Onu, gli “esperti” vogliono normalizzare la prostituzione
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Un documento del Gruppo di lavoro sulla discriminazione contro le donne propone «la completa depenalizzazione» della prostituzione, anche a favore di chi la sfrutta. Un nuovo ribaltamento morale, spacciato per "diritto umano".
«Il Gruppo di lavoro propone la completa depenalizzazione del lavoro sessuale [sex work] volontario degli adulti, da una prospettiva basata sui diritti umani». Una depenalizzazione volta a comprendere anche i clienti di chi si prostituisce e le «attività di terze parti», ossia le attività di tutti coloro che a vario modo sfruttano, pubblicizzano e favoriscono la prostituzione, che in quest’ottica dovrebbero dunque essere lasciati liberi di operare.
A sostenere queste assurdità in un documento ufficiale non è un’associazione di magnaccia, ma nientemeno che il “Gruppo di lavoro sulla discriminazione contro le donne e le ragazze”, che fa capo al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite. Il documento reca la data del 7 dicembre 2023 e si inserisce nel solco di una sempre più consolidata opera di pressione politico-culturale da parte non solo del suddetto Gruppo di lavoro (che ha affrontato il tema per la prima volta nel 2016, raccomandando agli Stati di depenalizzare) ma anche di vari altri organi dell’Onu, il cui fine – al netto dei giri di parole – è la normalizzazione della prostituzione.
Curiosamente, il documento di dicembre appare una risposta alla risoluzione approvata il 14 settembre 2023 dal Parlamento Europeo (234 sì, 175 no, 122 astenuti), che ha invitato gli Stati membri a perseguire penalmente i clienti e gli sfruttatori della prostituzione, così da ridurre la domanda di mercimonio sessuale. Un approccio, questo, che si ispira in buona parte al cosiddetto “modello nordico” (introdotto dalla Svezia nel 1999), che prevede, da un lato, la depenalizzazione legata alla pratica di prostituirsi e, dall’altro, la criminalizzazione dei clienti.
La risoluzione di Strasburgo, promossa dalla socialdemocratica Maria Noichl e capace di spaccare trasversalmente destra e sinistra, è per molti versi espressione della mentalità odierna, contraria alla morale naturale: il testo, infatti, reca con sé riferimenti positivi a contraccezione, aborto, educazione sessuale, Lgbt, Convenzione di Istanbul, eccetera, soffrendo in generale di una retorica femminista. Ma appunto, quantomeno, riconosce alcuni aspetti basilari, come ad esempio: il fatto che la prostituzione è degradante per la dignità umana; e che essa ha un forte legame con la tratta degli esseri umani a scopo di sfruttamento sessuale, gli abusi sui minori e la pornografia (sebbene condanni solo «alcuni tipi di pornografia», come se ce ne fosse una buona...).
La risoluzione del Parlamento Europeo riconosce inoltre che «la maggior parte delle donne vorrebbe abbandonare la prostituzione» ed esorta gli Stati a prevedere «programmi di uscita» dalla prostituzione stessa, così da aiutare la formazione e l’inserimento lavorativo di chi non vuole più prostituirsi. C’è poi da dire che spesso si tratta di persone finite nella rete della prostituzione a seguito di inganni, coercizioni e varie situazioni di vulnerabilità. E la legalizzazione non fa altro che peggiorare il quadro: «Le relazioni di Europol – si legge nel testo – stabiliscono che, laddove la prostituzione è legale, la tratta di esseri umani e la violenza perpetrata contro le sue vittime e altre persone in situazione di prostituzione aumentano di dieci volte».
Ma questa risoluzione, come accennavamo, deve essere stata mal digerita dagli “esperti” del Gruppo di lavoro sulla discriminazione contro le donne e le ragazze. Già a settembre 2023, pochi giorni dopo il voto di Strasburgo e pur senza menzionare il relativo testo, l’organismo dell’Onu pubblicava, in modo inusuale, un lungo e urgente comunicato, che è poi confluito nel documento ufficiale di dicembre. Tale testo, non vincolante, si pone peraltro in contrasto con le leggi della grande maggioranza dei Paesi membri e la volontà espressa per decenni dall’Assemblea Generale della stessa Onu, che ha rigettato più volte le proposte di depenalizzare la prostituzione.
Il documento, redatto in gran parte dalla croata Ivana Radačić, dice di voler evitare la logica polarizzatrice delle due differenti posizioni femministe in materia. Ma alla prova dei fatti adotta quella più radicale, ossia quella del movimento per i diritti dei “lavoratori sessuali”, che include al suo interno anche gruppi Lgbt e spinge appunto per depenalizzare completamente la prostituzione. Il documento ammette che anche coloro che decidono volontariamente «di impegnarsi nel lavoro sessuale» – cioè di prostituirsi – sono soggetti a sfruttamenti e violenze, e vorrebbero alternative. Tuttavia, anziché invocare per queste persone programmi di uscita dalla prostituzione, il gruppo dell’Onu vuole che quanti si prostituiscono possano riunirsi in associazioni, sindacati inclusi. La traduzione è semplice: chissenefrega se la vendita del corpo è in sé degradante, quel che conta è normalizzarla sempre più, renderla “istituzionale”, come se fosse un lavoro qualsiasi. L’invenzione dei termini “lavoro sessuale” e “lavoratore sessuale” serve proprio questo obiettivo.
Questa spinta radicale non è affatto isolata in ambito Onu: basti qui dire che ben 12 entità delle Nazioni Unite (citiamo le più note: l’Alto commissariato per i rifugiati, l’Oms, l’Unesco, l’Unfpa, l’Unicef) hanno firmato nel 2017 una dichiarazione in cui, tra le altre cose, raccomandano agli Stati di depenalizzare il «lavoro sessuale consensuale degli adulti».
La depenalizzazione è sostenuta pure da alcune organizzazioni per i diritti umani, tra cui spiccano Amnesty International e Open Society Foundations: la fondazione di George Soros compare anche più volte tra le fonti del documento, a sostegno delle tesi che vi sono esposte.
Sono tesi che portano alle estreme conseguenze il postulato dell’autodeterminazione, che tra l’altro è contraddetto da una realtà in cui il consenso è spesso viziato da costrizioni varie, come già detto. Ma anche quando il consenso fosse del tutto libero, la prostituzione resterebbe immorale. I tentativi di normalizzarla rispondono a una concezione materialista della persona, che nega il suo essere unità di anima e corpo. Ne consegue che il corpo – di un uomo o più spesso di una donna – diventa oggetto, trafficabile e vendibile come qualsiasi altro oggetto. Eppure, a sostenere la logica normalizzatrice sono gli stessi soloni e filantropi che usano il tema della violenza contro le donne per scardinare ulteriormente il tessuto sociale, non rendendosi conto (o forse sì) che sono proprio i loro schemi – contrari alla morale naturale – a favorire la violenza. La quale sorge, sia tra gli uomini che tra le donne, seppur in forme diverse, ogni qual volta si rifiuta il disegno che Dio ha su di noi.
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