Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santi Adamo ed Eva a cura di Ermes Dovico
Dal Padre Nostro al Gloria

Nuovo Messale, modifiche con un problema di metodo

La nuova traduzione del Padre Nostro rispecchia di più il Nestle-Aland 28 (tutt’altro che sicuro, però) e anche la Nova e Vetera Vulgata. Ma l’idea alla base, cioè di rincorrere il testo originale, è una chimera che contraddice il magistero. Giovanni Paolo II ha infatti stabilito che tutte le traduzioni in lingua volgare devono partire dalla Nova Vulgata, versione dichiarata dogmaticamente inerrante. L’attuale prurito di novità, invece, crea confusione tra i fedeli

Ecclesia 23_09_2020

Certamente le nuove traduzioni del Padre Nostro (Mt 6,13) e del Gloria angelico (Lc 2,14) proposte dal Nuovo Messale sono più adeguate al testo greco del Nuovo Testamento così come lo troviamo codificato nelle edizioni critiche del Novum Testamentum Graece di Nestle-Aland (arrivato alla 28^ edizione).

Per quanto riguarda il Padre Nostro, la nuova traduzione “E non ci abbandonare alla tentazione” rispecchia di più il testo greco suddetto e anche il testo latino della Nova e Vetera Vulgata, la cui espressione latina “Et ne nos inducas in tentationem”, con l’iterazione della preposizione “in”, non indica in effetti il non farci entrare, ma il non farci cadere dentro alla tentazione, rispecchiando bene il testo greco che ha due eis (Mt 6,13).

Precisiamo comunque che la spiegazione è esattamente contraria a quella data da papa Francesco quando per spiegare il cambiamento del Padre Nostro ha detto più volte in diverse occasioni: “Perché Dio non induce in tentazione nessuno”. Dio, invece, nella Bibbia è proprio Colui che induce in tentazione, da Abramo sino a tutto il NT. Infatti, sia il verbo ebraico nissah che il suo corrispondente greco peirazein significano “mettere alla prova”, con senso neutro, senza alcuna inferenza negativa come il verbo italiano “tentare”. Unico caso nel NT è quello della Lettera di Giacomo, in cui peirazein viene usato nel senso di indurre al male. Ma è l’unico caso, che non costituisce una controtendenza, ma un’eccezione che conferma la regola, anche perché la Lettera di Giacomo ha una terminologia tutta sua, che per lo più non ha paralleli con il resto del NT.

Per quanto riguarda invece il Gloria angelico, l’opzione di traduzione è possibile ma non obbligatoria, tanto più che sia la Vetera che la Nova Vulgata in Lc 12,14 mantengono: “Gloria in altissimis Deo, et super terram pax in hominibus bonae voluntatis”.

Ora, Giovanni Paolo II nella Costituzione Apostolica sulla Nova Vulgata del 25 aprile 1979, ripresa dal decreto della Congregazione per il Culto divino del 28 marzo 2001, stabilisce che tutte le traduzioni in lingua volgare devono partire dal testo della Nova Vulgata, che è l’unica versione dichiarata dogmaticamente inerrante, come la Vetera dichiarata tale dal Concilio di Trento, il quale si espresse anche sul canone, mentre non abbiamo avuto mai nessuna definizione sui testi originali della Sacra Scrittura, perché sarebbe impossibile determinarne uno.

Quindi il ricorso a nuove traduzioni basate sul testo originale è illegittimo ed è una chimera, perché contraddice quanto precedentemente stabilito dal magistero e perché il rincorrere il testo originale è praticamente impossibile, come detto sopra.

Infatti, lo stesso testo del Nestle-Aland 28 è tutt’altro che sicuro. Il testo greco presentato è basato su quello che i critici testuali biblici chiamano “testo critico”, un testo eclettico compilato da un comitato che esamina un gran numero di manoscritti per decidere quale “lezione” (versione) è più vicina all’originale perduto. Gli studiosi utilizzano diversi metodi per decidere la ricostruzione più probabile, come la data di composizione (le edizioni più antiche sono normalmente preferite), la distribuzione geografica di una particolare lezione e corruzioni accidentali o intenzionali. Nel Novum Testamentum Graece un elevato numero di varianti testuali sono presentate nell’apparato critico (le numerose note a piè di pagina che contraddistinguono il Novum Testamentum Graece dalle altre edizioni del Nuovo Testamento in greco).

Ma alcuni studiosi, come il biblista Maurice Robinson e il linguista Wilbur Pickering, sostengono che i testi minuscoli (tipo testuale bizantino) riflettono più accuratamente gli “autografi” (gli originali) di un testo eclettico come il Nestle-Aland 28, che si basa sui manoscritti del tipo testuale alessandrino.

L’apparato del Novum Testamentum Graece, riassumendo le prove, provenienti da manoscritti e versioni differenti, sia a favore che (talvolta) contro una selezione delle più importanti varianti per lo studio del testo del Nuovo Testamento, non persegue la completezza nella selezione delle varianti e nella citazione delle testimonianze: è una versione di studio che fornisce a lettori esperti una base con la quale giudicare da soli quali lezioni riflettano meglio gli originali, senza pretendere di fornire nulla di definitivo. Si confronti anche il testo greco della 28^ edizione con quello della quarta edizione del Nuovo Testamento greco della United Bible Societies (UBS4). Vi sono differenze sia nella suddivisione in paragrafi, nell’uso delle maiuscole, della punteggiatura e nell’ortografia, sia nell’apparato critico che è sostanzialmente differente.

