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IL CASO

Orlandi, le presunte lettere di Poletti e Ruini? La grafologa: sono false

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Nuova puntata nel caso di Emanuela Orlandi. Dopo il presunto scoop di Verissimo con il fratello della ragazza scomparsa, la grafologa forense Sara Cordella spiega ad Open che le lettere attribuite ai cardinali Poletti e Ruini sono false.

Attualità 09_02_2024
Pietro Orlandi, foto ImagoEconomica

La nuova “patacca” sul caso di Emanuela Orlandi s’infrange, come sempre, contro il muro dei fatti: le due lettere attribuite ai cardinali Ugo Poletti e Camillo Ruini, mostrate nell’ultima puntata del programma Verissimo, sono false.

Lo ha ricostruito la grafologa forense Sara Cordella parlando con Open. In pratica, come sintetizza Open, la prima lettera, indicata come risalente al 1993, è stata «creata utilizzando un’altra lettera di Poletti, datata 11 febbraio 1982»; invece la seconda, collocata nel 1995, è stata realizzata «artificiosamente utilizzandone un’altra che risale al novembre del 2002». Come spiega Cordella, dopo aver lavorato sui fermoimmagine: «Questa attività si chiama “dropping” e consiste nel ritagliare dei pezzi di un documento e successivamente incollandoli in un documento realizzato ex novo».  I due falsi sarebbero stati consegnati a Pietro Orlandi, stando a quanto detto dallo stesso fratello di Emanuela, da una persona che si sarebbe dichiarata «vicina agli ambienti dei Nar», organizzazione terroristica neofascista attiva tra la fine degli anni Settanta e l'inizio degli anni Ottanta.

Questa nuova "patacca" si ricollega nei contenuti – e anche nella forma scorretta e inverosimile – a quella ormai famosa pubblicata da Emiliano Fittipaldi nel 2017, relativa ad un presunto resoconto delle spese sostenute per la ragazza dallo Stato della Città del Vaticano per la permanenza a Londra e le spese mediche, comprese quelle ginecologiche, dopo la sua scomparsa.

Rimescolando nel torbido, anche l'ultimo anonimo “pataccaro” ha voluto rilanciare la pista londinese e accreditare l'idea di Emanuela incinta spingendosi a farlo scrivere al cardinale Poletti (che, per inciso, non era più vicario di Roma da due anni) in questa lettera indirizzata addirittura a sir Frank Cooper, alto funzionario del governo britannico, già in pensione da tempo all’epoca dei fatti. Il finto Poletti ringrazia il finto Cooper per la «risoluzione immediata del problema totalmente inaspettato e indesiderato» e spiega che «la signorina Emanuela Orlandi, è stata protagonista di vicende di primaria importanza nel panorama diplomatico internazionale ed è tuttora di vitale primaria importanza che la signorina Orlandi rimanga viva e in salute, per quanto con le apostoliche sedi è chiara la visione del Vaticano nello stabilire che anche un feto all’interno del grembo materno possiede un’anima».

Sfugge il motivo per cui il cardinale non più vicario, su carta intestata del vicariato di Roma – che è altra cosa rispetto al Governatorato dello Stato della Città del Vaticano dove viveva la ragazza – avrebbe dovuto scrivere una lettera del genere, su una vicenda di cui da un decennio parlava tutto il mondo, ad un rappresentante di rango di un governo estero con cui abitualmente è la Segreteria di Stato e la rispettiva nunziatura ad avere a che fare.

Nonostante tutto ciò, il presunto colpo di scena nel caso Orlandi ha trovato spazio persino sul Times, mentre solo Open ha riportato la ricostruzione della dottoressa Cordella. Chi legge potrebbe pensare che “patacche” così malfatte lascino il tempo che trovano nella ricerca della verità: non è così. Nel Parlamento italiano, infatti, ha avuto il via libera una commissione d'inchiesta ad hoc su questa vicenda – mentre in Città del Vaticano c'è un'indagine in corso portata avanti dal promotore di giustizia Alessandro Diddi – nata da una proposta di legge che il senatore Carlo Calenda aveva presentato dopo aver visto Vatican Girl, una serie Netflix, e dopo aver dato per indiscutibile la fondatezza del documento che si apriva grossolanamente con un «Riverita Eccellenza» riferito ad un cardinale di Curia.



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nuove speculazioni

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