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MEDIO ORIENTE

Netanyahu respinge il piano arabo per Gaza. E intanto stacca la corrente

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Netanyahu approva il piano di Trump per Gaza (che include la cacciata dei suoi abitanti) e respinge quello proposto dall'Egitto (accettato anche dall'Italia). Nel frattempo, per aumentare la pressione per la liberazione degli ostaggi, Israele smette di erogare elettricità a Gaza.

Esteri 11_03_2025
Gaza a pezzi (La Presse)

Mentre i negoziatori israeliani si recano a Doha per riprendere i colloqui della seconda fase del cessate il fuoco con Hamas, Benjamin Netanyahu, primo ministro del governo con la Stella di Davide, ordina al ministro dell'Energia, Eli Cohen di interrompere l’erogazione dell'energia elettrica a Gaza. Il taglio della corrente provocherebbe, tra l'altro, il blocco dei generatori che vengono utilizzati nella Striscia per far funzionare l'unico impianto di desalinizzazione rimasto operativo e che garantisce acqua potabile ad oltre 600mila abitanti. Ma non solo. Da alcuni giorni l'esercito israeliano impedisce di far entrare gli automezzi con gli aiuti umanitari.

Decisioni che hanno l’obiettivo di far pressione e costringere il gruppo terroristico a rilasciare tutti gli ostaggi, senza alcun accordo, ma soprattutto indurre gli abitanti di Gaza ad abbandonare definitivamente l'enclave e trasferirsi verso luoghi lontani da quel lembo di terra.

Netanyahu, dunque, fa proprio il piano del presidente americano, Donald Trump, di deportare i palestinesi dalla Striscia, utilizzando tutti i mezzi. «Il suo piano - ha dichiarato Netanyahu - potrebbe cambiare radicalmente la storia». Progetto, però, che è stato immediatamente respinto da tutti gli stati arabi, soprattutto dall'Arabia Saudita, che non intendono essere complici di una nuova Nakba, la deportazione dei palestinesi, già avvenuta nel lontano 1948. I paesi arabi hanno avanzato una controproposta, mettendo sul tavolo, per la ricostruzione di Gaza, la disponibilità immediata di oltre 53miliardi di dollari, pronti per essere spesi, e con l’obiettivo di consentire a quanti abitano nella Striscia di non lasciare la loro terra.  «Ora il piano è diventato arabo-islamico» ha scritto su X il ministro degli Esteri egiziano Badr Abdelatty. Ma i paesi arabi non sono soli. Anche l’Unione Europea, in particolare, Italia, Germania, Francia e Regno Unito appoggiano il piano di ricostruzione che prevede anche la nascita dello Stato palestinese, iniziativa questa, alla quale Netanyahu si oppone fortemente, impartendo ordini ai vertici militari di tenersi pronti per un ritorno, in tempi brevi, ai combattimenti.

Netanyahu, comunque, non demorde. Sta coinvolgendo anche il ministro degli Affari strategici, Ron Dermer, a far pressioni sull'Egitto affinché il paese del Nilo apra le porte per accogliere i palestinesi di Gaza. Non si può non riconoscere che il dramma di Gaza sta mettendo a dura prova la pace tra Egitto e Israele. La tensione sale di giorno in giorno, al punto che vengono diffusi, da parte israeliana, filmati che mostrano un ammassamento di carri armati al confine con il Sinai. Riprese ritenute non corrispondenti alla realtà, realizzate infatti prima dell'accordo tra Israele ed Egitto, come ha rivelato una fonte anonima della Sicurezza israeliana.

Il “piano” Trump per trasformare Gaza nella "Riviera del Medio Oriente" trova d'accordo il ministro delle Finanze, Bezalel Smotrich, che ha annunciato che sta per essere istituito un nuovo ministero per la migrazione. E sulla piattaforma social, si è spinto a scrivere: «Dopo che riprenderemo i combattimenti e tutta Gaza sembrerà Jabalia, non avranno più nulla da cercare lì. Israele deve decidere se vuole intensificare la guerra a Gaza o assicurarsi prima il rilascio degli ostaggi, mentre Trump deve stabilire come dar corso alle sue minacce».

Ma mentre il presidente americano minaccia Hamas, il suo inviato, Steve Witkoff, va a trattare direttamente con i responsabili del gruppo terroristico, scavalcando, di fatto, Netanyahu. Cosa che ha molto infastidito il primo ministro israeliano, al punto tale che gli americani hanno risposto di non essere agenti israeliani, ma portatori di interessi propri da difendere, compresa la liberazione degli ostaggi ancora detenuti nei tunnel della Striscia. Gli statunitensi sono interessati, infatti, ad un cittadino americano ancora in vita e al recupero di quattro ostaggi già morti. Dietro questa operazione diplomatica ci sarebbe il Qatar che ha tentato così di costringere Israele a tornare al tavolo delle trattative per una soluzione definitiva del conflitto. Pare, però, che la prima fase della tregua possa prolungarsi di altri due mesi, in cambio di altri dieci ostaggi. La proposta è stata fatta da Hamas, ma Israele non ha fornito alcun riscontro. Infatti, il governo Netanyahu non intende accettare una nuova fase del cessate il fuoco, in cambio di nuove garanzie, per la semplice ragione che ciò comporterebbe il ritiro dell'esercito israeliano dalla Striscia e dal Corridoio Filadelfia.

Nel frattempo, a Tel Aviv, le proteste non si placano. I manifestanti si sono radunati davanti al palazzo di giustizia, dove era in corso il processo a carico del primo ministro Netanyahu, agitando false banconote di dollari macchiate di vernice rossa, e chiedendo le dimissioni del primo ministro. Il primo ministro si è presentato, ieri mattina, davanti ai giudici per testimoniare in quel processo che lo vede sotto accusa per corruzione.  Secondo quanto dichiarato da alti funzionari, il governo voterà una mozione di sfiducia presentata dal ministro della Giustizia, Yariv Levin, nei confronti del procuratore generale Gali Baharav-Miara. La mozione è stata presentata la settimana scorsa e verrà discussa il prossimo 23 marzo.

In Cisgiordania prosegue lenta e inesorabile l'occupazione da parte israeliana. È una guerra in atto, anche se non dichiarata, dove vengono utilizzate armi, pressioni e soprattutto nuove leggi. Un esempio: il piano presentato dal comune di Gerusalemme che prevede la realizzazione di 176 abitazioni nella colonia di Nof Zion, all’interno del quartiere palestinese di Jabal al-Mukaber a Gerusalemme Est. Se approvato, verrà realizzata la più grande colonia nella parte araba di Gerusalemme, supererebbe l’insediamento già esistente di Ma’ale Hazeitim, situato sul Monte degli Ulivi.  

Da quarantotto giorni la città di Jenin, alle porte di Ramallah, è sotto assedio: 480 case sono state completamente distrutte e circa 18.000 residenti sono stati costretti ad abbandonare il campo. Le forze armate hanno distrutto tre campi profughi a Jenin e Tulkarem. Ora l'esercito israeliano ha iniziato una massiccia operazione a Nablus, spostandosi dalla parte settentrionale della Cisgiordania a quella meridionale.

L'associazione per la difesa dei prigionieri palestinesi, in una nota, ha evidenziato che le persone tratte in arresto amministrativo, cioè senza alcuna accusa, lo scorso mese di febbraio, avrebbero raggiunto le 762 unità. La maggior parte proviene da Jenin e dal campo profughi, diciannove sono le donne e novanta i bambini.