Regioni sotto attacco, riecco lo Stato centralizzatore
Il conflitto tra Stato e Regioni sulla gestione dell’emergenza da Covid ci riporta indietro di almeno 20 anni. Fanno sorridere quegli esponenti della sinistra che oggi vorrebbero sottrarre competenze ai territori, visto che la riforma del Titolo V fu promossa da D’Alema. Così si cancellerebbe la sussidiarietà ottenuta con fatica. E in questa situazione, per il governo, sarebbe un boomerang.
Il conflitto tra Stato e Regioni sulla gestione dell’emergenza sanitaria sembra aver riportato le lancette dell’orologio a 20 o 30 anni fa. I governatori rivendicano spazi di autonomia sui rispettivi territori e il governo centrale fa muro, pretendendo di uniformare il trattamento di situazioni obiettivamente molto diverse, anche nell’ambito della lotta al Covid.
Alla fine degli anni Ottanta, e ancor più per tutti gli anni Novanta, il tema delle autonomie è tornato stabilmente sul tavolo delle discussioni istituzionali soprattutto grazie alla Lega Nord, che seppe interpretare il disagio di porzioni crescenti di cittadini del Nord (anche con origini meridionali) e di intere categorie produttive, che invocavano una maggiore libertà d’impresa e di gestione delle risorse. Il messaggio iniziale della Lega era quello della secessione, cioè della separazione del Nord dal Sud, ma lentamente a prevalere furono le spinte verso un federalismo rispettoso dell’unità nazionale e quindi basato sulla valorizzazione delle diversità territoriali, senza in alcun modo mettere in discussione lo Stato unitario.
In Parlamento si è avviato in quegli anni l’iter per la riforma del Titolo V della Costituzione, che divenne realtà poco prima delle elezioni politiche del 12 maggio 2001, poi vinte dal centrodestra. A promuovere e sponsorizzare quella novità costituzionale, che reca la firma dell’allora premier Massimo D’Alema e dell’allora ministro per le Riforme istituzionali, Giuliano Amato, fu proprio il Governo D’Alema, che si reggeva sui voti del compianto Francesco Cossiga e di Clemente Mastella e che fu osteggiata da Silvio Berlusconi e dal centrodestra. La colpa del Cavaliere fu quella di non opporre alla revisione del Titolo V un disegno riformista alternativo. Formalmente la riforma venne approvata dal Governo Amato che seguì quello a guida D’Alema (quest’ultimo fu costretto a dimettersi dopo la disfatta alle regionali del 2000), ma l’idea fu proprio del leader Ds, che puntava a lusingare la Lega definendola “una costola della sinistra”.
Fanno sorridere, quindi, le odierne prese di posizione di autorevoli esponenti della sinistra, che invocano una nuova revisione del Titolo V, fondata sulla sottrazione di competenze alle Regioni e sulla ri-centralizzazione di molti processi decisionali, anche in materia di sanità.
Ci sono voluti anni per far attecchire nel nostro Paese, anche grazie all’apporto della Chiesa, una cultura della sussidiarietà, orizzontale e verticale, in grado di valorizzare la creatività che sale dal basso. La sussidiarietà orizzontale preserva la libertà d’iniziativa privata e le potenzialità costruttive della persona e delle formazioni sociali, perché prevede che lo Stato si occupi solo di ciò che il privato non può e non riesce a fare, mentre la sussidiarietà verticale è imperniata sul soddisfacimento dei bisogni al livello più vicino al cittadino: quello che può fare il Comune non lo fa la Regione, quello che può fare la Regione non lo fa lo Stato. Un meccanismo virtuoso che esalta le qualità individuali e territoriali e allenta la pressione sullo Stato centrale, che può limitarsi in modo più snello e leggero a dettare gli indirizzi e a preservare l’unità complessiva del Paese.
Qualcuno oggi vorrebbe cancellare tutto questo. È in discussione nella Commissione Affari costituzionali del Senato un disegno di legge che rivede il Titolo V e riassegna al governo centrale la gestione della materia sanitaria e altre competenze attualmente nelle mani delle Regioni. I maliziosi insinuano che si tratti di una manovra dell’attuale maggioranza per togliere poteri ai governatori, che in larga parte sono di centrodestra. Se così fosse, sarebbe comunque un disegno miope, perché questa pandemia ha rotto i freni inibitori di tantissime categorie da sempre restie a protestare e ad andare in piazza e oggi pronte a far valere i propri diritti in modo pacifico. Al governo non converrebbe quindi sottrarre poteri alle Regioni per poi ritrovarsi ad essere l’unico bersaglio delle proteste popolari.
E poi meglio non scherzare col fuoco. Il Nord è sempre più insofferente verso il potere centrale, in particolare in questa fase storica, con un governo molto sbilanciato verso le istanze del Sud, anche in ragione della prevalente provenienza territoriale dei suoi componenti. È vero che la Lega di Matteo Salvini coltiva ormai un disegno di espansione territoriale nazionale, ma non è escluso che, in caso di prepotente ritorno dello statalismo anche per via legislativa, non nascano, sia al Nord che nel resto d’Italia, altre forze politiche saldamente ancorate ai territori e in grado di rappresentare meglio dei partiti tradizionali le istanze di cittadini, imprese e categorie.