Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Guido Maria Conforti a cura di Ermes Dovico
IL VIAGGIO APOSTOLICO

Papa Francesco a Vilnius, tre tappe della memoria totalitaria

Papa Francesco sbarca in Lituania, prima tappa del suo viaggio nelle tre repubbliche baltiche, in una data carica di significati e di ricorrenze di libertà. La Lituania, la Lettonia e l’Estonia, nel 2018 celebrano 100 anni di indipendenza. Non cento anni di pace: sono anni di guerre, spartizioni e occupazioni. E soprattutto: decenni di sofferenza sotto entrambi i totalitarismi, l’uno il nazismo, con la sua persecuzione razziale, l’altro, il comunismo, con la persecuzione e l’odio contro la religione.

IL VERO VOLTO DELLA MISERICORDIA DI GESU' di Corrado Spera

Ecclesia 22_09_2018
Vilnius si prepara ad accogliere Papa Francesco

Papa Francesco sbarca in Lituania, prima tappa del suo viaggio nelle tre repubbliche baltiche, in una data carica di significati e di ricorrenze di libertà. La Lituania, la Lettonia e l’Estonia, nel 2018 celebrano 100 anni di indipendenza. Non cento anni di pace: sono anni di guerre, spartizioni e occupazioni. E soprattutto: decenni di sofferenza sotto entrambi i totalitarismi, l’uno il nazismo, con la sua persecuzione razziale, l’altro, il comunismo, con la persecuzione e l’odio contro la religione.

“La mia visita – ha premesso il Santo Padre - coincide con il centenario dell'indipendenza delle vostre Nazioni e naturalmente onorerà tutti coloro i cui sacrifici nel passato hanno reso possibili le libertà del presente. La libertà, come sappiamo, è un tesoro che dev'essere costantemente preservato e tramandato, come un'eredità preziosa, alle nuove generazioni. In tempi di oscurità, violenza e persecuzione, la fiamma della libertà non si estingue, ma ispira la speranza di un futuro in cui la dignità data da Dio a ciascuna persona sia rispettata e tutti ci sentiamo chiamati a collaborare alla costruzione di una società giusta e fraterna”.

L’indipendenza della Lituania è stata da subito un parto travagliato. Nata il 16 febbraio 1918, con l’intero territorio ancora occupato dall’esercito dell’Impero Tedesco, dopo la guerra ha dovuto lottare per la sua indipendenza contro l’Armata Rossa della nascente Russia bolscevica. Battuti i sovietici, il suo territorio è stato ben presto mutilato: la regione di Vilnius, inclusa la capitale storica, ha prima proclamato un’indipendenza virtuale per poi essere annessa dalla Polonia. Solo nel 1939 è stata annessa dalla Lituania, ma tramite un vero e proprio “patto col diavolo”, imposto dall’Unione Sovietica. Il regime di Stalin, infatti, concesse Vilnius, strappata di nuovo a una Polonia invasa e spartita fra nazisti e sovietici, ma solo in cambio di una “cooperazione militare” con la Lituania. Che di fatto era una malcelata occupazione.

Nel giugno del 1940, mentre i nazisti facevano il loro ingresso a Parigi e l’Italia entrava in guerra, Stalin completava l’annessione. E iniziava la persecuzione dei lituani: borghesi, membri dei partiti non comunisti, collezionisti di francobolli, studiosi di esperanto, prostitute, preti, ufficiali dell’esercito e della polizia, scout, membri di associazioni patriottiche e di movimenti religiosi, tutti erano considerati “nemici del popolo”. A decine di migliaia incominciarono a essere deportati nell’estremo Nord russo, nella glaciale regione del Mar di Laptev, a morire di fame e di freddo. Poi vennero i nazisti, nel luglio del 1941, e allora la persecuzione toccò a tutti coloro che erano considerati, a torto o a ragione, come dei collaborazionisti dei sovietici. E soprattutto toccò agli ebrei (già deportati in gran numero dai sovietici, non per motivi razziali, ma di classe o politici), che vennero quasi completamente sterminati. Infine, nel 1944, tornarono i sovietici. E ripresero le persecuzioni politiche, religiose e di classe da dove erano state interrotte, andando a riprendere persino quelli che erano miracolosamente scampati alle fucilazioni e alle deportazioni del 1941. Quell’incubo, nonostante un’eroica quanto vana resistenza, durò fino al 1991.

