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Ora di dottrina / 131 – La trascrizione

Perché l’Incarnazione – Il testo del video

Iniziamo a trattare la persona e il mistero di Gesù Cristo, a cui san Tommaso dedica la terza parte della Summa, come cardine della dinamica di exitus e reditus. Con l’Incarnazione raggiungiamo il vertice della comunicazione del bene, cioè di Dio stesso, all’uomo.

Catechismo 29_09_2024

Iniziamo oggi un’ampia sezione che dedicheremo alla persona, alla vita, alle opere, al mistero di nostro Signore Gesù Cristo. In pratica, introduciamo il commento a tutta quella sezione del Credo che noi professiamo: «Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, etc.».

Comprendete che qui apriamo un’altra sezione veramente molto importante e ampia. Oggi cerchiamo di capire l’importanza di questo capitolo, di connetterlo con il percorso che abbiamo fatto finora. Il nostro percorso – chi segue le catechesi da un po’ lo sa usque ad nauseam – cerca un po’ di seguire il grande piano della Somma Teologica di san Tommaso d’Aquino. Questo piano dell’opera della Summa, come abbiamo detto nelle catechesi precedenti, si concentra intorno a un grande tema: il tema dell’exitus, cioè tutto ciò che viene da Dio. Quindi, prima di tutto, Dio considerato in Sé stesso, e questa è la prima parte della Summa. Dio, considerato come exemplar, da cui proviene la creazione; si parla di creazione, non di emanazione da Dio, quindi atto di libertà, atto di volontà e di sapienza infinite che Dio ha posto. Quindi, la creazione è questa “uscita” da Dio.

E poi l’altro grande tema è quello del ritorno (reditus). Abbiamo visto come in questa uscita – la creazione in sé stessa, la creazione degli angeli, la creazione dell’uomo – ci sia già una vocazione al ritorno, il tornare alla sorgente, all’origine. E ciò accade nella modalità propria delle creature, cioè l’angelo e l’uomo vi ritornano secondo la propria natura, così come è uscita da Dio. E quindi abbiamo visto come questo ritorno dell’uomo a Dio avviene attraverso tre elementi fondamentali: la legge, le virtù e la grazia. Facciamo un grande riassunto, per maggiori dettagli vi rimando alle catechesi precedenti: la legge illumina l’intelletto dell’uomo, gli indica ciò che egli deve compiere, deve seguire e deve evitare; le virtù indicano l’inclinazione al bene, inclinazione che non è data all’uomo una volta per tutte, ma che viene modellata, radicata precisamente con l’esercizio stesso delle virtù; la grazia ha la duplice componente di sanare la natura – la gratia sanans, che risana la natura decaduta dopo la colpa – e di elevarla, la gratia elevans. La grazia avrebbe elevato l’uomo anche se l’uomo non fosse decaduto, perché appunto è una qualità sopraggiunta dell’anima, che le permette di vivere, di operare alla misura di Dio.

Quindi, in questa struttura di uscita e di ritorno abbiamo Dio che è l’exemplar sommo e la creazione che è una sua impronta. Tutto ciò che esiste porta l’impronta di Dio, altrimenti non esisterebbe. E qui troviamo anche l’uomo, che non è semplicemente un’impronta divina, ma è creato a immagine e somiglianza di Dio. Questa immagine di Dio che l’uomo ha impressa in sé stesso compie questo ritorno portando anche la somiglianza. Nei Padri c’è spesso questa distinzione: perché immagine e somiglianza e non solo immagine? Perché la somiglianza viene vista un po’ come, diciamo così, il compito dell’uomo, ciò che proviene dalla sua libertà, dalle sue scelte, dalla sua vita, sempre ovviamente con la grazia, sostenuto, o meglio prevenuto, accompagnato e portato a compimento dall’opera della grazia, in quella meravigliosa sinergia che permane come mistero, ma che abbiamo un po’ scandagliato parlando di questo rapporto bellissimo tra la natura e la grazia.

