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l'analisi / 2

Potestà d'ordine e di giurisdizione, distinte ma non distanti

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Prosegue l'approfondimento sul potere di governo nella Chiesa, che non deriva dall'ordine sacro e tuttavia è legato a esso. Ma quali uffici lo richiedono di per sé? È urgente chiarirlo dopo la nomina di laici e religiose a capo di Dicasteri vaticani.

Ecclesia 17_06_2025
STEFANO CAROFEI - IMAGOECONOMICA

Il precedente articolo si concludeva con un riferimento all’enciclica Mystici Corporis, che chiariva come il potere di governo derivi direttamente dal Romano Pontefice e non dal sacramento dell’ordine. Lo stesso Pio XII, nell’Allocuzione in occasione del secondo Congresso mondiale dell’apostolato dei laici (5 settembre 1957), spiegava però anche che «i poteri di ordine e di giurisdizione restano strettamente legati alla ricezione del sacramento dell’ordine nei suoi diversi gradi». Un legame reale, che non nasconde la diversità di origine tra il potere d’ordine e quello di governo: nel primo caso, esso viene conferito con il sacramento, nel secondo direttamente dal Pontefice per diritto divino. Ma resta il fatto che anche il potere di giurisdizione è profondamente legato all’ordine sacro.

Il Concilio Vaticano II sembra approfondire questo insegnamento di Pio XII: lo stretto legame nasce infatti dai munera conferiti dal sacramento dell’ordine, ossia da quella conformazione interiore a Cristo capo operata dal sacramento, che dispone il soggetto all’esercizio delle potestates e lo abilita a riceverle. Alfons M. Stickler, nello studio che abbiamo citato nel precedente articolo, avverte che la separazione delle due potestà non deve diventare alienazione, poiché «la volontà divina […] sulla Chiesa non ha voluto la divisione delle potestà, ma stabilì che tutte le potestà fossero presenti e venissero esercitate dal medesimo pastore» (Op. cit., p. 84, trad. dal latino nostra). In effetti, l’amministrazione dei sacramenti, l’insegnamento autorevole della Parola di Dio e il governo della Chiesa riguardano tutte la salus animarum, per la quale il sacramento dell’ordine è stato istituito. E conferma ne è proprio il fatto che i tria munera vengono conferiti con questo sacramento, conformando l’ordinato a Cristo capo e imprimendo in lui queste disposizioni ontologiche. Dal che correttamente Stickler deduce che «nella Chiesa gli uffici anche inferiori che implicano la salute delle anime dovevano essere conferiti soltanto a coloro che erano ornati dell’ordine sacro, che a tale cura corrisponde» (Ibi).

Dunque, riassumendo: la potestas ordinis e la potestas iurisdictionis sono effettivamente distinte e separate in se stesse: la prima proviene dal sacramento dell’ordine, la seconda dal Romano Pontefice; la prima è permanente, la seconda può essere revocata; la prima non è delegabile, la seconda sì. Eppure le due potestà ineriscono al medesimo soggetto ordinato e che ha ricevuto la missio canonica dal Pontefice. Tant’è vero che la Chiesa, nel caso che ad essere eletto Sommo Pontefice sia un laico, richiede al neo successore di Pietro di ricevere gli ordini sacri il prima possibile (sebbene resti fermo che gli atti da lui eventualmente emanati prima della consacrazione episcopali sono veri atti di giurisdizione); lo stesso vale per la nomina di un laico a reggere una diocesi (le situazioni storiche contrarie sono da considerarsi di fatto degli abusi).

