Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
IL CASO

Rupnik, il silenzio di Francesco fa male alla Chiesa

Continua il silenzio del Papa sul caso Rupnik, un atteggiamento che perfino il Sismografo definisce «inspiegabile» e capace di screditare gravemente la Chiesa. Intanto, la testimonianza di un’altra donna peggiora la situazione del gesuita sloveno. Lui e chi lo ha coperto non possono restare impuniti. E Bergoglio deve rispondere del proprio operato.

Editoriali 14_01_2023
Marko Rupnik e papa Francesco

La modalità della gestione di quello che ormai è a tutti gli effetti il “caso Rupnik” sta innervosendo molti. Compreso l’insospettabile Il Sismografo, che sta giustamente dando ampio rilievo alla vicenda e incalza per cercare di rompere il silenzio vaticano.

In un articolo del 12 gennaio, la redazione del Sismografo fa pressione sul Papa, alludendo al fatto che in occasione del prossimo viaggio nella Repubblica Democratica del Congo e nel Sud Sudan, previsto per il 31 gennaio - 5 febbraio, difficilmente Francesco potrà sottrarsi alle domande dei giornalisti sullo scandalo che coinvolge il gesuita sloveno, «scomunicato per gravi delitti che però, dopo pochi giorni, ha potuto godere di una rimozione di tale punizione. Vale a dire una scomunica per pochi giorni, decisione vaticana piuttosto singolare, motivo di sorpresa, amarezza e sconcerto». Il Papa non dovrà rendere conto dell’operato dell’allora Congregazione per la Dottrina della Fede, ma del proprio, dal momento che «la CDF, presieduta dal gesuita spagnolo card. Luis Ladaria, ha fatto le due cose [far scattare la scomunica e rimuoverla, n.d.a] nel giro di pochi giorni e lo ha potuto fare solo perché ha ricevuto ordini da Papa Francesco. Non esiste un’altra spiegazione. Dire o suggerire qualcosa di diverso non corrisponde alla verità». Concordiamo: non esiste altra spiegazione.

Il silenzio del Papa, che l’articolo ritiene «inspiegabile», «al limite dell’enigma», e che «può avere un costo molto alto per tutta la Chiesa», perché non fa altro che screditare «seriamente l’impegno della Chiesa contro gli abusi di autorità, di coscienza e sessuali», non è il primo. E, temiamo, non sarà l’ultimo: «ci sono moltissime altre vicende in cui ha avuto il medesimo comportamento. Questo silenzio è una linea, un orientamento, un ordine, non nuovo, e che il Pontefice non sembra volere cambiare», incalza Il Sismografo.

Mentre a Roma tutto è messo a tacere, le vittime continuano a parlare pubblicamente. E molto probabilmente lo fanno perché non si stanno prendendo giusti provvedimenti contro Rupnik. Chi punta il dito, come il cardinale Angelo De Donatis, contro il processo mediatico, dovrebbe prima riflettere che la sete di giustizia insoddisfatta porta all’esasperazione. Finché le vittime di Rupnik non vedranno che seri provvedimenti verranno presi, non solo contro di lui, ma anche nei confronti di chi ha continuato a coprirlo per decenni, necessariamente cercheranno uno sfogo mediatico.

Dunque, ancora una donna, che preferisce la custodia dell’anonimato, rivela al quotidiano La Repubblica nuovi misfatti. Una testimonianza più “leggera” rispetto a quelle che l’hanno preceduta, forse perché Rupnik non è riuscito ad irretirla fino in fondo. «Aggressioni no, gesti inopportuni sì, ripetuti e argomentati in modo spirituale», testimonia la donna, che negli anni Duemila è stata al Centro Aletti per lavorare nell’atelier diretto da padre Rupnik. «Mi accarezzava tutta la schiena, io cercavo di staccarmi, e lui: “Perché fai così? Non trovi che sia bello che possiamo fare questo insieme, io sono un sacerdote, tranquilla, ho uno sguardo puro su di te”. Pian piano i gesti sono stati sempre più insistenti: mi teneva, e poi gli abbracci che non sopportavo più: nei colloqui nel suo ufficio finiva prendendomi in un abbraccio stretto dal quale non potevo divincolarmi. È una persona molto intelligente, le molestie sono sottili. E nel corso degli anni sono aumentate. Sapeva graduare le cose rispetto alla mia sottomissione che cresceva». Ancora una volta abbiamo la conferma dell’abuso del suo ministero spirituale, che esige chiaramente che egli debba essere privato del tutto e definitivamente della potestà di esercitarlo.

E poi quell’approccio graduale, sempre più insistente e spinto, che Rupnik utilizzava anche con altre donne del Centro Aletti: «Intuivo che con alcune si creavano le stesse situazioni, usava le stesse parole e gli stessi gesti. Oggi sono certissima che ci sono altre persone che hanno vissuto la stessa cosa. Anche perché prima di me e dopo di me ho sentito di donne che di punto in bianco sono andate via dal centro Aletti, “ma era matta, era fuori di testa, non era adatta al nostro modo di fare”, dicevano. Come mai questa ripetizione di donne che devono scappare?». E come mai questa continua fuga non ha allertato nessuno, né nella Compagnia di Gesù, né nei responsabili della Diocesi di Roma?

La particolare importanza di questa nuova testimonianza sta nel fatto che riguarda uno spazio temporale che si colloca a metà tra gli abusi dei primi anni Novanta, avvenuti nella Comunità Loyola, a cui si riferiscono le due interviste rilasciate a Domani, e il fatto del 2015, che aveva fatto scattare la scomunica latae sententiae, ritirata a tempo di record per volontà di papa Francesco. Segno che l’“attività” di Rupnik non ha conosciuto soluzione di continuità.

La donna, inoltre, rivela a Repubblica quell’ambiente “spirituale” che portava a non mettere mai in discussione quanto faceva o diceva Rupnik: non si trattava propriamente di complicità, ma di «un clima tale per cui o fai parte del gruppo o il tuo posto non è qui. C’è un gruppo di consacrate che sono lì dall’inizio che davano il ritmo della danza». Una danza che continua sempre sulle stesse pericolose note, dal momento che alla direttrice del Centro Aletti, Maria Campatelli, non è ancora venuto in mente di togliere dal sito Internet le omelie di Rupnik, che continuano a comparire sulla home page.

In chiusura, un attacco diretto all’ormai indifendibile cardinale De Donatis: «La dichiarazione del cardinale vicario di Roma, Angelo De Donatis, per me è una tragedia morale: come può dire che è un processo mediatico? Io lo conosco, era amico di Rupnik, veniva spesso. Di Rupnik a Roma si sa da tempo». Allora, torniamo punto e a capo: a quando il siluramento di De Donatis? E di padre Sosa Abascal? A quando una visita apostolica al Centro Aletti? Quanto dobbiamo aspettare perché Rupnik venga ridotto allo stato laicale? E, infine, quando papa Francesco troverà il coraggio di dire tutta la verità, nient’altro che la verità?