No al diritto di veto a Budapest, il Belgio contro l’Ungheria
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Il governo del Belgio chiede ai governi degli altri Paesi membri dell’Ue di accelerare la procedura formale che privi l’Ungheria del diritto di voto e di veto. Un’iniziativa contraria a ogni buonsenso politico.
Il governo del Belgio, alla presidenza di turno del Consiglio dell’Unione europea, ha preso l’iniziativa di chiedere ai governi degli altri Paesi membri dell’Ue di accelerare la procedura formale che privi l’Ungheria, la cui presidenza inizierà il prossimo 1 luglio, del diritto di voto e di veto. L'impazzimento per le previsioni elettorali sfavorevoli a liberali e socialisti, con la conseguente perdita di potere nelle istituzioni, acceca ogni buonsenso istituzionale e politico. «Abbiamo un’Europa che sta facendo progressi difficili, con alcuni Stati, uno in particolare, che sfortunatamente adottano sempre più un atteggiamento transazionale, di blocco e di veto», ha detto lo scorso 2 giugno il ministro degli Esteri belga Hadja Lahbib in un’intervista al portale liberalsocialista Politico.
Il governo belga, per i cui partiti si prevede una sonora sconfitta alle elezioni europee, vorrebbe far avanzare contro Budapest la procedura di censura dell'articolo 7 dei Trattati. «Penso che dobbiamo avere il coraggio di attivare fino alla fine l’articolo 7, che prevede la fine del diritto di veto», ha detto il ministro Lahbib. Un gran brutto esempio di bon ton politico e istituzionale, degno di una mentalità punitiva; allo stesso tempo è un evidente tentativo di minare la presidenza ungherese del prossimo semestre.
Nel 2018 il Parlamento europeo aveva avviato la prima fase della procedura prevista dall’articolo 7 contro l’Ungheria, anche se da allora non si è proceduto rispetto all'accusa rivolta a Budapest di violare i valori fondamentali europei. Valori peraltro indefiniti e strumentalmente usati come clava politica da socialisti e liberali, dalla Commissione e talvolta anche dal Ppe contro i governi conservatori, identitari e cristiani.
Lo scorso gennaio, in una durissima risoluzione del Parlamento, si chiedeva che la procedura contro l'Ungheria passasse alla seconda fase di verifica, per la constatazione di «una violazione grave e persistente» dei diritti fondamentali nel Paese. Ma quest'ulteriore iniziativa, che non è mai stata attivata, richiederebbe una proposta scritta da parte della Commissione europea o di un terzo degli Stati membri e, una volta presentata, i leader dell’Ue dovrebbero votarla all’unanimità, tranne ovviamente il Paese accusato.
Proprio lo scorso gennaio, il commissario alla Giustizia Didier Reynders, mai tenero con Budapest, aveva dichiarato che non c’era «alcuna decisione in seno alla Commissione per innescare il passo successivo ai sensi dell'articolo 7», per la mancanza di consenso in seno al Consiglio. Oggi, come lo scorso gennaio, i primi ministri di Italia e Slovacchia, Giorgia Meloni e Robert Fico, sono tra coloro che si oppongono all'approvazione di una relazione che certifichi l’uso politico dell’articolo 7 contro l’Ungheria e che possa avviare la sospensione del diritto di voto.
L’Ungheria è pronta ad assumere la presidenza del Consiglio dell’Ue a luglio, che darebbe a Budapest più potere per definire l’agenda e le priorità dell’Ue per sei mesi. Intanto, il primo ministro ungherese Viktor Orbán, al cui Paese non sono stati ancora versati i miliardi del Recovery Fund, continua a ostacolare le decisioni dell’Ue sulle questioni che riguardano la guerra contro la Russia, prima ancora che gli aiuti militari all’Ucraina. E, in quest’ottica incrementale di conflitto, ostacola anche l’allargamento accelerato dell’Ue ad Ucraina e Moldavia, per ora sostenuto solo da un'ampia minoranza di Paesi, 12 su 27.
L’iniziativa belga si iscrive dunque nell’alveo illiberale, guerrafondaio e centralista che partiti socialisti, liberali, burocrazie e lobby euro-atlantiche vorrebbero imporre, proprio a causa delle previsioni sugli esiti elettorali favorevoli a destre e identitari.
Lo scatenarsi di nuove e infondate polemiche della stampa europea contro l’autoritarismo di Robert Fico e del governo slovacco (a poche ore dalle sue dichiarazioni contro la violenza di liberali, sinistre e lobby europee) e la lettera aperta, pubblicata su Repubblica, di Emma Bonino a Giorgia Meloni e al ministro degli Esteri Antonio Tajani sono ulteriori segnali di nervosismo dei probabili perdenti. Una lettera, quella della Bonino, che è una eco dei suoi precedenti incarichi presso l’Open Society di George Soros, e in cui si sostiene l'iniziativa di sospensione del voto dell’Ungheria.
Tutto ciò rende ancor più decisivo il nostro voto alle europee di oggi e domani, 8 e 9 giugno. È necessario sostenere la prossima presidenza ungherese e favorire la formazione di una maggioranza parlamentare di centrodestra, perché si possa contrastare quel sistema di lobby e burocrazie centraliste e omologatrici che oggi vogliono limitare le nostre libertà, reprimere l’identità cristiana dei nostri popoli e i governi conservatori europei.