Come spiegare allora la presenza di persone prive del sacramento dell’ordine ad esercitare la potestà di giurisdizione? Il caso più eclatante è quello delle badesse a capo di diocesi: esse non possono in alcun caso ricevere gli ordini sacri, eppure hanno esercitato potestà di giurisdizione “simil episcopali” per privilegi concessi dalla Santa Sede. Alcuni canonisti hanno spiegato la giurisdizione delle badesse ricorrendo alla distinzione tra diritto comune e diritto singolare: mentre il diritto comune prevede che ad esercitare il potere di giurisdizione debbano essere uomini ordinati, è possibile che per diritto singolare, ossia per speciale privilegio, tale potestà delegata (dunque non ex ratione officii) venga esercitata anche da un non chierico. Si può dire che queste badesse esercitavano un potere “simil episcopale” per privilegio del Romano Pontefice, ma non erano vescovi delle loro diocesi.

Mettiamo subito le mani avanti: non c’è affatto conformità di vedute nell’ambito teologico e canonico sulla questione. Alla luce del costante insegnamento della Chiesa, possiamo affermare con certezza che potestà d’ordine e di giurisdizione hanno origine diversa; e se è chiaro che la potestà d’ordine richiede necessariamente il sacramento, la potestà di giurisdizione esercitata per delega no. La precisazione “per delega” è importante, perché l’ufficio di capitalità esercitato dai vescovi nelle loro diocesi non è una delega della potestà papale, ma un ufficio esercitato per quella potestà che Cristo ha dato ai vescovi, a loro comunicata dal Papa mediante la missio canonica.

Vi sono però altri uffici non capitali che vengono esercitati per potestà di giurisdizione delegata, nella quale appunto le persone che ricoprono l’ufficio lo esercitano per potere delegato del Sommo Pontefice. Ora, in queste situazioni la storia impedisce di pensare che essi debbano necessariamente essere esercitati da chi ha ricevuto l’ordine sacro. Ma resta tuttavia chiaro che se l’insegnamento del Vaticano II sulla relazione tra sacramento dell’ordine e i munera da una parte, e tra i munera e le potestates dall’altra ha un senso (e ce l’ha), allora la disgiunzione abituale delle due potestà in soggetti diversi non può che apparire problematica. Come d’altra parte Pio XII aveva confermato. Detto in altro modo: se il sacramento dell’ordine conforma a Cristo capo e conferisce le disposizioni (munera) per rendere abili ad esercitare le potestà d’ordine e giurisdizione, ciò significa che la potestà di giurisdizione dev’essere conferita ordinariamente a uomini ordinati, pena l’annacquamento del senso dei munera.

Le due nomine femminili ai vertici del medesimo Dicastero per la vita consacrata appaiono pertanto problematiche sul versante della relazione tra i munera e la potestà di giurisdizione, così come maturato nella costituzione dogmatica Lumen Gentium, che ha riflettuto in profondità sulla sacramentalità dell’episcopato. La riforma voluta da Francesco (e che sembra confermata da Leone XIV) nella costituzione apostolica Prædicate Evangelium (PE), che prevede che «qualunque fedele può presiedere un Dicastero o un Organismo, attesa la peculiare competenza, potestà di governo e funzione di questi ultimi» (Preambolo II, 5), appare sminuire l’insegnamento di Lumen Gentium ed indebolire la relazione del potere di governo con il sacramento dell’ordine. Non perché la costituzione conciliare insegni l’identità dei munera e delle potestates, e nemmeno perché affermi l’origine sacramentale della potestà di giurisdizione, ma perché con PE viene di fatto introdotta la possibilità di una delega abituale della potestà di giurisdizione a dei laici, ponendoli a capo dei Dicasteri della Curia romana, che sembra sminuire il senso profondo delle disposizioni impresse dal sacramento dell’ordine. Se quest’ultimo crea nell’ordinato una capacità ontologica che rende il soggetto abile all’esercizio delle potestates, allora una presenza abituale di laici privi di questa capacità ontologica che esercitano la potestà di giurisdizione non può che svalutare l’importanza dei munera.

Al di là di tutto, emerge sempre di più l’urgenza di definire quali uffici richiedano necessariamente l’ordinazione (almeno presbiterale) e quali invece possano essere delegati a laici, senza compromettere la stretta relazione tra l’ordine sacro e la potestà di giurisdizione.



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