Ogni scusa è buona per dare addosso all'Occidente
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Il mito antioccidentale aggiunge al classico campionario delle accuse anche quella climatica. Il tribunale green e woke persuade personaggi sempre più autorevoli e sbarca fino in Vaticano.
«Se invoco il giudizio finale del Signore è solo per rispetto delle vittime, sapendo bene che – in quanto occidentale privilegiato – io appartengo ai carnefici». Così sentenziava nel 2004 Enzo Bianchi, all’epoca priore della comunità di Bose, allineandosi alla schiera dei cattolici italiani che già allora condannavano senza possibilità di remissione l’Occidente, militanti in prima linea nella quinta colonna, nel fronte interno che dal secondo dopoguerra ha scelto di descrivere l’Occidente come la peggiore delle civiltà, di far credere che sia responsabile – per avidità, egoismo, assenza di valori umani – di tutti i danni e le sofferenze dell’umanità nei secoli. L’intenzione è che chi nasce in Occidente si vergogni, si senta in colpa, disprezzi se stesso e le generazioni che lo hanno preceduto e chi vive oltre i suoi confini nutra sentimenti sempre più ostili, di rivalsa nei suoi confronti e si senta legittimato a combatterlo.
Molti oggi sono convinti delle “colpe” storiche che gli vengono attribuite: tratta transatlantica degli schiavi africani, invasione e colonizzazione degli altri continenti, sfruttamento e depredazione delle loro risorse, imposizione di inaudite discriminazioni di genere. Nel frattempo a queste è stata aggiunta l’accusa, che in un certo senso le riassume tutte, di inquinare irrimediabilmente il pianeta e di provocare cambiamenti climatici gli irreparabili effetti avversi dei quali ricadrebbero su popolazioni innocenti.
Gli argomenti degli attivisti antioccidentali hanno via via persuaso personaggi sempre più autorevoli per carica, ruolo e posizione sociale. «Sono profondamente consapevole dei miei limiti personali. Sono anziano, bianco, occidentale e uomo! Non so che cosa sia peggio! Tutti questi aspetti della mia identità limitano la mia comprensione. Vi chiedo quindi perdono per l’inadeguatezza delle mie parole». Pronunciate sul serio o per rompere il ghiaccio, è con queste frasi inopportune che il frate domenicano Timothy Radcliffe ha introdotto la sua prima meditazione il 1° ottobre rivolgendosi ai partecipanti all’Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi.
Su temi di importanza cruciale persino il Papa, suprema autorità morale, dimostra quanto profondamente le ideologie antioccidentali abbiano cambiato la rappresentazione dei fatti. In Laudate Deum, l’esortazione apostolica sulle questioni ambientali rivolta «a tutte le persone di buona volontà», dopo aver liquidato come «sprezzanti e irragionevoli» le opinioni di chi dà credito agli innumerevoli scienziati che ritengono mera congettura la teoria del riscaldamento globale di origine antropica e, dati alla mano, respingono quella secondo cui i fenomeni atmosferici estremi si siano moltiplicati, afferma: «un ambiente sano è anche il prodotto dell’interazione dell’uomo con l’ambiente, come avviene nelle culture indigene e come è avvenuto per secoli in diverse regioni della Terra. I gruppi umani hanno spesso creato l’ambiente, rimodellandolo in qualche modo senza distruggerlo e metterlo in pericolo». Invece, prosegue, sono un «fatto innegabile» le conseguenze negative dello «sfrenato intervento umano sulla natura negli ultimi due secoli». Laudate Deum termina con la denuncia esplicita dello «stile di vita irresponsabile legato al modello occidentale».
La capacità delle società indigene di vivere in armonia con la natura è un mito usato per denunciare quello occidentale come un modello di sviluppo che produce ricchezza violando la natura. L'usura delle terre africane, ad esempio, la loro fragilità sono il risultato di un processo millenario. Derivano dal loro sfruttamento senza apporti di fertilizzanti, senza effettuare opere di bonifica, di raccolta e canalizzazione delle acque piovane, quasi senza aiuti animali e meccanici, utilizzando attrezzi rudimentali. Una delle conseguenze più evidenti è l'estensione del deserto del Sahara formatosi circa 10.000 anni fa a causa di variazioni climatiche che l'uomo, nei secoli, ha assecondato invece di contrastare.
Nella sua visita a Marsiglia il 22 e 23 settembre, parlando con il presidente francese Emmanuel Macron e con il ministro dell’interno Gèrald Darmanin, il Papa invece ha affrontato il problema dell’emigrazione. La chiusura del porti, l’indisponibilità ad accogliere, ha detto, è la naturale conseguenza del ricorso a un lessico emergenziale, all’uso di espressioni come «invasione» ed «emergenza» che «alimentano le paure della gente»; non quindi del fatto che si tratti di ingressi illegali che solo in minima parte si giustificano per condizioni disperate. Ma soprattutto hanno colpito le sue parole contro l’Europa sulla quale – ha detto – ricade la colpa dell’immigrazione illegale perché «il mare nostrum grida giustizia, con le sue sponde che da un lato trasudano opulenza, consumismo e spreco, mentre dall’altro vi sono povertà e precarietà».
Non considera il Papa, sopraffatto dalle rappresentazioni parziali dell’attuale assetto mondiale, quanta povertà affligge l’Europa, quanti europei si ingegnano con crescente difficoltà a far bastare il denaro di cui dispongono, quanti ogni mattina consultano le app che aggiornano sulle offerte nei supermercati dei prodotti di prima necessità, senza però che arrivino a soccorrerli migliaia di organizzazioni non governative e di dipendenti delle agenzie Onu e anzi raggiunti da continue richieste di aiuti per quelle che operano in altri continenti. Né considera quanta opulenza ostentata, per giunta frutto di ricchezze mal guadagnate, e quanto spreco di risorse gridano giustizia sull’altra sponda, quella africana.
Tutto concorre a far credere che solo l’insicurezza dell’Occidente, la sua destabilizzazione possano portare giustizia, mentre il modello occidentale così tanto criticato, per i suoi valori fondanti dovrebbe essere invece indicato a esempio perché proprio negli ultimi due secoli è riuscito a lottare contro la povertà, a prolungare la vita, a consentire di viverla in condizioni migliori. Ma soprattutto – cosa che nessuno dice o rivendica mai – perché è l’unico modello di società che afferma come principio irrinunciabile il diritto di ognuno a contribuire con il suo lavoro e i suoi talenti alla creazione della ricchezza e a goderne i frutti.
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