Altri studiosi sotto citati invece sostengono che per comprendere meglio il problema del testo del NT bisogna partire dalla tradizione orale che ha preceduto la composizione dei nostri quattro Vangeli. Essi procedono affiancando agli studi tradizionali suddetti anche quello delle tecniche della poesia ebraica e greca, recentemente approfondito attraverso la rilevazione di alcuni segni diacritici presenti nei più antichi manoscritti siriaci, la cui decifrazione ha reso possibile il riconoscere la presenza di unità tematiche composte per una recitazione orale. Questo lavoro, reso possibile anche dal progresso recente delle analisi dei testi composti nei paesi di tradizione orale, come dallo studio dei neumi gregoriani per decifrare antichi manoscritti, ha dato ottimi risultati per comprendere i Vangeli a partire dal loro ambiente semitico di formazione. Queste tracce, conservate in tutti i manoscritti più antichi e ben riportate nelle edizioni critiche, fanno parte di una catena di messa per iscritto progressiva della tradizione orale, e sono comprensive anche dei segni che indicano l’aggiunta di vocali necessarie per la scrittura, ma che non fanno parte delle recitazioni orali, perché ne alterano ritmo, rime, assonanze, suoni, ecc. Queste notazioni sono comuni nei testi siriaci del NT e dell’AT, ma anche nella letteratura ebraica o aramaica di Qumran. Questi studiosi propongono un itinerario di studio che sarebbe molto interessante approfondire:

- Prima tappa: evidenziare i manoscritti più antichi

A partire dal 140, quando Marcione critica lo stato confusionale dei manoscritti greci, inizia a Roma, come ad Alessandria e a Cesarea, una revisione critica degli stessi. Esente da questa revisione sembra sia rimasto solo il Codice di Beza, contenente gli Evangeli e gli Atti, che è la copia di un testo più antico portato a Roma da sant’Ireneo nel 170, proveniente da Smirne, dove lo aveva ricevuto da san Policarpo.

- Seconda tappa: il duplice supporto orale della catechesi e della liturgia primitiva

Due testi presentano le stesse caratteristiche del Codice di Beza: il codice chiamato Vetus latina Briaxianus (conservato a Brescia) e il Vaticanus syriacus 12. Quest’ultimo (anch’esso contenente Evangeli e Atti) potrebbe essere antecedente allo stesso Codice di Beza perché è un testimone del Peshitto (strettamente originale), testo siriaco con vocalizzazione antiochena, leggermente diverso dalla Peshitta con vocalizzazione parta per le chiese orientali. Provenienti direttamente dal milieu giudeo-cristiano aperto ai gentili, questi testi presentano i segni diacritici dei colliers degli apostoli per la catechesi e degli inni e delle altre parti liturgiche usate dalla Chiesa primitiva. A partire dagli studi di Richard Bauckham, Jesus and the Eyewitnesses - The Gospels as Eyewitness Testimony (2006), di Fréderic Guigain, Evangéliaire selon la récitation orale des Apotres (Cariscript 2008), e di Pierre Perrier, Les Colliers évangeliques (Editions du Jubilé 2003), si sono sviluppati gli studi per identificare questi corpi (collane) di tradizioni orali soggiacenti alla composizione evangelica e in essa variamente incorporati. Si tratta di composizioni orali fatte per la recitazione a due cori (cfr. il comando di Gesù ai suoi discepoli di andare a due a due), non frutto di una comunità creatrice, ma di singoli compositori, trattandosi di testi poetici!

- Terza tappa: la conservazione parallela di due forme di Buona Novella

Sarebbe quindi importante conservare la memoria di questa forma di recitazione orale primitiva, conservata dappertutto nella Chiesa primitiva sotto il nome di “Memorie degli Apostoli” (Tà apomnemoneumata tōn Apostolōn) che formavano le catechesi e i lezionari liturgici delle prime chiese. Tra queste memorie sono importanti le 17 catechesi a collana denominate: “Memorie degli Apostoli attorno a Maria”, di cui parlano Ireneo (Adv. Haer. III 4,2) e Papia (H.E. 3,39).

Sotto la guida poi degli stessi apostoli (Marco per Pietro, Luca per i pagani; Matteo per gli ebrei, Giovanni per i preti e i vescovi sotto forma di catechesi per la direzione spirituale), nacque la sistemazione di questo materiale nella forma attuale dei quattro Vangeli.

- Quarta tappa: rintracciare anche nei manoscritti siriaci più recenti i segni diacritici (perle e rimandi) della presenza di queste composizioni delle Memorie degli apostoli.


- Quinta tappa: rintracciare le vere fonti dell’Evangelo

Rimandiamo per questi studi a Pierre Perrier, I Vangeli dall’orale allo scritto (ed. Chirico 2007), che esamina le “Memorie degli Apostoli attorno a Maria”; gli apomnemoneumata di Matteo a Gerusalemme intorno al 37; di Pietro a Roma intorno al 42-45; di Paolo di Tarso ad Antiochia e nelle chiese della diaspora da lui fondate; di Pietro e Giovanni a Gerusalemme, e di numerosi altri. A questo punto, forse, potremmo accedere ad un testo più antico dei codici della famiglia alessandrina, e avvicinarci veramente molto di più al testo originale.

Ma questo lavoro quando avrà mai fine? E allora non dovremmo forse attenerci al testo che la Chiesa da secoli ci offre come Sacra Scrittura inerrante, secondo le indicazioni del magistero stesso? Perché scostarci da esso gettando confusione tra i fedeli, confondendoli anche in quelle poche preghiere fondamentali che hanno imparato sin da bambini e che in molti casi restano l’unico legame con la fede cristiana, l’unica capace di salvare la loro anima? E tutto questo noi lo metteremo a rischio solo per un prurito di novità, senza solide basi né di magistero né di scienza?

* Sacerdote