«Non sono bianco». La bugia per andare al college
Un sondaggio di Intelligent.com rileva che su 1250 candidati al college il 34% ha mentito sulla propria appartenenza etnica, negando di essere bianco; tra loro, quasi la metà ha affermato di essere nativo americano. L’85% di chi ha falsificato la dichiarazione ritiene che questo li abbia aiutati a essere ammessi. Una conseguenza della cancel culture e del finto antirazzismo.
La pelle bianca? Inizia a essere un problema. Non è una provocazione, bensì la semplice constatazione di quanto accade nel mondo occidentale. L’antirazzismo militante e l’ossessione per le minoranze stanno infatti alimentando - negli Usa, ma potrebbero arrivare pure qui - due tendenze assurde e impensabili sino a pochi anni fa: la vergogna d’essere bianchi e il conseguente tentativo di spacciarsi per «non bianchi» per avere più possibilità, per esempio, nell’ingresso al college.
Emblematico, in proposito, quanto scoperto da un recente sondaggio - realizzato dalla rivista online Intelligent.com - con cui si è chiesto a 1.250 candidati al college, bianchi, di età pari o superiore a 16 anni, se, per caso, avessero mentito sulla loro domanda indicando d’essere una minoranza razziale. Una domanda in risposta alla quale era lecito immaginarsi l’esistenza di un fenomeno residuale, per non dire irrilevante. Invece ciò che si è scoperto ha dell’incredibile. Si è infatti riscontrato come in più d’un caso su tre (34%) gli interpellati, compilando la domanda per il college o l’università, abbiano mentito sulla loro appartenenza etnica.
Una scelta motivata sulla base di due elementi: le maggiori probabilità sia di ammissione sia di poter accedere ad agevolazioni e misure di sussidio. In particolare, tra quanti hanno negato di essere bianchi, il 48% ha affermato di essere nativo americano. Un altro dato emerso - e tutt’altro che trascurabile - riguarda il fatto che più di tre quarti (77%) dei giovani che hanno finto di appartenere a una minoranza razziale nelle loro domande sono stati comunque accettati dai college cui avevano mentito. Ancora, si è visto come la maggior parte dei candidati che hanno mentito e che, ciò nonostante, sono stati accettati, benché altri fattori possano aver giocato un ruolo nella loro accettazione, ritenga (85%) che falsificare il loro status di minoranza razziale li abbia aiutati a ottenere l'ammissione al college. Insomma, negare di essere bianchi pare proprio abbia portato bene. D’accordo, ma come si spiega questo singolare se non bizzarro fenomeno?
Secondo il caporedattore di Intelligent.com, Kristen Scatton, la prevalenza di candidati che affermano di avere antenati nativi americani è probabilmente dovuta alla narrativa popolare secondo cui, per molti americani, una piccola percentuale del loro Dna proviene da un’antica tribù; il che spiega perché si sia scelto di dichiararsi nativi, ma non perché non ci si sia dichiarati bianchi. Opzione, quest’ultima, che se sotto il profilo meramente strategico risponde ad un fine - quello, già evidenziato, di accrescere la probabilità di ingresso al college -, in un piano più generale rispecchia un fenomeno inquietante.
Alludiamo a quello strutturale senso di colpa che la corrente woke e la cancel culture, le ultime due frontiere del politicamente corretto, stanno instillando in chi non ha nessuna responsabilità se non quella, si fa per dire, di avere la pelle bianca. L’antirazzismo militante si è dunque rovesciato in un nuovo razzismo che, per usare un’espressione tristemente attuale, contagia un po’ tutti. A partire da quei giovani che, visto l’andazzo, si sono resi conto che un modo per farsi strada è mentire sulla propria identità.
Ma che razza di democrazia è un sistema in cui alcuni suoi componenti debbono, almeno un po’, vergognarsi di chi sono? Pare il caso di iniziare a chiederselo, prima che la lotta alle disuguaglianze etniche, in quella che sarebbe una perfetta eterogenesi dei fini, ne generi di nuove. Del resto, le premesse sembrano esserci tutte.