Verrebbe da dire – diversi teologi lo hanno messo in luce – che in san Tommaso la figura di Gesù Cristo è un po’ “periferica”. San Tommaso la posiziona quasi alla fine, nella terza parte della Summa. La prima parte si occupa di Dio, dell’exemplar e dell’uscita. La seconda parte già mette sul tappeto questo ritorno, indaga la creazione particolare dell’uomo e il suo ritorno, occupandosi della legge, delle virtù, dei vizi, della grazia, della giustificazione, del merito. Abbiamo visto queste parti. Sembrerebbe che il grande assente sia Gesù Cristo, che viene dopo, in una terza parte, quando i giochi sembrerebbero già compiuti; ma non è così: questo tipo di obiezione non tiene conto in modo adeguato, a mio avviso, del piano con cui Tommaso struttura la Summa.

Ora, nel Prologo della I-II, cioè nella prima parte della seconda parte della Summa, già san Tommaso scriveva: «Poiché, come insegna il Damasceno, si dice che l’uomo è stato fatto a immagine di Dio, intendendo per immagine un essere dotato di intelligenza, di libero arbitrio e di dominio dei propri atti, dopo aver parlato dell’esemplare, cioè di Dio, e di quanto è derivato dalla divina potenza secondo la sua volontà [dunque, l’exitus della creazione], rimane da trattare della sua immagine, cioè dell’uomo, in quanto anch’egli principio delle proprie azioni, in forza del libero arbitrio e del dominio che ha su di esse».

San Tommaso ci sta dicendo, in questa introduzione, che la seconda parte è dedicata a questa immagine, dopo che la prima è stata dedicata all’esemplare, a Dio stesso. Ma nel Prologo della terza parte, san Tommaso scrive: «Poiché il nostro Salvatore, il Signore Gesù Cristo, salvando il suo popolo dai suoi peccati, ci mostrò in Sé stesso la via della verità, seguendo la quale possiamo giungere, risorgendo, alla beatitudine della vita immortale, è necessario, per condurre a termine tutto il corso teologico, che alla considerazione del fine ultimo della vita umana e delle virtù e dei vizi [che era appunto la seconda parte] faccia seguito lo studio dello stesso Salvatore di tutti e dei benefici da Lui apportati al genere umano».

In sostanza, Tommaso richiama in qualche modo l’espressione del Vangelo di Giovanni (1,17): «La legge è stata data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità per mezzo di Gesù Cristo». E qui ritorniamo allo schema fondamentale della Summa. L’uomo non può compiere il reditus se non per mezzo della verità e della grazia che ci vengono da Gesù Cristo. Se è chiaro il parallelo exemplar-immagine (Dio è l’esemplare, l’uomo la sua immagine), noi sappiamo che Gesù Cristo è la perfetta immagine di Dio, è il Verbo generato dal Padre, come sua perfetta immagine. E questa perfetta immagine assume la natura umana. Diventa impossibile comprendere questa immagine ed è anche impossibile comprendere e compiere questo ritorno, senza quella mediazione tra Dio e l’uomo che diventano uno nella persona di Gesù Cristo, appunto vero Dio e vero uomo.

Si comprende allora che Gesù Cristo non si trova “relegato” nella terza parte della Summa e basta. Era fondamentale dedicargli una sezione a sé, ma non a sé stante cioè avulsa da quanto stiamo dicendo, ma come cuore, cardine anzitutto di questa uscita, perché tutto è stato creato per mezzo del Verbo e secondo, in qualche modo, l’immagine del Verbo. La creazione dobbiamo pensarla come una grande gradazione che ci parla del Verbo divino. Ed è inoltre impossibile il reditus, il ritorno, se non per mezzo dello stesso Verbo, il quale nella sua vita compie proprio questo: “esce” dal Padre (sappiamo che la sua divinità non lascia il Padre), perché assume la nostra natura, compie l’opera della Redenzione, risorge e torna al Padre con l’Ascensione. Ma non torna al Padre da solo – l’altro punto fondamentale al quale dedicheremo un’altra sezione enorme è quello della Chiesa –, bensì, in questo movimento di ritorno che si esprime mirabilmente nel mistero dell’Ascensione, “aggancia” a Sé tutti gli uomini che accettano di essere immersi nella sua morte per risorgere con Lui e ascendere al cielo con Lui. È il grande mistero del battesimo e della vita della Chiesa. Questa è la vita nella Chiesa, il resto è “contorno”.

