Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santo Stefano a cura di Ermes Dovico
MEDIA E POTERE

Retorica da regime, il vero virus che infesta il Paese

Quante volte è cambiato il messaggio martellante dei media, senza che noi ce ne accorgessimo? La pandemia avrebbe dovuto creare una nuova normalità, poi col Pnrr è nuovo boom. Nel 2011 lo spread ha fatto cadere Berlusconi, oggi è alto ma Draghi è in sella. L'inflazione e il debito? Non sono più un problema. È retorica da regime.

Politica 07_05_2022
2011, quando lo spread faceva paura

Quando è scoppiata la pandemia, il catastrofismo dominante nell’informazione giornalistica e nei messaggi istituzionali ha disarmato anche le volontà più tenaci e ha trasmesso l’idea di una disfatta senza rimedio. “Nulla sarà più come prima, non si tornerà più alla vita di prima”, è stata la frase plumbea più ricorrente nei discorsi pubblici e privati. Nel contempo, però, si è celebrato il Pnrr come un nuovo Piano Marshall in grado di rilanciare il nostro Paese e di riportarlo ai livelli di opulenza degli anni del boom economico. Una schizofrenia che conferma il disorientamento complessivo all’interno delle istituzioni e nell’opinione pubblica.

Sono i tratti distintivi della retorica di regime, che crea emergenze fittizie e nasconde quelle vere, che bombarda ossessivamente di messaggi i cittadini e giustifica tante volte l’ingiustificabile, che fa diventare definitivo il provvisorio, rinunciando ad affrontare i nodi strutturali della crisi italiana perché affrontarli non porterebbe consenso ma alimenterebbe lo scontro sociale.

Alcuni riferimenti a categorie fin troppo sbandierate in anni passati possono contribuire a corroborare tale ordine di pensiero. Chi non ricorda l’ossessione dello spread? Nel 2011 il governo Berlusconi fu fatto cadere usando lo spread come strumento di destabilizzazione degli equilibri finanziari europei e in nome dello spread si giustificò la defenestrazione dell’allora premier. Oggi lo spread continua a galoppare e ha raggiunto i 201 punti per poi scendere, proprio ieri, poco sotto i 200, ma comunque a livelli di guardia. Eppure nessuno ne parla o lo considera un problema. Dunque 11 anni fa il differenziale di rendimento tra Btp decennali e Bund tedeschi a 10 anni era decisivo per la tenuta del quadro politico, oggi viene derubricato a dato irrilevante per le sorti dell’economia. Come mai?

Sempre nel novembre 2011 il neo senatore a vita Mario Monti fu accolto come il salvatore della patria perché considerato l’unico in grado di salvare l’Italia dal default. A prezzo, però, di esosi sacrifici. L’espressione più in voga all’epoca era spending review. Bisognava risparmiare su tutto, tagliare enti inutili, rinunciare ad andare all’estero in vacanza per aiutare l’industria turistica italiana, tirare la cinghia sempre e comunque. Nonostante questo, venne paventato il rischio che i dipendenti pubblici non prendessero lo stipendio, in molte scuole gli studenti si portavano la carta igienica da casa, in alcuni commissariati c’era il divieto per i poliziotti di usare le auto se non per interventi strettamente necessari, in quanto mancavano le risorse finanziarie per il carburante. Sembra trascorso un secolo e invece soltanto dieci anni fa lo spettro del fallimento di Stato aleggiava sulle nostre teste. L’oggettiva debolezza dell’Italia veniva riassunta in un dato disastroso, quello del rapporto debito/Pil, vicino ai 130 punti (peccato che oggi abbia superato quota 150 e nessuno si preoccupa). Di qui la supina acquiescenza ai voleri di un governo che ha lasciato ancora più macerie di quelle che aveva trovato e che passerà alla storia come uno degli esecutivi più dannosi e inconcludenti della storia d’Italia.

E che dire dell’inflazione? Sfiora gli otto punti percentuali, un livello in grado di stroncare ogni tentativo di ripartenza post-Covid, con la rovinosa impennata dei prezzi dei generi di largo consumo e di prima necessità e dunque con il freno ulteriore alla spesa delle famiglie e delle imprese. Circola con insistenza il timore di stagflazione, cioè di perniciosa combinazione tra inflazione e stagnazione, con la produzione industriale che continua a rallentare e i prezzi che seguitano a salire vertiginosamente. Eppure, anche su questo punto, la retorica di regime minimizza, mentre all’epoca l’allarme inflazione riempiva le prime pagine dei giornali e le aperture dei telegiornali, togliendo il sonno agli italiani.

Oggi tutto viene anestetizzato perché tutto viene ricondotto alle responsabilità dell’odiato nemico russo. Dunque, se ci troviamo in questo stato disastroso la colpa è della guerra, altrimenti saremmo nel Bengodi. E qualcuno probabilmente ci crede anche. Segno che la retorica di regime continua a funzionare. Ed è il vero virus che infesta il Paese.