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IL NODO

Qualche idea per tenere aperte le scuole

Le parole del cardinale Bassetti, che chiede una proposta innovativa per le lezioni in presenza, sono importanti. Vanno sia frenati i contagi da Covid-19 sia mantenute, per uno sviluppo armonico degli studenti, le relazioni interpersonali. Fondamentale è investire, ora, nei trasporti (anche facendo il debito buono di cui parla Draghi) e garantire alle scuole una reale autonomia.

Editoriali 06_03_2021

Che la chiusura a singhiozzo delle scuole e le lezioni a distanza, in atto ormai da un anno, stiano creando gravi disagi a bambini e ragazzi, penso sia un fatto su cui oggi chiunque convenga. Di per sé il cardinale Gualtiero Bassetti, denunciando, nella sua intervista sul Messaggero, tutta la gravità della situazione delle scuole, ha sfondato una porta aperta. Ma credo che chiunque parimenti convenga che siano assolutamente indispensabili norme che impongano il distanziamento sociale per frenare la diffusione del contagio.

Come spesso succede nella storia degli uomini, come nell’esistenza delle persone, ci troviamo di fronte a due esigenze fondamentali che suggeriscono soluzioni diametralmente divergenti. Siamo nel pieno di uno di quei momenti drammatici della storia che non possono essere affrontati e risolti con la pretesa di distinguere con un taglio netto il bene dal male, le scelte giuste da quelle sbagliate. Decisive sono perciò le parole con cui Bassetti conclude la sua risposta a proposito di didattica a distanza: “Servirebbe una proposta innovativa per il prossimo anno scolastico”. Facciamola finita, suggerisce il cardinale, con la sterile contrapposizione scuole chiuse/scuole aperte e affrontiamo il rischio di soluzioni che escano dagli schemi, che infrangano il tran tran di consuetudini consolidate dal tempo.

Nelle rapide osservazioni del cardinale, è possibile rinvenire un suggerimento decisivo per affrontare in modo realmente innovativo un problema tanto drammatico: “Non c’è sviluppo completo senza relazioni interpersonali”. Con questa affermazione perentoria, Bassetti mette in chiaro la posta in gioco: la chiusura prolungata delle scuole non comporta per i giovani solo un disagio temporaneo, per quanto doloroso, ma sta minando le loro possibilità di crescita armonica. Siamo di fronte a un danno irreversibile.

Nel primo lockdown, della scorsa primavera, è stata interrotta la gran parte delle attività lavorative; quando si è presentata la seconda ondata, ad ottobre, si è scelto invece di mantenerne attiva la maggioranza, benché fosse di immediata evidenza che una chiusura completa avrebbe contenuto più efficacemente il contagio. La ragione di questa scelta è semplice, e pienamente condivisibile: chiudere di nuovo tutto avrebbe comportato al paese danni economici irreversibili; ci saremmo meglio difesi dal virus ma saremmo morti di fame. Bassetti entra nel dibattito in modo tranchant: il danno del blocco delle scuole non è inferiore a quello del blocco delle attività lavorative.

Se ne deduce che allora è necessario tenere comunque aperte le scuole, costi quel che costi? Bassetti, parlando di creatività, suggerisce una strada radicalmente diversa: occorre mettere in gioco tutta l’inventiva possibile, partendo dalla certezza che chiudere le scuole fino a che non sarà possibile tornarci in piena sicurezza equivale a creare un danno non riparabile. Nel solco dell’invito di Bassetti ad immaginare soluzioni nuove che non trascurino le esigenze della prevenzione del contagio ma, al contempo, contengano il più possibile la scuola a distanza, mi permetto due indicazioni, non certo risolutive ma nemmeno banali.

Tutti coloro che si stanno occupando di gestione del distanziamento sociale in ambito scolastico sanno bene che il fattore critico è quello dei trasporti; a chiunque, anche fra i non addetti ai lavori, credo sia capitato di imbattersi in autobus o carrozze ferroviarie stracariche di studenti. È di immediata evidenza che, raddoppiando i mezzi pubblici impegnati nelle fasce orarie degli spostamenti degli studenti, si otterrebbe un utilizzo al 50%, e triplicandoli si scenderebbe al 33%. Ci si poteva pensare un anno fa, si poteva dedicare la tregua dell’estate scorsa a una completa riorganizzazione dei trasporti, e non lo si è fatto. Meglio tardi che mai, recita un saggio proverbio; ci si può sempre mettere all’opera domani mattina. La cosa comporterebbe costi pesanti? Sicuramente, ma ricordiamoci la fondamentale affermazione di Draghi, al Meeting di Rimini, a proposito di contenimento della pandemia: c’è un debito cattivo e c’è un debito buono.

Ogni istituto scolastico, di fronte al problema della gestione del distanziamento, si trova ad agire in condizioni diverse: diversa è la conformazione degli edifici e diversa è in particolare la disposizione degli accessi esterni; diversa è la provenienza degli studenti e vari sono perciò i problemi connessi ai trasporti; diversa è l’età degli studenti, con differenti possibilità di coinvolgerli consapevolmente nella gestione degli spostamenti. Ogni dirigente scolastico sa bene che l’arma più efficace per gestire al meglio situazioni di emergenza è la disponibilità di docenti e non docenti ad accettare sacrifici e a sobbarcarsi oneri professionali che eccedano quelli previsti dal contratto. Questa disponibilità ovviamente non è una variabile costante, una scuola non è diversa da un ospedale. Mi rendo ben conto che sto infrangendo un dogma del sindacalese dominante, ma, se si vuole essere creativi, se si vogliono inventare soluzioni nuove, non si può fare a meno di infrangere qualche dogma mondano.

Queste diversità del contesto scolastico comportano l’evidente conseguenza che l’efficacia dell’azione di contenimento della pandemia esiga la massima autonomia organizzativa. Alle istituzioni di governo del territorio compete la definizione di norme generali chiare e vincolanti, all’interno delle quali ogni scuola deve poter individuare le modalità di funzionamento operativo più adeguate a una fruttuosa attività didattica.

Sta succedendo esattamente l’opposto. Diverse volte mi sono trovato di fronte a dirigenti scolastici disperati, o furibondi, perché, dopo aver trascorso la notte a riorganizzare l’orario delle lezioni nel miglior modo possibile, si sono trovati la mattina a dover rifare tutto da capo per soddisfare disposizioni dei prefetti, costruite su situazioni del tutto diverse da quelle della loro scuola.

Ormai da molti anni si parla di autonomia delle istituzioni scolastiche senza che sia stato fatto un solo passo in questa direzione. Il drammatico, e imprevedibile, stato di emergenza in cui ci troviamo, sta facendo venire a galla un dato di evidenza di fronte al quale non è più possibile fare finta di niente: senza autonomia la scuola muore, il rigido centralismo statalista del sistema scolastico italiano è veramente al capolinea.

* Consulente scolastico