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SAN VALENTINO

Per amare? Ci servono i malati e pure la sofferenza

“Innamorati della vita”, edito da Ares, raccoglie le storie di diversi malati che raccontano quanto tutti desiderino vivere, anche nel dolore, se c’è qualcuno che ci vuole. E che insegnano ad apprezzare il quotidiano con le sue fatiche, facendo sorgere il desiderio di servire i nostri cari. Costi quel che costi. Perché solo accettando la sofferenza si gode del suo premio. 

Vita e bioetica 14_02_2020

Mentre tutto il mondo cerca accanitamente di eliminarla, leggendo queste storie si capisce perché abbiamo così bisogno della sofferenza e dei malati che patiscono. Ne abbiamo bisogno per vivere con gioia, anziché scacciarla per vivere con rabbia e tristezza. Il libro “Innamorati della vita”, scritto dal giornalista Massimo Pandolfi (edizioni Ares, pp152, 14 euro), raccoglie dieci storie di malattia che fanno venire voglia di vivere, di apprezzare il quotidiano, di darci a quanti abbiamo intorno. Insomma, di abbracciare la croce dell’amore perché significa godere del miracolo della presenza dei nostri cari.

Per questo, si legge di Cristina, una mamma con la Sla che insegna a qualsiasi donna normodotata chi sia davvero la madre (colei che comunica il senso della vita). Ma il comune denominatore di queste esistenze è lo stesso di quella di ogni uomo: viviamo e volgiamo vivere se c’è qualcuno che ci vuole, in qualsiasi condizione ci troviamo. Così, a smentire la farsa radicale dell’eutanasia che prende qualche caso disperato per farne la norma c’è il piccolo Francesco che, nonostante il tumore, insegna agli altri bimbi malati a non temere, che «non c’è niente da piangere». Lui che nonostante gli 8 mesi in ospedale, le terapie e le operazioni chirurgiche non si lamenta mai. Mentre i suoi genitori, Enza e Berto, fanno una lista infinita di gente che li ha sostenuti, mostrando «attorno a noi un mare di bene». Il che è l'eperienza normale, spesso oscurata dai media, vissuta dalle famiglie che si trovano a dover farsi carico di cari ammalati. A ribadire il binomio sofferenza/amore.

C’è poi Paolo che conferma che nella vita si può perdere ogni cosa (indipendenza fisica, moglie, lavoro etc.) ma essere più felici di chi ha tutto. Perché? Perché esiste un Amore capace di arricchire di più di qualsiasi altro bene, per cui si arriva a benedire la malattia come condizione privilegiata per conoscerlo. E per cui oggi Paolo ha dato speranza a tanti altri malati facendo loro incontrare quello stesso Amore che lo toccò a Lourdes, quando pur tentennante decise di accettare l’invito ad andare in pellegrinaggio dalla Madonna: «Nella mia grande disperazione ho messo la mia vita nelle mani di Dio. Non sono guarito ma Egli ha portato luce nel mio buio profondo, riempiendo di amore il mio corpo e riuscendo a farmi vivere in pienezza». Al contrario, viene poi raccontata la vicenda di due malati che si risposano non avendo trovato nei rispettivi coniugi l'amore vero. Entrambi hanno accettato la sofferenza della malattia, ma non quella della fedeltà coniugale nonostante tutto, come invece ha fatto Paolo. La loro storia, però, fa capire che il sacrificio non è qualcosa che si accetta una volta per tutte, ma che va accolto di volta in volta per scoprirne il valore. 

Lo dice bene Daniel 20 anni, affetto da una malattia rara dolorosa e debilitante, che lo costringe a scegliere ogni mattina a cosa guardare, aiutando chi dà per scontata la salute, spesso borbottando per le piccole fatiche, a mettersi in una prospettiva diversa. Di più, a ringraziare perché gli inciampi sono un’occasione per amare davvero: nei momenti di sofferenza notturna maggiore, Daniel confessa che «"mi fa bene avvertire che c’è qualcuno accanto. Qualcuno che mi prende la mano e che in silenzio sta lì con me". Mamma Tiziana, il suo angelo custode, lo ha capito. "Entra nella mia camera in punta di piedi, si siede vicino e sussurra: "Sono qua". Ecco quei momenti mi aiutano a riflettere su tutto il bene che c’è intorno a me. Prevale nettamente sul dolore che mi divora. Mamma quel dolore non può portarlo via ma mi basta che rimanga lì con me. È tutto ciò che voglio, non ho bisogno di altro"».

Basterebbe questo a convertire in amore lo sguardo delle mamme che la notte si svegliano (e magari si lamentano) perché il loro bebè fatica a dormire. Ma questo giovane, che si è diplomato, sa persino gustare di tutto come purtroppo pochi suoi coetanei riescono a fare: «Ti svegli al mattina col broncio e senza un sorriso? …Vuoi sempre tutto e subito??», domanda loro. E poi risponde: «Fermati, pensa solo per un secondo a chi lotta per la vita, mentre ti annoi per qualsiasi cosa e dai per scontato tutto ciò che fai…non sopravvivere, vivi in positivo la tua vita. Donala al prossimo, solo così avrai il massimo della gioia…e ti sarai donato a Gesù». Che questa sia la strada Daniel lo rende esplicito così: «Ogni volta che sorrido e che vedo un fiore, che sento il caldo del sole o la pioggia sul viso o mille altre cose, capisco che tutto ciò è un misterioso miracolo». Chi non vorrebbe avere questi occhi? Perché è chiaro che Daniel vive meglio di tanti normodotati ma sempre più spesso annichiliti.

Sergio, affetto da Sla, è un altro esempio cristallino di quanto valga la pena accettare un peso per avere indietro qualcosa di più: sempre l’amore. Lui che di fronte all'eventualità di una tracheostomia aveva espresso la volontà di essere lasciato morire, cambiò idea quando la possibilità divenne realtà. Tutto perché suo figlio lo pregò così: «Non ce la faccio senza di te». Egoismo, direbbe il mondo che pensa all’amore come una melassa emotiva che va e viene. Invece Sergio, che oggi si gode i suoi nipoti, «non ha mai avuto pentimenti». E suo figlio, pur nelle difficoltà di prendersi cura di lui, ammette che «veder sorridere papà…non ha prezzo». Mentre la moglie conferma: «La malattia ti fa apprezzare cose che neppure prima vedevi».

Vicende che trasformano in carne la dolcezza del giogo, rendendoci necessari i malati e la sofferenza. E insegandoci che non c’è amore né gioia vera senza sacrificio. Perciò il mondo, che lo rifugge, è così depresso. Mentre Cristina, affetta da Sla, accudita da famigliari e amici fino alla fine, ha potuto affermare, poco prima di salire al cielo: «Sono fortunata».