Dunque, il Verbo incarnato, a cui Tommaso dedica tutta questa sezione della terza parte, s’innesta proprio nel cuore di questo exitus e reditus, nel cuore di questa dinamica tra l’exemplar, Dio, e la sua immagine. Egli è l’immagine, è Colui che è uscito per ritornare e per far ritornare in Lui tutti gli uomini trovati in Lui e tutta la creazione che si condensa in qualche modo nell’uomo. Ecco perché Cristo assume la natura umana: perché in questa natura c’è in qualche modo tutta la creazione.

Questo, dunque, è il quadro fondamentale in cui ci andiamo a inserire con questa nuova sezione. Ed è da ricordare, perché tratteremo anche dei dettagli, ma sempre all’interno di questo contesto molto più ampio. Un contesto nel quale s’inserisce la prima quæstio della terza parte, nella quale san Tommaso si domanda circa la convenienza dell’Incarnazione o il perché dell’Incarnazione. Questo era il grande tema della teologia medievale – cur Deus homo? perché Dio si è fatto uomo? – senza la pretesa evidentemente di esaurire il mistero divino, ma nella consapevolezza che Dio non agisce in modo assurdo e che ha dato all’uomo una ragione che in qualche modo è specchio, è riflesso della sua. Chiaramente è una ragione creata, non è commensurabile all’intelletto, all’intelligenza divina. E tuttavia non è un puro nulla; quindi questa ragione è chiamata a indagare, con la luce della fede, le ragioni per cui Dio si è incarnato. Da qui, la convenienza. Ma perché “solo” convenienza? Perché Dio non era necessitato ad alcunché, neanche all’Incarnazione.

Ora vediamo l’articolo 1 di tale quæstio e cerchiamo di dare una prima risposta (la prossima volta proseguiremo sullo stesso tema, con l’art. 2) al perché Dio si fa uomo, al perché dell’Incarnazione.

Leggiamolo: «A ciascuna cosa è conveniente ciò che è secondo la sua natura, come all’uomo il ragionare, essendo egli per sua natura ragionevole» (III, q. 1, a. 1). San Tommaso è ottimista: l’uomo è dotato di ragione, quindi per sua natura dovrebbe ragionare, ma noi smentiamo questa verità tutti i giorni… battute a parte, si comprende cosa vuol dire. «Ma la natura di Dio è la bontà stessa, come spiega Dionigi [Dionigi l’Areopagita, di cui si cita l’opera Sui nomi divini: i nomi, cioè gli attributi che si riferiscono a Dio, come il fatto che si dice che Dio è la bontà stessa]. Perciò conviene a Dio tutto ciò che è proprio della bontà» Se Dio è bontà, se Dio è tutto il bene, come diceva san Francesco d’Assisi, il sommo bene, allora a Dio conviene tutto ciò che è proprio della bontà. E continua: «Ora, la bontà tende a comunicarsi, osserva Dionigi. Di conseguenza alla somma bontà si addice di comunicarsi alla creatura in modo sommo. E ciò avviene precisamente quando Dio “unisce a Sé una natura creata in modo che una sola persona risulti di tre elementi: il Verbo, l’anima e la carne”, come dice S. Agostino, nel De Trinitate. È chiaro dunque che l’Incarnazione di Dio era conveniente» (ibidem).

È un testo di una densità straordinaria. Tommaso ci sta dicendo: Dio è il bene sommo, non c’è bene senza Dio, non c’è bene completamente al di fuori di Dio e tutto ciò che è bene viene da Dio. Ora, il bene per sua natura si diffonde, si comunica: bonum diffusivum sui, cioè il bene tende a comunicare sé stesso. Ora, se la natura divina è il bene, e il bene si comunica, dunque conviene, è conveniente – cioè è proprio di questa natura divina – comunicarsi. E il sommo di questa comunicazione avviene quando Dio si dà alla sua creatura assumendo in Sé la stessa creazione perché, nell’assunzione dell’uomo, Dio unisce a Sé la natura umana e quindi, in fondo, anche le nature spirituali che nell’uomo sono “presenti”, nel senso che l’uomo ha questa dimensione spirituale nella sua anima, e tutta la creazione materiale che l’uomo ha in sé grazie appunto a questa sua dimensione materiale, corporea. Di questa unione delle due dimensioni abbiamo già parlato nella catechesi sull’uomo, a cui vi rimando.

