Potere di giurisdizione ai laici e munus, una distinzione decisiva
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La recente nomina di papa Leone XIV di Suor Tiziana Merletti come segretario del Dicastero per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica (DIVCSVA) ha riproposto la questione della possibilità per un laico, in questo caso una donna, di poter assumere un incarico di governo. Un "rompicapo" canonico che si risolve nella distinzione tra munus e potestas.

La recente nomina da parte di papa Leone XIV di Suor Tiziana Merletti come segretario del Dicastero per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica (DIVCSVA) ha riproposto la questione della possibilità per un laico, in questo caso una donna, di poter assumere un incarico di governo, più precisamente di poter esercitare un incarico che esige un potere di giurisdizione.
Il suddetto Dicastero risulta oggi guidato, in qualità di Prefetto, da un’altra religiosa, Suor Simona Brambilla, affiancata dal Pro-Prefetto, il Cardinale Ángel Fernández Artime.
Quest’ultima nomina risulta alquanto curiosa. La carica di Pro-Prefetto è stata istituita per il Dicastero dell’Evangelizzazione, che papa Francesco volle fosse presieduto direttamente dal Romano Pontefice, il quale ne risulta pertanto come il Prefetto. Il Pro-Prefetto, attualmente Mons. Salvatore Fisichella, secondo quanto stabilito dalla Costituzione Apostolica Prædicate Evangelium (art. 54), regge il dicastero a nome e per autorità del Papa. Dunque, il Pro-Prefetto esiste perché il Prefetto – il Papa – non può reggere concretamente il Dicastero.
Ci si domanda per quale ragione papa Francesco non abbia nominato direttamente un Prefetto, ma tant’è. Il punto è che al DIVCSVA il Prefetto esiste e non è il Papa: la nomina di un Pro-Prefetto non ha dunque senso. Questa decisione, voluta da Francesco, manifesta perlomeno un certo “imbarazzo giuridico” di fronte al fatto che a presiedere un Dicastero della Curia romana sia un laico, dal momento che permane il can. 129 § 1, il quale prevede essere «abili alla potestà di governo, che propriamente è nella Chiesa per istituzione divina e viene denominata anche potestà di giurisdizione, coloro che sono insigniti dell'ordine sacro, a norma delle disposizioni del diritto». È pur vero che dal § 2 è disposto che i laici possano cooperare nell’esercizio della medesima potestà e, sebbene la differenza tra “essere abili” ed “essere cooperatori” non sia chiarissima, essa esiste (altrimenti non si spiega la distinzione introdotta dal § 2). Secondo diversi commentatori, essere abili comporta la capacità ontologica di esercitare il potere di governo nella persona di Cristo capo, al quale si è conformati in virtù dell’Ordine sacro. Pertanto, il § 1 si riferisce a quegli uffici che richiedono la capacità di agire in persona Christi capitis. Non così per i cooperatori.
Il can. 274 § 1 precisa ulteriormente: «Solo i chierici possono ottenere uffici il cui esercizio richieda la potestà di ordine o la potestà di governo ecclesiastico». Nulla quæstio che l’esercizio della potestà d’ordine richieda il sacramento dell’ordine, ma per la potestà di governo il problema permane: quali sono questi uffici che possono essere esercitati solo dai chierici? Se sembrano non esistere dubbi sul fatto che per presiedere una diocesi sia necessaria l’ordinazione episcopale, la guida di un Dicastero della Curia romana, nelle persone del Prefetto e del Segretario, rientra in questa categoria?
Il problema sembra complicarsi ulteriormente allorché si esaminano le reazioni a queste scelte di Francesco prima e di Leone XIV poi: da una parte abbiamo i sostenitori della possibilità da parte dei laici, incluse le donne, di esercitare il potere di giurisdizione nelle sue diverse forme, dal momento che questa potestas non dipende dall’ordine sacro ma discende direttamente dal potere supremo di giurisdizione del Romano pontefice; dall’altra, gli oppositori ritengono, sulla base di Lumen Gentium, che tale potestà deriverebbe invece dall’ordinazione, spettando al Papa la sola determinazione dell’esercizio, per cui risulterebbe un abuso la nomina di laici in uffici ove si debba esercitare tale potestà.
Partiamo dall’ultima posizione. È piuttosto chiaro che esistono due potestates: la potestas ordinis, che richiede necessariamente l’ordinazione sacramentale, con la quale si amministrano i sacramenti, e la potestas iurisdictionis, che include la potestà di insegnare e di governare. Ma secondo alcuni sostenitori, il § 21 della Costituzione dogmatica Lumen Gentium sosterrebbe che le due potestà verrebbero conferite dall’ordinazione episcopale; sganciare la potestas iurisdictionis dal sacramento dell’ordine significherebbe ridurre il ministero di governo nella Chiesa alla stregua di un potere secolare. Come però fece notare il futuro Cardinale Alfons M. Stickler (cf. De potestatis sacræ natura et origine, in «Periodica de re canonica», 71 (1982), pp. 83-86), la Nota explicativa prævia a Lumen Gentium, voluta da Paolo VI, mise in guardia da possibili errori affermando espressamente che i munera conferiti con l’ordine sacro non sono le potestates. I munera appaiono come un dono spirituale che dispone ontologicamente – rende habiles, per riprendere il can. 129 – chi riceve l’ordine sacro all’esercizio delle potestates.
Riguardo a queste ultime, occorre precisare che l’ordinazione episcopale conferisce anche la pienezza della potestas ordinis, che dev’essere comunque esercitata nella comunione della Chiesa e non è in alcun modo delegabile, ma non conferisce la potestas iurisdictionis. La precisazione è importante in quanto permette di spiegare che, mentre non è possibile esercitare validamente la potestà d’ordine senza aver ricevuto il sacramento dell’ordine, è invece possibile, in taluni casi particolari, esercitare validamente la potestà di giurisdizione, senza l’ordine sacro.
Il punto che qui maggiormente preme sottolineare è che il munus non è la potestas, né il Concilio Vaticano II ha inteso identificarli; è dunque errato ritenere che il Concilio affermi che la potestà di giurisdizione sia conferita ipso facto con il sacramento dell’ordine. D’altra parte la storia della Chiesa è zeppa di esempi – si pensi alla giurisdizione delle badesse, o a quella dei superiori non ordinati degli ordini religiosi, o ancora ai giudici nei tribunali ecclesiastici – in cui persone senza gli ordini sacri abbiano lecitamente esercitato ed esercitino la potestà di governo; il che permette di capire come l’origine di tale potestà non si ritrovi nell’ordine sacro.
Questa verità la si ritrova non solo di fatto nella storia della Chiesa, ma anche nel suo insegnamento. Riguardo agli Ordinari, Pio XII spiegava che essi «in quanto riguarda la propria Diocesi, son veri Pastori che guidano e reggono in nome di Cristo il gregge assegnato a ciascuno. Ma essi mentre fanno ciò, non sono del tutto indipendenti, poiché sono sottoposti alla debita autorità del Romano Pontefice, pur fruendo dell’ordinaria potestà di giurisdizione comunicata loro direttamente dallo stesso Sommo Pontefice» (Mystici Corporis). È evidente l’affermazione che la potestà di giurisdizione non deriva dall’ordine sacro, ma direttamente dal Romano Pontefice.
Posta dunque la distinzione tra potestà d’ordine e potestà di giurisdizione o governo da una parte, e tra munus e potestas dall’altra, rimane ancora da comprendere le loro relazioni. Perché la distinzione non significa separazione.
1- Continua