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dignitas infinita

Pena di morte, la contraddizione spacciata per sviluppo

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Dopo Fiducia supplicans un altro dietrofront sull'insegnamento costante della Chiesa che considera il diritto alla vita inviolabile, ma per l'innocente. E un cambiamento tira l'altro.

Ecclesia 09_04_2024

«Una dignità infinita, inalienabilmente fondata nel suo stesso essere, spetta a ciascuna persona umana, al di là di ogni circostanza e in qualunque stato o situazione si trovi» (n. 1). Questo l'incipit della nuova Dichiarazione del Dicastero per la Dottrina della Fede (DDF), Dignitas infinita. Un sostantivo e un aggettivo che, accostati, possono riferirsi solo alle tre Persone divine, ma che invece incautamente nella Dichiarazione vengono a caratterizzare la persona umana.

Creatura e finitezza si richiamano ontologicamente: una dignità sublime, fatta per l'Infinito, come quella umana, è pur sempre una dignità creata, che ha avuto un inizio e che si esplica in un'essenza, che indica appunto, sempre delimitazione. Invece, la Dichiarazione ci racconta, senza troppa pena di argomentazione, che l'infinita dignità dell'uomo sarebbe addirittura «pienamente riconoscibile anche dalla sola ragione» e confermata dalla Chiesa. Dove, come e quando non è dato saperlo: marchio inconfondibile di ogni “creazione tuchana”.

Un'affermazione dunque gratuita ed errata, ricevibile solo qualora il senso dell'aggettivo intende essere iperbolico. Ma che invece risulta il fondamento di un grave errore presente nella Dichiarazione, al n. 34; paragrafo che introduce le «numerose e gravi violazioni della dignità umana nel mondo contemporaneo», sviluppate in seguito: «Bisognerà pure qui menzionare il tema della pena di morte: anche quest’ultima, infatti, viola la dignità inalienabile di ogni persona umana al di là di ogni circostanza». La nota 56 riporta la nuova versione del n. 2267 del Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC) e la Lettera del 1° agosto 2018 che, per l'occasione, venne inviata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede.

Il paragrafo motiva la relazione tra rafforzamento della tutela della dignità umana, oggetto di Dignitas infinita, e condanna della pena di morte, richiamando il n. 268 dell'enciclica Fratelli tutti: «il fermo rifiuto della pena di morte mostra fino a che punto è possibile riconoscere l’inalienabile dignità di ogni essere umano e ammettere che abbia un suo posto in questo mondo. Poiché, se non lo nego al peggiore dei criminali, non lo negherò a nessuno, darò a tutti la possibilità di condividere con me questo pianeta malgrado ciò che possa separarci».

Il ragionamento è più o meno questo: la pena di morte offende la dignità della persona umana; dunque, negare che si possa ledere la dignità umana di un criminale mediante la pena capitale, avrà come conseguenza che la dignità dei non criminali sarà ancora più al sicuro. Basta però un rapido sguardo alla situazione generale per capire che, purtroppo, le cose non sono affatto così: la Francia repubblicana, rigorosamente death penalty-free, ha inserito l'aborto come diritto costituzionale; ossia ha “benedetto” costituzionalmente lo sterminio di centinaia di migliaia di innocenti nel grembo delle loro madri, per mano di medici regolarmente iscritti all'albo ed esercitanti in strutture pubbliche, mentre invece non vuole che si sfiori un capello ad un serial killer, specie se “diversamente francese”. Dall'altra parte dell'Oceano, gli Stati Uniti, dove la pena di morte è in vigore nella maggior parte degli Stati (in alcuni dei quali non è più applicata da tempo o resa inoperosa da una moratoria), si è registrata, al contrario, una sentenza di incostituzionalità dell'aborto. Sembra che chi più si premura di difendere gli assassini da una pena giusta e meritata, più permette che gli innocenti siano colpiti impunemente; anzi, con tanto di marchio di approvazione dello Stato.

Dunque, il ragionamento di papa Francesco, ripreso dal DDF, è semplicemente contraddetto dalla realtà. Ma c'è un altro problema, ancora più grave: l'affermazione per cui la pena di morte «viola la dignità inalienabile di ogni persona umana al di là di ogni circostanza» è errata e contraddice l'insegnamento costante della Chiesa a riguardo.

Andiamo con ordine. Il n. 2267 del CCC venne modificato nel 2018, con l'inserimento di un'affermazione molto problematica: «la Chiesa insegna, alla luce del Vangelo, che “la pena di morte è inammissibile perché attenta all'inviolabilità e dignità della persona”, e si impegna con determinazione per la sua abolizione in tutto il mondo». L'asserzione è suonata alle orecchie più attente come una palese contraddizione dell'insegnamento della Chiesa, il quale lasciava libertà quanto all'opportunità della pena capitale, ma difendeva la verità che il potere secolare legittimo potesse giustiziare un reo, purché si rispettassero gli altri principi di giustizia.

La CDF, all'epoca ancora guidata dal cardinale Ladaria aveva cercato di salvare capra e cavoli, difendendo sia il cambiamento del Catechismo voluto da papa Francesco che l'insegnamento costante della Chiesa e sostenendo così «un autentico sviluppo della dottrina». Mission impossible.

Ora, la Dichiarazione non richiama nemmeno più la questione dell'opportunità, ma tira dritto sentenziando che la pena di morte in ogni caso è contraria alla dignità della persona. Punto. Se così fosse, si dovrebbe concludere, a rigor di logica, che chi commina la pena di morte commette sempre peccato contro il quinto comandamento, perché tra l'innocente ed il reo non vi sarebbe più alcuna distinzione. E, analogamente, chi commina la pena di morte compie sempre un atto di ingiustizia, perché priva una persona di qualcosa che le appartiene in modo inalienabile, ossia il diritto alla vita, in virtù della sua presunta dignità infinita.

Ora, giusto per fare una sola citazione tra le tante, papa Innocenzo III nell'epistola Eius exemplo all'arcivescovo di Tarragona, Durando di Osca, esigeva che i valdesi che si convertivano alla fede cattolica, professassero, in una formula di fede, esattamente il contrario di quanto insegnato da papa Francesco e dal cardinale Fernández: «Per quanto riguarda il potere secolare dichiariamo che può esercitare  il giudizio di sangue senza peccato mortale, purché nel portare la vendetta proceda non per odio ma per atto di giustizia, non in modo incauto, ma con riflessione» (Denz. 795).

Da notare che Innocenzo III ritiene che siano alcune circostanze a rendere illegittimo il giudizio di sangue, non il fatto stesso di comminare la sentenza capitale. Ora, come è possibile che il potere secolare abbia la facoltà di comminare la pena capitale senza peccato, come vuole la Eius exemplo, se questa pena viola sempre la dignità della persona umana, «al di là di ogni circostanza», come afferma invece Dignitas infinita? Come può la pena capitale procedere da «atto di giustizia» (precisamente, un atto retributivo della giustizia), se essa diventa un radicale atto di ingiustizia nei confronti della dignità umana?

Impossibile riconciliare queste due posizioni. L'insegnamento cattolico non ha mai considerato in modo assolutistico il diritto alla vita, come invece hanno fatto valdesi, quaccheri, mennoniti, hussiti, e pacifisti, mentre ha sempre difeso l'inviolabilità della vita innocente. Che è un'altra cosa. Ci si ritrova così, ancora una volta, nell'imbarazzante situazione di Fiducia supplicans: la contraddizione dell'insegnamento della Chiesa spacciata per autentico sviluppo. E si dice che non c'è due senza tre.



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