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GLI STATI GENERALI

Natalità, le contestazioni oscurano l'inutile passerella dei politici

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Il bavaglio imposto al ministro Roccella oscura la visibilità degli Stati Generali della Famiglia: un'inutile passerella di ex ministri ed esponenti di Governo, che non affronta le vere cause della denatalità e tace su risorse insufficienti, divorzio, contraccezione e aborto.
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Editoriali 10_05_2024

Quest’anno gli Stati generali della Natalità hanno conquistato più del solito l’attenzione dei media perché la Ministra Eugenia Roccella è stata contestata. Alcuni giovani hanno urlato slogan come «sul mio corpo decido io» e «vergogna» all’indirizzo del ministro della famiglia, ospite della giornata inaugurale, che stava iniziando a parlare dopo la presentazione di Gigi De Palo.

L’episodio è stato stigmatizzato da buona parte della politica, che ha espresso solidarietà, dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che le ha telefonato, al premier Giorgia Meloni che ha chiesto a tutte le forze politiche di condannare il gesto di intimidazione. La Roccella dal canto suo ha replicato di essersene andata per permettere la prosecuzione del panel e ha aggiunto che le contestazioni non erano soltanto rivolte a lei, ma alla battaglia per la Natalità.

Infatti, anche gli interventi di Adriano Bordignon, presidente del Forumfamiglie e di una mamma, Jessica Barcella, sono stati contestati.

A parte questo episodio increscioso, che fotografa il brutto clima che da tempo si respira in questo Paese in fatto di libertà di espressione sui temi delle politiche famigliari e pro life, la giornata di ieri non ha offerto, però, grandi spunti per mostrare un decisivo cambio di passo sul tema della denatalità, che rappresenta una vera e propria metastasi dei paesi europei e che vede l’Italia allo stadio ormai terminale, fanalino di coda, assieme a Spagna e Malta nella classifica dei figli per donna, ferma impietosamente a 1,2 figli/donna.

Tra i numerosi partecipanti, soltanto Adriano Bordignon ha colto davvero il cuore del problema dicendo che «la politica deve compiere uno sforzo rompendo gli schemi dei diritti acquisiti e del Patto di stabilità. L’Unione Europea deve assumersi la responsabilità di garantire maggiore flessibilità su ogni spesa per la natalità perché non si tratta di costi ma di investimenti per la sostenibilità ed il futuro del nostro Paese».

È così, inutile girarci attorno: per iniziare a invertire la curva demografica servono soldi, e tanti, da spendere come investimento e non come costo di welfare. È indispensabile quindi rompere i rigidi schemi del patto di stabilità, che non fanno altro che imbrigliare ogni tipo di politica del governo alla ricerca disperata del centesimo e che poi, per ragioni spesso di consenso, si traduce nei soliti, insufficienti bonus.

Tutto il resto è semplicemente uno sterile aggirare il problema che le contestazioni di ieri hanno come al solito nascosto. Una passerella stantia di politici che non sanno distinguere nemmeno tra politiche per la natalità e politiche per il sostegno genitoriale, due architravi ben distinte delle politiche famigliari. I successivi panel, infatti, con protagonisti giornalisti come Massimo Giletti e Maria Latella e gli ex ministri della Famiglia Elena Bonetti e Alessandra Locatelli con Maria Elena Boschi e il viceministro Maria Teresa Bellucci, hanno mostrato una sorta di autoreferenzialità fatta di buoni propositi e parole abbastanza vuote di cui non resterà traccia.

Anche la proposta di De Palo di istituire un’Agenzia per la Natalità, per quanto suggestiva, rischia di essere l’ennesimo carrozzone o peggio ancora un parcheggio dorato per qualche professionista del “familismo”. Potrebbe essere un comodo appiglio per qualche politico in cerca di voti, ma sappiamo come vanno a finire queste cose quando oltre alla facciata, non si dotano gli organismi governativi di una capacità di spesa autonoma e soprattutto di una vision completa sul problema. E poi, anche ammesso che si possa creare, che ce ne facciamo se il quoziente famigliare è ancora al palo? E che utilità potrà mai avere se la tanto annunciata riforma fiscale non è stata nemmeno disegnata? Che capacità di manovra potrà mai avere un'agenzia simile in un Paese come il nostro in cui l'Isee è ancora il principale, diabolico, meccanismo di calcolo delle provvidenze famigliari? 