Il punto è che con l’Incarnazione giungiamo al sommo di questa comunicazione del bene; come a dire che Dio di più non poteva fare, quanto alla comunicazione alla sua creatura. Non stiamo parlando della reciproca donazione delle tre Persone trinitarie.

Dunque, l’Incarnazione è vista, nella logica di Tommaso, come il punto sommo, il vertice di questa comunicazione. Era perciò conveniente che Dio s’incarnasse: cosa vuol dire conveniente? Vuol dire conforme alla sua natura di bene. Non necessario, attenzione, ma conveniente.

Per apprezzare ulteriormente la densità di questo testo, dobbiamo rifarci a un’idea che è spesso presente nei testi di Tommaso, non principalmente nella Summa, ma che si trova già nelle prime opere importanti, come il Commento alle Sentenze di Pietro Lombardo, ma anche nel Commento al Vangelo di San Giovanni, una delle opere più mature. Troviamo spesso in filigrana questa idea, che citiamo ora dal Commento alle Sentenze di Pietro Lombardo (I, d. 37, q. 1, a. 2). Che cosa fa san Tommaso in questo testo (forse più didattico di altri)? San Tommaso, in sostanza, espone i tre modi in cui Dio è presente nella creazione, che in realtà sono le tre “comunicazioni” che Dio fa di Sé stesso alle sue creature. La prima di queste presenze, di queste comunicazioni, «si realizza per semplice similitudine, cioè nella misura in cui si trova nella creatura una somiglianza della divina bontà, senza che essa raggiunga Dio considerato nella sua sostanza. Questo modo di congiunzione lo si incontra in tutte le creature nelle quali Dio si trova per la sua essenza, per la sua presenza e la sua potenza». Spieghiamo. Questa prima presenza – che tradizionalmente si chiama “presenza di immensità” – la si trova in tutto ciò che è creato. Le cose non esisterebbero se non vi fosse questa presenza di immensità di Dio. Ed è una presenza (abbiamo parlato anche di vestigium), una similitudine che è impressa in ogni creatura. Attenzione a questa sottolineatura: non c’è creatura nella quale Dio non si trovi per essenza, per presenza e per potenza.

Attenzione, precisazione d’obbligo: san Tommaso non sta in nessun modo sostenendo una tesi di tipo panteistico, cioè una coincidenza tra Dio e la natura, perché altrimenti non la chiameremmo nemmeno creazione. Ne abbiamo parlato a proposito dell’atto creativo. L’atto creativo è la comunicazione dell’essere, ma in un “salto ontologico”, perché Dio è l’essere, mentre ogni creatura riceve l’essere in una misura determinata dalla sua essenza. Il salto ontologico sta proprio qui: Dio è l’essere, potremmo dire che è l’essere che coincide con la sua essenza, cioè non ha limite; la creatura, invece, ha sempre un limite, altrimenti sarebbe Dio stesso. E qui c’è il salto ontologico che ci mette al sicuro da ogni tentazione di tipo panteistico. Ma questo salto non vuol dire che la creazione sia avulsa da Dio, non abbia nulla a che fare con Dio, che è una visione invece purtroppo molto “moderna”, contemporanea.

Ora, torniamo al testo visto sopra: cosa vuol dire che Dio è presente in ogni creatura per essenza, per presenza e per potenza? Lo spiega sempre Tommaso nel suo Commento al Vangelo di San Giovanni (I, lect. 5, n. 134): «Noi affermiamo che Dio è dappertutto nel mondo per la sua potenza, perché tutte le cose sono sottomesse al suo potere [e qui cita il Salmo 138]: “Se salgo in cielo là tu sei, se prendo le ali dell’aurora per abitare le estremità del mare, anche là mi guida la tua mano e mi afferra la tua destra”». Dunque, Dio è presente dappertutto per la sua potenza. Qual è il bersaglio teorico che per san Tommaso, di fatto, coincideva con delle persone ben precise nel dibattito dell’epoca? Qual è questo bersaglio quando si dice che Dio è presente in tutte le creature per potenza? È l’idea manichea, ma presente in diverse culture, come nei catari, che in qualche modo sono un revival del manicheismo, per cui esistono delle cose non create da Dio: cioè, c’è una creazione buona che viene dalla potenza divina e un’altra che non viene dalla potenza divina. Assolutamente no.

