«Non si usi il sacro per la guerra»
«Non giustifichiamo mai la violenza, non permettiamo che il sacro venga strumentalizzato da ciò che è profano: il sacro non sia puntello del potere e il potere non si puntelli di sacralità! Dio è pace e conduce sempre alla pace, mai alla guerra». Queste le parole pronunciate dal Papa nel corso della sua visita in Kazakistan.
Quella in Kazakistan doveva essere la visita apostolica del secondo incontro con Kirill, invece potrebbe determinare un ulteriore allontanamento con il Patriarcato di Mosca. Non solo perché non c'è stato alcun sequel dello storico abbraccio di Cuba del 2016, ma soprattutto per il discorso che ieri Francesco ha fatto al VII Congresso dei Leader delle religioni mondiali e tradizionali. «Non giustifichiamo mai la violenza, non permettiamo che il sacro venga strumentalizzato da ciò che è profano: il sacro non sia puntello del potere e il potere non si puntelli di sacralità! Dio è pace e conduce sempre alla pace, mai alla guerra», queste le parole pronunciate dal Papa nella sala delle conferenze del Palazzo dell’Indipendenza anche di fronte al metropolita Antonij di Volokolamsk, capo delle relazioni esterne del Patriarcato di Mosca ed inviato da Kirill al suo posto.
Un riferimento nemmeno troppo velato al conflitto in Ucraina e alla sua giustificazione da parte dei vertici della Chiesa ortodossa russa. Il Papa, in un certo senso, sembra aver riproposto quel monito a «non trasformarsi nel chierichetto di Putin» che aveva fatto imbufalire il Patriarca e che presumibilmente aveva portato alla cancellazione dell'incontro originariamente ipotizzato proprio a Nur-Sultan. Ieri, però, dopo aver lanciato questo richiamo indiretto, Francesco si è fermato a parlare per 15 minuti con il metropolita succeduto ad Hilarion Alfeyev. Antonij di Volokolamsk non ha escluso un prossimo incontro tra i due leader religiosi, ma ha precisato che deve essere ben preparato perché non può essere paragonato a bere un caffè insieme. Dal "ministro degli esteri" del Patriarcato, peraltro, è arrivata la conferma del fastidio di Mosca per l'ormai famosa intervista del Papa al Corsera, spiegando che la definizione di «chierichetto di Putin» è stata un'espressione «non utile per l'unità dei cristiani».
Nel suo discorso al Congresso, Bergoglio ha menzionato tre delle linee programmatiche che più hanno connotato il suo pontificato: dialogo tra religioni, accoglienza dei migranti e questione ecologica. Sul primo punto, egli ha lanciato un monito sulla necessità di «destarsi da quel fondamentalismo che inquina e corrode ogni credo». Ma ha ammonito anche sul pericolo di cercare «finti sincretismi concilianti» «che non servono» e che dovrebbero essere sostituiti dalla custodia delle «nostre identità».
In particolare, il Papa se l'è presa con il secolarismo che in Kazakistan è «eredità dell’ateismo di Stato». Un'eredità che ha portato a quella «mentalità opprimente e soffocante per la quale il solo uso della parola "religione" creava imbarazzo». In questo senso se l'è presa anche con chi tenta di «relegare alla sfera del privato il credo più importante della vita». Ma esaltando la libertà religiosa, ha criticato anche «proselitismo e indottrinamento» opponendogli «la buona pratica dell’annuncio» attraverso il quale «ogni persona» può «rendere pubblica testimonianza al proprio credo: proporlo senza mai imporlo». Venendo al tema del Congresso, il Papa ha anche detto la sua sul ruolo delle religioni nel mondo post-pandemia invitando la società a «non dimenticare la vulnerabilità» e «a non cadere in false presunzioni di onnipotenza suscitate da progressi tecnici ed economici, che da soli non bastano».
Parlando di «accoglienza fraterna», invece, il Pontefice è tornato ad attirare l'attenzione sulla condizione dei migranti, ripetendo che «il fratello migrante bisogna riceverlo, accompagnarlo, promuoverlo e integrarlo». Sulla custodia della casa comune, Francesco ha denunciato l'esistenza di «stravolgimenti climatici» che devono portare a proteggere la Terra «perché non sia assoggettata alle logiche del guadagno, ma preservata per le generazioni future».
Il Congresso dei Leader delle religioni mondiali e tradizionali si tiene ogni tre anni nella capitale kazaka ed è nato per promuovere il dialogo globale tra religioni e culture. In un'intervista all'Osservatore Romano, il cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin ha spiegato che «sin dall'inizio il Congresso ha preso come modello la Giornata di preghiera per la pace nel mondo, convocata ad Assisi da Papa san Giovanni Paolo II, il 24 gennaio 2002, per riaffermare il contributo positivo delle diverse tradizioni religiose al dialogo, all'armonia e alla concordia tra i popoli».
All'epoca, l'incontro di Assisi suscitò le perplessità di alcuni autorevoli prelati tra cui lo stesso Joseph Ratzinger secondo cui «un tale avvenimento porta quasi necessariamente a interpretazioni sbagliate, all'indifferenza rispetto al contenuto da credere o da non credere e in tal modo al dissolvimento della fede reale» arrivando alla conclusione che «avvenimenti del genere devono restare eccezioni, e dunque è della massima importanza chiarire accuratamente in che cosa consistano». Nel 2002, su richiesta di San Giovanni Paolo II, l'allora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede partecipò a sorpresa alla Giornata di preghiera per la pace nel mondo di Assisi, dicendosi soddisfatto per come erano stati impostati in tempi differenti i momenti di preghiera delle delegazioni. Per i 25 anni dalla prima edizione, nel 2011, Benedetto XVI partecipò alla Giornata incentrata sul pellegrinaggio anziché sulla preghiera e tenne un intervento con alcuni tratti in comune con quello pronunciato ieri da Francesco a Nur-Sultan: la condanna della violenza motivata religiosamente, la libertà religiosa, la preghiera per la pace, l'eredità dell'ateismo di Stato.
«La Croce di Cristo – disse Benedetto XVI in quell'occasione – è per noi il segno del Dio che, al posto della violenza, pone il soffrire con l’altro e l’amare con l’altro». E ieri Francesco, nell'omelia della Messa celebrata all’EXPO Grounds davanti alla comunità cattolica kazaka, ha ricordato che «è dalla Croce di Cristo» che «impariamo l’amore, non l’odio; impariamo la compassione, non l’indifferenza; impariamo il perdono, non la vendetta».