La prima tappa della memoria del Papa sarà all’ex ghetto di Vilnius. Nel 2018, il 23 settembre (domani, per chi legge) ricorre il 75mo anniversario della sua distruzione ad opera dei nazisti. La capitale lituana ospitava una delle più grandi comunità d’Europa e il maggior numero di sinagoghe. Ora resta una sola sinagoga. Gli ebrei uccisi in tutto il paese furono 200mila, il 95%. Venne sradicata una pluri-secolare comunità, quella dei Litvak, gli ebrei lituani, ricca di cultura e di menti brillanti (Bob Dylan e Leonard Cohen, fra i contemporanei). La Lituania, a causa dell’ancora onnipresente storiografia sovietica, è considerata ancora come una “nazione collaborazionista”. I cattolici lituani sono considerati, ingiustamente, come dei carnefici più realisti del re. Non fu così. Il numero di Giusti delle Nazioni (coloro che aiutarono gli ebrei a salvarsi dai nazisti) ricordati allo Yad Vashem di Gerusalemme è secondo al mondo, dopo gli olandesi, in rapporto alla popolazione. Ebrei furono nascosti e salvati dalla famiglia di Vytautas Landsbergis, il primo presidente della Lituania indipendente nel 1991. E molti bambini vennero celati nell’orfanatrofio di Kaunas, che si trovava accanto al muro di cinta del ghetto locale. Il medico pediatra Petras Baublys e le suore del suo orfanatrofio salvarono decine di bambini, resistendo alle continue ispezioni della Gestapo e delle SS.

La seconda tappa della memoria del Santo Padre sarà nella ex sede del carcere del Kgb, usata anche dalla Gestapo durante l’occupazione nazista. Ora è un museo dedicato alla storia dei due totalitarismi subiti dalla Lituania. Le celle sono state preservate. E’ previsto che Papa Francesco si raccolga in preghiera nella sala sotterranea in cui avvenivano le esecuzioni. Un luogo spoglio e tetro, ultima tappa nella vita di oltre mille persone nel corso degli anni sovietici: un piccolo antro in cemento, con le canaline a terra per far scorrere il sangue, il luogo in cui è possibile ancor oggi capire cosa sia il terrore. Fu soprattutto qui che un macellaio di uomini, di nome Vasili Dolgirev, colonnello dell’Armata Rossa, eliminò personalmente 650 prigionieri lituani, usando la sua pistola o un punteruolo per risparmiare proiettili. Nelle celle anguste dei sotterranei è possibile rivivere l’isolamento dei prigionieri, in alcune di esse, riempite di acqua o immerse nel buio, vi si praticava la tortura per estorcere confessioni. Queste segrete del regime vennero scoperchiate e liberate solo nel 1991, alla fine del regime sovietico e a indipendenza ottenuta.

La terza tappa della memoria è di fronte al Monumento per le vittime dell'occupazione sovietica, eretto proprio nella stessa piazza in cui svettava l’enorme monumento a Lenin, negli anni sovietici. Papa Francesco sarà accompagnato da un vescovo e un nipote degli oltre 200.000 cittadini deportati dalla Lituania nei numerosi gulag sovietici. Fra questi anche il martire beato monsignor Teofilo Matulionis (beatificato l'anno scorso), deportato nei gulag nel 1945, stroncato da 7 anni di lavori forzati, poi liberato con la "destalinizzazione" solo per essere isolato e vessato dalla polizia politica. Fino alla sua morte: venne assassinato col veleno da agenti Kgb nel 1962, poco dopo che Papa San Giovanni XXIII gli aveva concesso la dignità di arcivescovo.

Il tema della libertà, di una libertà riconquistata dopo immani sofferenze, sarà appunto al centro di questa visita. Venticinque anni fa, nel 1993, una Lituania appena tornata indipendente e libera venne visitata da San Giovanni Paolo II. “Venticinque anni fa – dichiara Gintaras Grušas, arcivescovo di Vilnius e presidente della Conferenza Episcopale Lituana – vedemmo la libertà come qualcosa che era arrivata ed era l’opposto dell’oppressione della dittatura imposta dall’estero: libertà come autodeterminazione di uno Stato. Oggi invece affrontiamo la sfida della libertà in un modo completamente diverso: usare la nostra libertà correttamente per il bene comune”. La popolazione lituana è tuttora traumatizzata dalla lunga esperienza totalitaria: “Ci troviamo di fronte le sfide di una grande ondata di immigrazione, una percentuale molto alta di dipendenza dall’alcool e di suicidi e un alto tasso di divorzi, problemi che in parte sono influenzati dalle ferite del passato”, ricorda l’arcivescovo. E il tasso di suicidi è il più alto del mondo. Dopo essere usciti dal grande carcere sovietico, il rischio è chiaramente quello di smarrirsi. Per questo monsignor Grušas, alla vigilia della visita di Papa Francesco, avverte che la libertà non vuol dire solo “lasciar fare alle persone quello che vogliono, ma comprendere la libertà come responsabilità che guarda al futuro”.