San Tommaso dice invece che Dio è presente in tutte le creature per potenza, cioè non c’è nulla che non sia soggetto al potere divino, nulla sfugge al potere divino. E qui apriamo tutto il discorso sulla Provvidenza, che avevamo già fatto. Vedete come ci sono diversi collegamenti: è molto bella la riflessione teologica, con questi richiami.

Prosegue Tommaso: «Dio è anche dappertutto per la sua presenza, poiché tutto ciò che è nel mondo è nudo e scoperto agli occhi suoi [qui cita la Lettera agli Ebrei, 4,13]». Cos’è questa presenza? Il bersaglio qui è un po’ l’idea di trascendenza di Averroè, secondo la quale tutta la creazione è sì sottomessa a Dio – non c’è un manicheismo –, e tuttavia non tutta è la sua presenza; cioè Dio non si occupa delle realtà materiali, non si occupa delle cose umili, non si occupa della sua creazione; idea che, nella versione più vicina a noi, di tipo deistico, suona un po’ così: “Dio è talmente alto che ha dato avvio alla creazione e la creazione va avanti per i fatti suoi”. No. San Tommaso ci dice che tutto il mondo è nudo davanti agli occhi di Dio, cioè ogni creatura è presente a Dio, in modo contemporaneo, attuale, non per ricordo, non per premura del futuro: è presente, trasparente davanti a Dio.

Ancora, il testo di san Tommaso dice: «Infine, Dio è dappertutto per la sua essenza, poiché la sua essenza costituisce ciò che vi è di più intimo in tutte le realtà. […] Ora Dio crea e conserva tutte le cose secondo l’atto d’essere di ogni realtà e, dato che l’atto d’essere forma ciò che vi è di più intimo in ogni realtà, è chiaro che Dio è in tutte le realtà per la sua essenza, mediante la quale le crea». Allora, cos’è questa idea? Qui il bersaglio è Avicenna. Non c’è creazione, non c’è parte della realtà, di quella che veniva chiamata anche “natura”, che noi chiamiamo giustamente creazione, non c’è nulla che non venga da Dio direttamente. Cioè, tutto ciò che esiste, esiste perché è stato creato da Dio. E quella creazione – ne abbiamo parlato quando abbiamo dedicato i nostri incontri alla creazione – che cos’è? È appunto la creazione dell’atto d’essere: cioè, ogni cosa esiste perché Dio gli partecipa questo atto d’essere che fa sì che quella cosa esista. Se non fosse così, non esisterebbe. Ma poiché esiste, e la parte più intima di ogni creatura è proprio questo atto d’essere ricevuto, allora vuol dire che Dio gli è presente nella sua essenza, non nel senso che coincida con la realtà creata. Nella sua essenza, perché appunto la parte più intima di ogni creatura è posta in essere da Dio. È data ed è conservata da Dio. Non è data come qualche cosa che ha una sua sussistenza in sé: è mantenuta, custodita, conservata nell’essere da Dio stesso. E dunque vedete quale intimità c’è tra la creazione e Dio, senza per questo cadere nel panteismo.

Quanto detto è solo il primo grado della comunicazione di Dio che è bontà e quindi si diffonde, si comunica alla creatura.

