Il passaporto vaccinale? Inutile e discriminatorio
Ursula von der Leyen ha annunciato che sarà proposto il “Digital Green Pass”, cioè un certificato vaccinale digitale europeo. È una misura discriminatoria: molti soggetti deboli o allergici non possono vaccinarsi. E inutile: non solo coi vaccini si deve affrontare il Covid e non è detto che i vaccini riducano la trasmissione del virus.
Il 1 marzo la Presidente dell’Unione Europea Ursula von der Leyen ha annunciato con un Tweet che nelle prossime settimane sarà portata avanti una proposta di legge per la adozione del cosiddetto “Digital Green Pass”, cioè un certificato vaccinale digitale. Un altro passaggio, programmato da tempo, verso il cosiddetto “grande reset” della società europea e mondiale, di cui le strategie vaccinali sono strumento cruciale di capillare controllo.
Tale “pass digitale” (lasciamo perdere la parola magica “verde”, che in questo contesto pare una presa in giro) avrebbe lo scopo di dare una “prova che la persona è vaccinata”, contenere “i risultati dei test che dimostrano che non può essere ancora vaccinata” (probabilmente i test anticorpali che provano una malattia recente) e “informazioni sulla guarigione dal COVID-19”. In realtà non è solo un certificato sanitario come tanti altri. La stessa von der Leyen è chiarissima: scopo è quello di “facilitare le vite degli europei” e di “permettere loro di muoversi nell’Europa o all’esterno per lavoro e turismo”. La Presidente dice che sarà rispettata la privacy e la protezione dei dati.
Non serve molta fantasia per capire che questo strumento digitale è concepito in modo tale da costituire un “lasciapassare” da esibire per poter viaggiare e spostarsi da un Paese europeo all’altro. Non serve neanche molta altra immaginazione per prevedere che lo stesso “pass” potrebbe essere adottato con facilità anche all’interno degli Stati, per controllare l’accesso a uffici pubblici, luoghi di ritrovo, mezzi di trasporto ecc. Sostenere che un tale strumento rispetterebbe la “privacy” suona come un contentino ipocrita, per il semplice motivo che se una persona viene fermata a un check-in per la mancanza del “pass” essa è ipso facto riconosciuta come irregolare.
Si tratta quindi di un evidente tentativo di estendere l’obbligo vaccinale sotto forma di un ricatto che peserebbe sulla vita quotidiana e le libertà di movimento delle persone. Si tratterebbe di una misura inutile e discriminatoria.
Sarebbe scelta inutile perché l’adesione ai vaccini è già notevole e il ricatto del passaporto vaccinale aumenterebbe di poco l’adesione, riuscendo a “costringere” alcune persone in più, che per necessità devono viaggiare magari per lavoro. Ma l’inutilità deriva soprattutto dal fatto che non c’è prova che questi vaccini riducano il trasporto di virus tramite soggetti infetti e rimasti asintomatici. Al momento le prove di riduzione di trasmissione sono molto scarse e sono documentati asintomatici tra i vaccinati. Benché sia verosimile una minor trasmissione da vaccinati, gli asintomatici vaccinati potrebbero per altri motivi essere più pericolosi nel contagiare, riducendo le proprie precauzioni (e quelle di altri verso di loro), ad esempio in caso di sintomi lievi che attribuirebbero ad altre cause. La protezione vaccinale può durare pochi mesi e potrà richiedere richiami periodici, come per l’influenza. Moderna sta già studiando una 3a dose, anche per fronteggiare le varianti emergenti. Le varianti stanno già riducendo l’efficacia dei vaccini: ad esempio, il vaccino Moderna ha indotto 6 volte meno anticorpi neutralizzanti verso la variante B.1.351. Quello AstraZeneca funziona meno sulla sudafricana. Le varianti possono ridurre anche l’efficacia di anticorpi da infezione naturale, ma in teoria è meno probabile (ad esempio perché danno anche difese di superficie sulle mucose).
Non sappiamo ancora quanto i vaccini saranno utili alla salute individuale e pubblica, perché gli studi di fase III non sono ancora conclusi ed è in corso una ampia sperimentazione (fase IV o post-marketing). Sono in corso di approvazione vaccini di diversa concezione che potrebbero essere più sicuri degli attuali. Non sappiamo ancora se le campagne vaccinali aumentino la creazione di ceppi resistenti ai vaccini. I coronavirus mutano molto velocemente per loro natura, più dei virus influenzali. Se esiste una resistenza immunitaria nella popolazione, i virus “cercano” ugualmente di infettare le cellule e, dopo molti tentativi, prevale naturalmente quel ceppo che riesce a superare le prime resistenze. Ciò avviene anche con le malattie naturali, perché chi ha avuto la malattia è più resistente al ceppo che lo ha infettato in origine ed è invece suscettibile alle varianti. Tuttavia esiste una differenza: la malattia naturale crea una barriera immunitaria in tutto l’albero respiratorio, a cominciare dal rinofaringe e dalla bocca (ghiandole salivari e tonsille), mentre il vaccino, che è iniettato intramuscolo, crea una difesa più “interna” e lascia maggiormente sguarnite le mucose. Ecco quindi che in teoria (ancora non ci sono studi su questo, ma dati preliminari con anticorpi monoclonali sembrano confermarlo) un virus potrebbe installarsi nelle vie aeree di un soggetto vaccinato, senza riuscire a diffondersi all’interno del corpo, ma avrebbe tutto il tempo per fare le mutazioni. Queste ultime poi darebbero il vantaggio a un ceppo capace di diffondersi anche nell’organismo del vaccinato di essere trasmesso ad altri. Basta che questo succeda in pochi casi, perché il ceppo mutato si possa diffondere nella popolazione, vaccinati e non vaccinati. Questo è uno dei motivi per non confidare solo nella vaccinazione di massa per superare il momento critico della pandemia. Meglio integrare con altre forme di prevenzione e terapie efficaci, anche se non risolutive, che impediscano l’aggravamento. Senza dimenticare che la lotta contro il virus HIV è stata quasi vinta senza vaccini ma con informazione, igiene e buoni farmaci.
