Nella "nuova Siria" è in corso un massacro annunciato
Il cambio di regime siriano non ha condotto da una dittatura alla libertà, ma a un'ondata di violenza le cui premesse erano ampiamente prevedibili dietro il volto "democratico" con cui gli attuali governanti si presentano all'Occidente. Dal video-incontro con Elisa Gestri e padre Abdo Raad.

Caduto il regime di Bashshār al-Assad, la “nuova Siria” di Aḥmad Ḥusayn al-Sharaʿ (noto come al-Jūlānī) non si rivela così democratica come vorrebbe una certa narrazione ancora diffusa. Al contrario, quanto sta accadendo è purtroppo Un massacro annunciato, titolo dell’incontro dei “Venerdì della Bussola” con la fotoreporter Elisa Gestri e il sacerdote libanese padre Abdo Raad, intervistati da Stefano Magni. Tra il silenzio dei media e qualche rassicurante stretta di mano dell’autoproclamato presidente siriano ai leader europei (tanto che il 17 marzo è atteso a Bruxelles), nel Paese sta avvenendo una epurazione ai danni delle minoranze, diretta specialmente contro la popolazione alawita (gruppo di derivazione sciita, cui appartiene lo stesso ex presidente Assad) e che naturalmente non risparmia i cristiani. Ma come è stato possibile – chiede Magni – non prevedere il bagno di sangue in corso e cosa attende la minoranza cristiana in Siria?
«Le avvisaglie c’erano tutte, insieme all’euforia e alla speranza per la “nuova Siria”, che però personalmente non avvertivo dentro di me», risponde Elisa Gestri, giunta in Siria dal Libano il 31 dicembre, all’indomani della caduta di Assad. «Due settimane dopo non sono più potuta entrare come giornalista ma solo come turista, ancora una settimana e non era possibile nemmeno come turista». I nuovi vertici siriani erano del resto ben noti: Hay'at Tahrir al-Sham (il partito di al-Jūlānī) è una filiazione di al-Nuṣra, che è la variante siriana di al-Qaeda: «loro dal 2017 già governavano la provincia di Idlib» e «specialmente tra le minoranze si respirava incertezza e paura di parlare». La Gestri evoca un dettaglio rivelatore, quando le è stato chiesto di indossare il hijab: «in Siria ero già stata due volte sotto il regime di Assad e non c’era mai stata alcuna pressione in questo senso, se c’era una caratteristica positiva degli Assad era la laicità». Inoltre, il governo che si era definito “provvisorio” (in vista di nuove elezioni) non è più tale: «al-Shara, che si è autonominato presidente della Siria il 29 gennaio scorso, ha promulgato la nuova Costituzione secondo la quale il governo provvisorio durerà cinque anni e l’unica fonte del diritto è il Corano, mentre prima il Corano era sì una fonte del diritto della repubblica siriana come di altri Stati arabi, ma non l’unica».
Perché gli alawiti sono le vittime privilegiate di questo massacro? Padre Raad premette che non basta l’espressione «terrorismo», perché c’è di più: sono in azione «fanatici o fondamentalisti», che si scagliano contro chiunque non accetti la loro visione, siano essi cristiani, alawiti e persino i loro correligionari sunniti qualora non ne condividano il fondamentalismo». Il primo pretesto è la vendetta politica: «il precedente governo ha massacrato, quindi ora tocca a noi», dicono. Il religioso conferma l’impressione già espressa in una precedente intervista a La Bussola, cioè che «il nuovo governo siriano lascia poca speranza, perché quello di Jūlānī è un background fanatico» e lui «sa uscire con diplomazia dalle responsabilità come sta facendo adesso riguardo ai massacri». Che scaturiscono da una spirale di vendetta plurisecolare tra fazioni islamiche a fermare la quale non basta illudersi che deposto un dittatore arrivi la democrazia (illusione smentita da quanto accaduto dopo la caduta di Saddam Hussein o di Gheddafi).
Alle uccisioni si sommano le umiliazioni, come la gente ha riferito a padre Raad: «Fanno camminare le persone come cani obbligandole ad abbaiare – particolarmente umiliante visto che il Corano considera il cane un animale impuro – e poi sparano loro». Scene talmente assurde da sembrare impossibili. «Se le fonti non fossero attendibili, penserei che se le siano inventate», aggiunge la Gestri, ma «purtroppo sono accadute veramente e non sono tanto distanti dall’ideologia salafita. Cristiani crocifissi, famiglie intere, anche sunnite fatte uscire di casa e fucilate, quando non hanno dovuto subire torture prima di venire uccise».
Massacri indiscriminati o guerra civile? Nella narrazione che arriva anche in Occidente trapela l’idea di un “normale” regolamento di conti tra due fazioni armate, tra il governo e i “nostalgici” di Assad insorti. «Ci sono entrambe le realtà», afferma la Gestri. «È accertato che ci sono state imboscate contro gli uomini dell’esercito “regolare”» (che peraltro è «un insieme di milizie siriane e straniere che in buona parte sfuggono al controllo»), «ma in parallelo c’è una epurazione sistematica di alawiti, cristiani, sunniti e drusi». Tanto più che «caduto Assad, l’esercito si è sciolto come neve al sole». In altri termini «i numeri sono troppo impari» per parlare di un esercito di Assad che fronteggerebbe quello di Jūlānī. E «la narrazione si smonta da sola».
«Non è una guerra, è un massacro», ribadisce padre Raad: «Siete entrati in un villaggio, avete vinto, ma perché uccidere donne e bambini? È un massacro basato sulla vendetta e su concetti religiosi terribili». La situazione più delicata è proprio quella dei cristiani, che non schierano combattenti (a differenza di altre minoranze) e «non possono schierarsi, desiderano semplicemente l’ordine poiché il disordine si ripercuote sempre contro le minoranze. I cristiani non erano con Assad in quanto tale, ma perché sotto il suo dominio hanno vissuto un po’ di pace e libertà. Ho vissuto tre anni in Siria, durante le feste abbiamo potuto fare processioni sulle strade principali». Se «Assad non va bene perché dittatore, i nuovi governanti sono ancora peggio. E i cristiani si trovano in mezzo», osserva padre Raad, che punta il dito sull’incomprensione dell’Occidente e sul silenzio seguito alla grande copertura mediatica nei giorni della caduta di Assad, ricordata da Elisa Gestri: «grande copertura e un mesetto di libertà, anche di stampa, perché ci tenevano a mostrare la “liberazione della Siria”, mentre ora è difficile e rischioso andare, infatti i giornalisti devono seguire dal Libano o da altri Paesi». Senza contare la difficoltà di «discernere» le notizie.
Padre Raad conclude lanciando un appello alla preghiera, perché «pregare è essere solidali» sul piano soprannaturale e per «evitare che Dio entri nelle nostre guerre». All’assurdità di chi uccide invocando il nome di Dio, esorta a rispondere implorando «Signore, abbi misericordia», ogni volta che abbiamo notizia di questi massacri. «Il mondo non è fatto per vivere in questo modo e nemmeno Dio lo vuole».
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