraverso una donna. La spiritualità, allora, deve seguire la legge dell’Incarnazione per essere cristiana. La novità di Cristo non consiste infatti in una mera prospettiva umana (come un’ideologia), ma è Dio stesso che cambia, da dentro, la storia. L’Avvento ci dice quindi che l’uomo non deve essere un viandante senza meta, ma un pellegrino che va verso l’incontro che dà senso alla vita.
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