Riecco il duello Berlusconi-Prodi, stavolta per il Colle
Per la serie: a volte ritornano. Il duello Prodi contro Berlusconi ha caratterizzato tutta la Seconda Repubblica. Oggi quei tempi paiono finiti, ma gli stessi due leader si ripropongono di nuovo per l'elezione a presidente. Prodi nega, ma potrebbe essere il candidato di bandiera della sinistra. Berlusconi vuole, ma la sua è una strada in salita.
La snervante e sfibrante contabilità quotidiana dei casi Covid, che funziona come uno stillicidio nella vita di milioni di persone e consente di tenere in vita la narrazione allarmista a reti più o meno unificate, non ha tuttavia silenziato i giochi dietro le quinte per la successione a Sergio Mattarella. L’elezione per il nuovo Presidente della Repubblica è prevista fra poco più di un mese e la melina delle forze politiche è ancora in uno stadio iniziale, per cui è difficile fare previsioni di qualsiasi tipo. Tuttavia, se ne parla ormai tutti i giorni.
La posta in gioco è importantissima. E’ vero che non siamo una Repubblica presidenziale, ma è altrettanto vero che da tempo le alchimie tra i partiti hanno prodotto governi deboli, con leader creati in laboratorio (cioè designati dai centri di potere sovranazionale) o imposti dalle situazioni emergenziali, ma non scelti dai cittadini. Si tratta peraltro di un’espressione impropria perché in una Repubblica parlamentare gli esecutivi non dovrebbero essere eletti dai cittadini. Tuttavia, se il sistema funzionasse e la coalizione maggiormente suffragata nelle urne esprimesse il Presidente del Consiglio, saremmo in una democrazia matura. Invece non è così. Peraltro i governi sono tendenzialmente instabili e, in questo caso, solo la tragedia della pandemia ha depotenziato almeno in parte le tensioni tra i partiti, che hanno accettato di governare l’emergenza ma non vedono l’ora di riprendere a litigare e a marcare le distanze, piantando le cosiddette bandierine. Ecco perché la figura del Capo dello Stato diventa comunque centrale nello scacchiere nazionale e internazionale e il prossimo dovrà gestire la delicata ricostruzione post-pandemica, con tutte le incognite del caso.
Le schermaglie verbali tra i leader in realtà nascondono la preoccupazione di non far salire al Quirinale personalità ostili al proprio partito e dunque in grado di condizionare a proprio sfavore il corso della politica nei prossimi 7 anni.
Ma in questo momento chi ha maggiori chance? Nelle ultime giornate sono ricomparsi i cosiddetti “rieccoli”, vale a dire gli acerrimi nemici che si sono sfidati più volte nella seconda Repubblica e ora, al di là delle smentite dei diretti interessati o degli ambienti ai quali appartengono, sperano nel miracolo, cioè nell’elezione al Colle. Ci riferiamo a Romano Prodi e Silvio Berlusconi. Il primo esclude categoricamente di essere in corsa, essendo già stato impallinato in passato dai suoi stessi compagni di partito. Il Cavaliere, invece, non ha mai smentito le sue ambizioni quirinalizie, pur rendendosi conto che la partita è complessa, i grillini e la sinistra difficilmente lo voterebbero e i suoi stessi alleati Matteo Salvini e Giorgia Meloni non sono entusiasti della sua candidatura.
Peraltro Prodi non sarà certamente il candidato di bandiera della sinistra, mentre Berlusconi potrebbe esserlo del centrodestra. Ma si sa che nelle prime tre votazioni di solito non viene fuori il nome definitivo e quindi c’è il rischio concreto di bruciarsi.
Ecco, quindi, che potrebbero venir fuori altri candidati di mediazione, da Giuliano Amato, con una tradizione di sinistra ma che non dispiace al centrodestra, a Pierferdinando Casini, tra i fondatori del centrodestra ma eletto in Parlamento nelle liste Pd alle elezioni del 2018 e quindi percepito da tutti come uomo dialogante. Senza escludere l’eterno Gianni Letta, associato nell’immaginario collettivo a Silvio Berlusconi, ma con una fitta rete di rapporti anche a sinistra. Poi c’è la pattuglia delle donne, da quelle con poche chance, come Emma Bonino, a quelle emergenti, come l’attuale Ministra della Giustizia, Marta Cartabia, molto apprezzata da Mattarella. Non ha ancora gettato la spugna Elisabetta Alberti Casellati, Presidente del Senato, di Forza Italia ma ultimamente in rapporti ottimi con parte dei grillini e del mondo di sinistra.
Tutti giochi di palazzo ancora ai nastri di partenza, ma senza escludere le due ipotesi cosiddette “istituzionali”, legate allo scenario catastrofico di una pandemia senza controllo, che costringa a prolungare l’emergenza e favorisca una rapida soluzione del rebus quirinalizio. La prima è l’elezione al Quirinale di Mario Draghi, che rassicurerebbe i mercati. Al suo posto andrebbe l’attuale ministro dell’economia, Daniele Franco, uomo vicinissimo al premier e in grado di proseguire la sua opera di ricostruzione socio-economica, attraverso la gestione della complessa partita Pnrr. Ipotesi estrema, che il diretto interessato rifiuta di prendere in considerazione, è infine quella di una rielezione di Sergio Mattarella, in nome dell’interesse nazionale, qualora, va ribadito, il virus riprendesse a circolare in modo incontrollato e gli aspetti sanitari diventassero prioritari su tutto il resto, facendo passare in secondo piano equilibri politici e convenienze tattiche. In quel caso eccezionale, se all’unanimità tutti i partiti chiedessero all’attuale Capo dello Stato di restare dov’è, siamo proprio sicuri che direbbe di no?