Sarebbe scelta discriminatoria perché penalizzerebbe chi per legittime ragioni personali, come condizioni predisponenti a malattie immunitarie, allergiche, tossiche o cardiovascolari (non dimentichiamo che questi vaccini possono interagire con i recettori e gli enzimi che controllano la pressione del sangue) scegliesse di non aderire ad un piano vaccinale il cui risultato è comunque incerto, sia per il singolo, sia per la collettività. Qualora fosse adottato per l’ingresso in locali pubblici o sui mezzi di trasporto, o persino per il supermercato, il “pass” sarebbe inutilmente discriminatorio: un vaccinato non deve temere nulla da un non vaccinato, tanto più se è sano e rispetta le regole. Uno scenario da incubo, che va oltre a quanto previsto da Orwell. Il ricatto vaccinale sarebbe dannoso soprattutto nella convivenza sociale, perché il “pass” sarebbe inevitabilmente equiparato ad un certificato di buona condotta e, viceversa, il non averlo diverrebbe marchio di devianza sociale e motivo di esclusione. Il provvedimento dividerebbe la popolazione in “buoni” e “cattivi” sulla base di una sostanza dall’incerto profilo benefici/rischi. Nel database VAERS americano sono già stati segnalati oltre mille decessi nei giorni successivi alla somministrazione dei vaccini. E’ vero che il cui “nesso di causa” non è stato finora confermato, ma neanche escluso; per confronto i decessi dopo l’antiinfluenzale, somministrato in tutto un anno a oltre la metà della popolazione sono stati una cinquantina.
Si stanno già levando voci contrarie a questo tipo di obblighi o ricatti vaccinali. Il 28 gennaio l'assemblea del Consiglio d'Europa ha promulgato il rapporto “Vaccini Covid-19: questioni etiche, legali e pratiche” votato a larghissima maggioranza. Nel rapporto si evidenzia poi che “gli Stati devono informare i cittadini che la vaccinazione non è obbligatoria e che nessuno deve farsi vaccinare se non lo vuole”, e bisogna “garantire che nessuno sarà discriminato se non è vaccinato”. Infine i parlamentari hanno votato quasi in blocco per inserire un emendamento con cui si dicono contrari all'uso dei certificati di vaccinazione come passaporti. Ricordiamo che il Consiglio d'Europa è un'organizzazione internazionale il cui scopo è promuovere la democrazia, i diritti umani, l'identità culturale europea e la ricerca di soluzioni ai problemi sociali in Europa: fu fondato il 5 maggio 1949 con il Trattato di Londra, conta oggi 47 stati membri e la sua sede istituzionale è a Strasburgo, in Francia, nel Palazzo d'Europa.
Ecco la parte rilevante della risoluzione adottata:
“7.3.1. ensure that citizens are informed that the vaccination is NOT mandatory and that no one is politically, socially, or otherwise pressured to get themselves vaccinated, if they do not wish to do so themselves; 7.3.2. ensure that no one is discriminated against for not having been vaccinated, due to possible health risks or not wanting to be vaccinated”. (7.3.1 garantire che i cittadini siano informati che la vaccinazione NON è obbligatoria e che nessuno è politicamente, socialmente o altrimenti sotto pressione per vaccinarsi, se non lo desiderano da soli; 7.3.2 garantire che nessuno sia discriminato per non essere stato vaccinato, a causa di possibili rischi per la salute o per non voler essere vaccinato).
Il pass vaccinale sarebbe una scelta gravida di conseguenze che i politici più responsabili negli organismi europei dovrebbero ostacolare fermamente. Purtroppo le risoluzioni del Consiglio d’Europa hanno solo valore di raccomandazioni, mentre le vere decisioni le prendono la Commissione Europea, il Consiglio Europeo e il Parlamento Europeo. E’ quindi necessario che i politici di tutti gli orientamenti si battano affinché l’Europa non imponga tali decisioni inutilmente discriminatorie. Vale la pena ricordare che la Costituzione Italiana (art. 32) scrive: “La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.
*Vaccinologo