Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Giuseppe a cura di Ermes Dovico
PEDIATRI CANADESI

Pronti ad uccidere i bambini senza consultare le famiglie

Eutanasia per bambini, i medici dell'ospedale di Toronto includono l'estromissione dei genitori dalla decisione. A chi parla di "libertà di scelta" va chiesto: eliminata l’ultima protezione per il minore (la famiglia), chi garantisce che un medico o l'ambiente non lo influenzi a scegliere la morte? 

Vita e bioetica 18_10_2018

Perché la legge ha sempre privato di alcuni diritti le persone di età minore ad una certa soglia? Per proteggere chi non è ancora in grado di fare scelte con conseguenze gravi per sé e per la società. Infatti, per mettere al riparo i minori da ogni manipolazione esterna, la legge aveva sempre riconosciuto alla famiglia il diritto/dovere di prendere decisioni, se non al loro posto, insieme ai figli, considerandola come l’istituto più propenso (a parte i casi per cui viene tolta la patria potestà) a perseguire in maniera disinteressata il loro bene, quindi come l'argine ad un eventuale potere che veda la persona come strumentale a sé.

Fatta questa premessa si può dedurre come mai un paese come il Canada, dopo aver approvato leggi sulla libertà sessuale e religiosa dei bambini, che prevede l’allontanamento da una famiglia che ne ostacoli la scelta, ora stia spingendo per la legalizzazione dell’eutanasia sui minori in una forma ancora più radicale di quella scelta dagli Stati pionieri di questa pratica (Olanda e Belgio). I medici dell’Ospedale dei Bambini di Toronto hanno infatti pubblicato sulla prestigiosa rivista British Medical Journal’s J Medical Ethics le proprie linee guida sull'eutanasia per bambini, che includono scenari in cui i genitori saranno estromessi dalla decisione e avvertiti della procedura solo a morte avvenuta. 

Sembra impossibile, ma nella policy dell’ospedale, riportata dalla Crux, si legge che «normalmente la famiglia è intimamente coinvolta in questo processo decisionale (di fine vita). Se, tuttavia, un paziente capace di intendere e volere indica esplicitamente di non desiderare che i propri familiari siano coinvolti nel processo decisionale, sebbene il personale sanitario possa incoraggiare il paziente a riconsiderare di coinvolgere la propria famiglia, alla fine devono essere rispettati i desideri dei pazienti». Gli autori delle linee guida hanno poi giustificato la pratica ricordando che in Ontario non è richiesto il coinvolgimento dei genitori nel rifiuto di continuare le cure e che perciò non ci deve essere nemmeno nel caso della richiesta di essere uccisi.

Ma, eliminata anche l’ultima protezione per il minore (la famiglia), chi può garantire che un medico, convinto che la sofferenza di un bambino sia inutile o che non riesca a reggerla, non influenzi il paziente a scegliere la morte, inducendolo in tentazione all’insaputa dei genitori? La risposta vien da sè: in questo modo nessuno.

Il dramma però è che tutto ciò è già mentalità, nonostante la legge approvata due anni fa ed entrata in vigore nel 2017 abbia legalizzato l’eutanasia solo per gli adulti. A dirlo è un sondaggio svolto su 1.050 medici e pubblicato dalla Canadian Paediatric Society, da cui emerge che i medici hanno già discusso di suicidio assistito con i loro pazienti minorenni e con le loro famiglie e che la metà di loro è favorevole alla pratica.

Anche per questo il fine del paper non è tanto quello di chiudere fra le quattro mura di un singolo ospedale la pratica, ma è ben più ambizioso: «Questo documento - si legge nell’abstract - è inteso come una road map attraverso il panorama giuridico ed etico emergente del Maid (Aiuto medicalmente assistito alla morte) pediatrico. Offriamo un panorama delle strade prese e considerate lungo il cammino e le nostre giustificazioni sul fatto di percorrere i sentieri che abbiamo scelto», sperando «di stimolare una più ampia discussione sui problemi e le domande emerse in questo lavoro».

La Crux fa poi notare che l’articolo è apparso a ridosso dell’audizione in Parlamento del Canadian Council of Academies, favorevole all’omicidio di minori, e all’estensione della legge in circostanze ancora vietate, ad esempio in seguito ad una diagnosi di Alzheimer o di altre malattie prima che i sintomi si presentino.

Al giornale la bioeticista Bridget Campion ha giustamente confessato di non essere per nulla sorpresa, perché una volta che la morte diventa una pratica di carità legale è chiaro che sia vista in ogni caso come un diritto di ogni sofferente. Secondo Campion, però, il punto è solo concentrarsi per difendere l’obiezione di coscienza e la possibilità «di costruire una cultura della vita» e la presenza di ospedali in cui l'eutanasia sia bandita. È chiaro però che una volta che la morte viene considerata un diritto non ci si può neanche sorprendere che chi non la provoca sia considerato un cattivo medico. Non a caso in Canada sono già state licenziate persone che si sono rifiutate di “somministrare” la “dolce morte”. 

Il problema, quindi, prima dell'obiezione di coscienza, sta nel risolvere il fraintendimento culturale del concetto di libertà, per cui molti sostengono l’eutanasia argomentando che legalizzarla rende tutti più liberi (di uccidersi o di essere curati fino alla fine della vita). Ma è chiaro che quando una Nazione fa della morte un diritto, ossia un bene e una possibilità necessari per chi è malato, è facile che il sofferente sia indotto in tentazione. Mentre la mentalità della morte, estendendosi anche fra il personale sanitario, farà sentire il malato, l’anziano, il demente etc. come "un peso" che deve levarsi di mezzo. Se questa è dunque libertà, allora viva il plagio.