Pechino promuove un passaporto vaccinale globale
La Cina anticipa i tempi ed è la prima grande potenza emergente ad introdurre un passaporto vaccinale. Sebbene non sia la prima in assoluto, si fa promotrice di un sistema di riconoscimenti reciproci in tutto il mondo. L'altra faccia della medaglia? È un altro strumento di controllo totalitario.
La Cina anticipa i tempi ed è la prima grande potenza emergente ad introdurre un passaporto vaccinale, cartaceo ed elettronico, per i suoi cittadini. Sebbene non sia la prima in assoluto, già l’Islanda e la Polonia hanno adottato strumenti simili, la Cina punta a creare un sistema globale di riconoscimenti reciproci. D’ora in avanti, secondo le intenzioni di Pechino, si potrà andare in giro per il mondo solo se in possesso di quel passaporto. Nato per “liberare” gli spostamenti, può tuttavia trasformarsi in uno strumento coercitivo per chi non lo possiede ancora o non può possederlo. Ma pare che quest’ultima sia veramente l’ultima delle preoccupazioni, stando alle reazioni e ai commenti.
Il passaporto vaccinale cinese è un documento non (ancora) obbligatorio, onnicomprensivo. Oltre al dato essenziale (quante dosi vaccinali sono state inoculate al suo possessore), contiene anche una sua piccola cartella clinica, con i risultati dei test Covid-19. Può essere scaricato ovunque, anche sul proprio cellulare e attraverso WeChat, il più diffuso social network di messaggistica cinese. Wang Yi, ministro degli Esteri di Pechino, propone che il sistema sia universalizzato il prima possibile. In una conferenza stampa a latere dell’Assemblea nazionale del popolo, ha affermato che spingerà perché questi passaporti siano adottati anche dagli altri Paesi e siano riconosciuti vicendevolmente fra gli Stati, in modo da permettere alle persone di attraversare i confini in sicurezza.
Un primo obiettivo di questa iniziativa è quello di riaprire le frontiere cinesi e rilanciare il commercio. Tuttora, infatti, i confini sono strettamente controllati, in Cina non può entrare nessuno che sia transitato da un Paese a rischio e tutti sono comunque sottoposti a quarantena. L’obiettivo di medio-lungo termine, comunque, è parte della strategia dei vaccini. In America Latina, i due terzi dei sieri utilizzati sono Made in China. In Africa, 35 Paesi hanno importato i farmaci di produzione cinese. E Pechino ha anche donato milioni di dosi a 69 Stati, mentre si offre di istituite centri vaccinali all’estero, soprattutto destinati ai suoi emigranti. In un regime per cui tutto è politica, questa diffusione a macchia d’olio dei vaccini cinesi non è certamente gratuita e avrà un ritorno in termini diplomatici e politici. È un altro modo di estendere la sfera di influenza di Pechino. Idem per il passaporto vaccinale, che Pechino introduce per primo e che avrà l’effetto di certificare gli spostamenti da un Paese all’altro, stabilire chi può muoversi e chi no.
Sulla costruzione di un sistema di riconoscimenti reciproci dei passaporti vaccinali, i tempi potrebbero essere più rapidi del previsto. Come già accennato, l’Islanda li ha già introdotti per i suoi (pochi) abitanti. Ma non ha fatto notizia, appunto, considerate le ridottissime dimensioni della sua popolazione. In ambito Ue, la Polonia è stata la prima ad introdurre il passaporto elettronico nel suo piano vaccinale. Danimarca e Svezia hanno annunciato che faranno altrettanto, con documenti che permetteranno, non solo di viaggiare, ma anche di accedere in luoghi pubblici senza ulteriori restrizioni. Come già scritto su queste colonne, Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Ue, ha proposto l’introduzione in tutti i Paesi membri di un “pass verde” standardizzato, che varrà per gli spostamenti interni all’Ue ed esterni. Nella anglosfera, mentre vi sono resistenze nel Regno Unito, negli Usa di Biden il progetto di introduzione di un passaporto di tipo cinese sta procedendo rapidamente. Nelle Nazioni Unite, la World Tourism Organization sta premendo per l’armonizzazione di tutti questi documenti elettronici.
L’idea, dunque, non è solamente cinese, ma la Repubblica Popolare ha una marcia in più. E non è quella delle dimensioni della sua popolazione, ma della rigidità e pervasività dei suoi controlli. Il documento che oggi viene scaricato dai cinesi, che permetterà loro di viaggiare anche all’estero se vaccinati e immunizzati, è solo l’ultimo anello di una catena di controlli. Già nella primavera del 2020, infatti, i cinesi erano dotati obbligatoriamente di un altro codice Qr che conteneva le informazioni sul loro stato di salute. Se erano risultati negativi al test e non destavano sospetti (niente contatti con persone contagiose o presunte tali, niente viaggi in aree infette) il codice dava loro luce verde, altrimenti non avrebbero potuto avere accesso a nulla, neanche ai mezzi pubblici. Questo sistema, a sua volta, è integrato con i precedenti crediti sociali, che valutano, aggiungendo o togliendo punti, tutti i comportamenti di ogni cittadino cinese. Ad ogni punteggio corrisponde quel che il cittadino può ancora fare o non fare nella vita. Nel frattempo, tutti sono controllati da centinaia di milioni di telecamere di sorveglianza, molte delle quali sono dotate di software di riconoscimento facciale.
La Cina è già un Paese in cui ogni cittadino è un sorvegliato. E con il passaporto vaccinale non si fa altro che aggiungere un controllo in più. I precedenti sistemi permettevano allo Stato di isolare completamente un elemento politicamente sospetto e di distruggergli l’esistenza, non permettendogli di spostarsi dalla sua residenza e di usare il suo stesso denaro. In un regime come quello comunista cinese, come spesso è già capitato a dissidenti e minoranze perseguitate, la salute può essere un mero pretesto. Per “motivi sanitari” si può ghettizzare e recludere un dissidente, un cristiano, un uiguro o un tibetano, senza passare dall’iter della giustizia.
Ed è questa l’altra faccia della medaglia che gli Stati occidentali considerano troppo poco. Paesi come la Cina (che non è l’unica dittatura del mondo) possono usarli per confinare dissidenti, oppositori ed elementi sospetti. Ma anche in un Paese libero il confine tra sicurezza e controllo è sempre più sfumato. In tempi in cui l’ecologismo è l’unico collante ideologico delle democrazie europee, altre idee cinesi, come i crediti sociali ecologici potrebbero essere introdotte. E di metodi per promuovere un "comportamento verde" si parla, in ambito Ue, da almeno 10 anni. Misurerebbero il grado di conformità a un comportamento ecologicamente corretto, non al Partito Comunista Cinese, ma sarebbero sostanzialmente la stessa cosa. Soprattutto perché il Covid stesso è considerato come una conseguenza del cambiamento climatico, una “patente a punti” del comportamento ecologico di un cittadino europeo potrebbe ben presto corredare il passaporto vaccinale. È solo un'ipotesi, ma non ci rendiamo ancora conto di quanta libertà perderemmo, in quel caso.