O ti vaccini o ti licenzio: il Vaticano apre la strada
In Vaticano è stato emanato un decreto in materia di emergenza sanitaria che discrimina i lavoratori che non si vaccinano, con conseguenze che arrivano fino al licenziamento. Una decisione ingiustificabile dal punto di vista morale e giuridico, perché manca lo stato di necessità e non c'è certezza su efficacia e sicurezza dei vaccini. Una Nota vaticana successiva per smorzare le polemiche non cambia la sostanza del provvedimento.
- VAXTICANO, DECISIONE SCIENTIFICAMENTE INSENSATA, di Paolo Gulisano
Tira una brutta aria per i dipendenti del Vaticano. A causa della pandemia in corso, l’8 febbraio scorso il Presidente della Pontificia Commissione dello Stato della Città del Vaticano, il cardinale Giuseppe Bertello, ha emanato un decreto in «materia di emergenza sanitaria pubblica». Al comma due dell’art. 6 di questo decreto, articolo relativo ai rapporti di lavoro, si dichiara che il «lavoratore che senza comprovate ragioni di salute rifiuti» di sottoporsi agli accertamenti sanitari preventivi e alla vaccinazione potrà andare incontro, come prevede l’art. 6 del Rescritto "Ex Audientia Ss.Mi" del 2011 a cui rinvia lo stesso decreto, a «conseguenze di diverso grado che possono giungere fino alla interruzione del rapporto di lavoro. Per i candidati all'assunzione, ciò equivale alla rinuncia alla costituzione del rapporto di lavoro». In breve il dipendente vaticano che non vuole vaccinarsi può rischiare il licenziamento e, per chi vuole lavorare in Vaticano, condizione necessaria per farsi assumere è quella di essere disposti a farsi vaccinare.
È condivisibile dal punto di vista morale e quindi giuridico questa misura così estrema? Come avevamo già avuto modo di spiegare, la risposta è negativa. L’obbligo di sottoporsi alla vaccinazione, minacciando il licenziamento, non è attualmente giustificabile sotto il profilo morale. Questo essenzialmente per due motivazioni. La prima: manca lo stato di necessità. Il vaccino è l’unico strumento che abbiamo a disposizione per combattere la pandemia? No. Tenuto conto del grado di efficacia delle stesse in rapporto ai vaccini, esistono anche le terapie, come ricorda all’art. 3 lo stesso decreto della Pontificia Commissione dello Stato della Città del Vaticano. Appare quindi irragionevole costringere qualcuno a vaccinarsi, come se fosse l’unica scialuppa di salvataggio dentro cui rifugiarsi.
Secondo motivo: siamo certi che i vaccini ora in commercio siano efficaci, cioè siano capaci di contrastare l’infezione e non provochino più danni che benefici? No, allo stato attuale manca questa certezza perché, come è noto, non si sono aspettati quei 2-5 anni per le opportune verifiche. Dunque non abbiamo quel grado di certezza o probabilità che ci permette di affermare che il vaccino sia efficace, sia in termini di tutela dal Covid per sé e per gli altri sia in termini di effetti indesiderati sulla salute. Anche in questo caso appare irragionevole obbligare qualcuno a fare qualcosa quando questo qualcosa non è certo che sia sicuro ed utile. In breve il decreto obbliga alla vaccinazione anche se mancano i criteri di necessità e di proporzione, criteri che il documento stesso, curioso a dirsi, ricorda al comma 3 dell’art. 1.
Che vaccinarsi non fosse obbligatorio, per paradosso, lo aveva ricordato nel dicembre scorso la Congregazione per la Dottrina della Fede (CDF) con la Nota sulla moralità dell’uso di alcuni vaccini anti-Covid-19: «appare evidente alla ragione pratica che la vaccinazione non è, di norma, un obbligo morale e che, perciò, deve essere volontaria» (n. 5). Gli estensori del decreto incriminato, di certo, si aggrapperebbero all’inciso «di norma», contenuto nella Nota, per legittimare l’obbligo di vaccinazione nei luoghi di lavoro, ossia affermerebbero che, come indicato dalla CDF, esisterebbero condizioni particolari, come quelle in cui versiamo noi oggi, che renderebbero moralmente lecito obbligare alla vaccinazione.
Ma in realtà quel «di norma» rimanda alla presenza dei due criteri prima indicati e presenti nella stessa Nota della CDF. E dunque quando si potrebbe lecitamente obbligare una persona a vaccinarsi? Quando il vaccino fosse l’unica soluzione adottabile e certamente efficace. Nella generalità dei casi questi due criteri non sussistono congiuntamente e quindi «di norma» l’obbligo alla vaccinazione non scatta. Sarà perciò la singola persona a valutare la propria condizione, supportata ovviamente dal consiglio di persone esperte, e così decidere se, nel suo caso, sia preferibile vaccinarsi o meno, come abbiamo già avuto modo di spiegare in un articolo precedente.
Un’altra obiezione per difendere il contenuto del decreto su questo aspetto specifico potrebbe essere la seguente: le autorità del Vaticano non obbligano nessuno a vaccinarsi, solo indicano a quali conseguenze potrebbe andare incontro il dipendente che si rifiutasse di vaccinarsi. Spetta a lui la scelta. Dunque, a seguire questa logica, il rapinatore che intimasse a Tizio: «O la borsa o la vita», non obbligherebbe Tizio a dargli il portafogli, ma solamente comunicherebbe a Tizio a quali conseguenze egli andrebbe incontro se si rifiutasse di consegnargli i suoi averi. Vero è che, in senso stretto, la libertà di scelta sopravvive in capo al dipendente e in capo a Tizio, ma è una libertà fortemente coartata da – e qui sta il punto – una minaccia ingiusta. Bene in certi casi coartare la libertà altrui con una minaccia di un provvedimento giusto – se rubi sul posto di lavoro ti licenzio – male comprimere la capacità di scelta con una minaccia di un male ingiusto – se non ti vaccini ti licenzio.
Il decreto, ovviamente, ha creato molto clamore dato che nell’immaginario collettivo il Magistero attuale insiste molto sulla misericordia e sulla cosiddetta inclusività. A fronte di questo clamore ieri pomeriggio il Governatorato ha diffuso una Nota esplicativa del decreto in cui teneva a precisare che la normativa del 2011 richiamata nel documento e che prevede anche il licenziamento è «uno strumento che in nessun caso ha natura sanzionatoria o punitiva, piuttosto destinato a consentire una risposta flessibile e proporzionata al bilanciamento tra la tutela sanitaria della collettività e la libertà di scelta individuale senza porre in essere alcuna forma repressiva nei confronti dei lavoratori».
Concordiamo che il possibile licenziamento non abbia natura sanzionatoria, ma ciò che critichiamo è appunto l’asserita proporzionalità di questa misura: è eccessivo licenziare qualcuno se non vuole vaccinarsi proprio perché la vaccinazione non è l’unica soluzione, né la più sicura per affrontare la pandemia.
Inoltre la Nota cerca di buttare acqua sul fuoco laddove afferma che «per colui che rifiuti la vaccinazione in assenza di motivi sanitari» si adotteranno misure che «consentano di trovare comunque soluzioni alternative per lo svolgimento del lavoro da parte dell’interessato». Ma nel decreto oltre a questa opzione, che vede il lavoratore conferito ad altre mansioni, è presente anche la misura del licenziamento, misura che invece non viene esplicitata nella Nota.