Il secondo grado lo troviamo ancora nel testo del Commento alle Sentenze: «Quando la creatura raggiunge Dio stesso, considerato nella sua sostanza, e non nella sua semplice somiglianza, e questo mediante la sua operazione», questo è il secondo grado di comunicazione. È quanto succede – spiega Tommaso – «quando qualcuno aderisce con la fede alla stessa verità prima e con la carità alla sovrana bontà. Tale dunque è il secondo modo, secondo il quale Dio è specialmente nei santi mediante la grazia». Cioè, la seconda grande comunicazione, più alta, più intensa che Dio fa alla sua creatura, è per il modo delle operazioni, cioè nella comunicazione delle virtù teologali: la fede, la speranza e la carità, dove si crea un’intimità tra Dio e la creatura, l’uomo in questo caso. E l’uomo agisce secondo la “dimensione divina”. Quindi, il secondo modo di comunicazione – più alto del primo, ma che non esclude il primo, non c’è una contesa – è quello secondo la grazia.

Dunque, abbiamo visto il primo modo, che è quello della presenza di immensità; il secondo modo, che è la grazia, ossia un modo nuovo di presenza divina nel mondo, che non è in continuità con quello della creazione, ma neppure è in conflitto: è un modo nuovo, superiore, più intimo di comunicazione.

Poi c’è un terzo modo, ancora più intimo, con cui Dio si comunica alla sua creazione. Dice san Tommaso: «La creatura raggiunge Dio stesso non solo mediante la sua operazione [l’abbiamo visto: la grazia] ma anche nel suo proprio essere. Quest’ultimo bisogna intenderlo non dell’atto che costituisce l’essenza divina, poiché la creatura non può mutarsi nella natura divina, ma dell’atto che costituisce l’ipostasi o la persona alla cui unione la creatura è elevata. È l’ultimo modo, quello secondo il quale Dio è in Cristo mediante l’unione». Cioè, in sostanza è l’unione ipostatica: l’unione della natura divina alla natura umana nell’unica persona divina di Gesù Cristo, del Verbo eterno. Questa è un’unione ancora più intima.

Abbiamo dunque la prima comunicazione, per similitudine (il vestigium); la seconda, per operazione o grazia; la terza è quella secondo l’unione ipostatica.

Questo testo delle Sentenze è una magnifica sintesi della “gradazione” della presenza di Dio nel mondo e che l’uomo è chiamato a contemplare in tutte le sue dimensioni, in tutta la sua estensione. Questo non significa che ci sia un passaggio necessario dal primo all’ultimo: la creazione infatti non esige la grazia; e la grazia non esige l’unione ipostatica. C’è dunque ogni volta un atto di bontà ulteriore di Dio, che vuole comunicarsi ulteriormente in modo più intimo alle sue creature.

Ma c’è una logica, una convenienza, che nasce dal fatto che Dio è la bontà stessa, è il bene che si comunica. Dunque, questo è il grande quadro nel quale noi andremo a inserire appunto tutti i misteri della vita di Cristo. La prossima volta continueremo ancora la riflessione sul perché dell’Incarnazione, analizzando in particolare l’art. 2 di questa prima quæstio della terza parte, che ci porterà ulteriori ragioni ancora molto importanti.



Ora di dottrina / 131 – Il video

Perché l’Incarnazione

29_09_2024 Luisella Scrosati

Iniziamo a trattare la persona e il mistero di Gesù Cristo, a cui san Tommaso dedica la terza parte della Summa, come cardine della dinamica di exitus e reditus. Con l’Incarnazione raggiungiamo il vertice della comunicazione del bene, cioè di Dio stesso, all’uomo.

ORA DI DOTTRINA / 91 – La trascrizione

L’uomo nella creazione – Il testo del video

19_11_2023 Luisella Scrosati

Nel piano della creazione l’uomo, unione di anima e corpo, si colloca in una posizione molto particolare, come una cintura tra il mondo degli esseri incorporei e quello degli esseri corporei. Ciò ha ricadute enormi sull’antropologia.

ORA DI DOTTRINA / 70 - LA TRASCRIZIONE

Il governo della creazione - Il testo del video

28_05_2023 Luisella Scrosati

Dio governa la sua creazione. Questo governo è ciò che si chiama Divina Provvidenza, un concetto molto più ampio di come è comunemente inteso. Tutti gli esseri sono governati da Dio, ma in modo diverso, a seconda che si tratta di creature razionali (dunque libere) o no. C’è un governo immediato e uno mediato.