Il punto dolente è proprio qui, la vision che manca, che è mancata e che mancherà sic stantibus rebus et hominibus: le politiche famigliari sono solo uno dei fattori che mancano all’appello per risollevare le sorti della natalità. Possono fare molto, ma da sole non sono sufficienti.

Il problema, come abbiamo scritto più volte da queste colonne, è meramente antropologico e culturale e lo Stato può fare solo una parte in questa crisi. La naturalizzazione del divorzio e dell’aborto, la promozione dell’edonismo spinto e dell’individualismo egoista, la riduzione della famiglia a luogo ideologico del patriarcato e della mancata realizzazione della donna, sono i veri cancri che hanno prodotto questo calo demografico. Oggi non si fanno figli perché tutto intorno ti dice di non farli. Perché l'orizzonte culturale in cui crescono le nuove generazioni, per la verità da ormai 30 anni, è totalmente anti familista, in grado di sopprimere le aspirazioni che il loro cuore comunque conserva. 

Uno Stato che vuole davvero invertire la rotta non può non partire proprio da questi fattori che hanno segnato irrimediabilmente l’uomo contemporaneo da almeno 40 anni a questa parte. Certo, lo Stato può fare tanto, ma non tutto. E, limitatamente al fattore economico, che risponde solo alla prima emergenza e cioè che fare figli oggi significhi condannare le famiglie alla povertà, tutti gli indicatori mostrano che anche con le migliori politiche famigliari a disposizione, si può solo sperare di arrivare a lambire il tanto sospirato punto di pareggio dei 2 figli per donna.

Lo dimostra l’esperienza della Francia, paese preso a modello per quanto riguarda le politiche famigliari: alla fine degli anni ’70 era al pari dell’Italia e di altri paesi europei alle prese con un vistoso calo demografico, insorto proprio in coincidenza dell’approvazione delle leggi sull’aborto e del divorzio. L’energica e massiccia politica iniziata sotto Mitterand, effettivamente, ha portato dei benefici al Paese che ha toccato alla fine della prima decade del 2000 il punto di pareggio. Fino al 2010, anno in cui sotto la presidenza Hollande, gli assegni famigliari vennero ancorati ai redditi famigliari. Da lì è iniziata anche per la Francia una discesa che prosegue tuttora e la vede sempre ai vertici in Europa, ma con un tasso di 1,8 figli/donna. 

L’esperienza francese insegna che sempre, se si tagiano gli incentivi, la natalità scende, e che per invertire la curva demografica bisogna investire tanti, tanti soldi. Basti solo pensare che oltr’Alpe la famiglia può contare su una sorta di Inps dedicato che gestisce quasi 90 miliardi di euro all'anno. In Italia, i 16 miliardi per l’Assegno Unico sono assolutamente insufficienti e ridicoli, se si pensa che i politici sbandierano come un successo un aggiustamento di poche centinaia di milioni in più. Come si evince, la sproporzione è troppo rilevante.

Ma anche ammesso che si possa riuscire a rompere gli schemi e davvero investire sulla cura, non sarebbe sufficiente. Come dimostrano i dati Ocse, le politiche famigliari possono aiutare sensibilmente ad avvicinare i Paesi alla soglia di pareggio. Ma da sole non sono sufficienti.

Bisogna investire anche in un cambio antropologico che parta dalla centralità della famiglia come elemento fondamentale di crescita, sviluppo e salute. E per fare questo bisogna entrare nel terreno proibito dei falsi diritti spacciati per diritti umani: iniziare a mettere in discussione l’aborto, disincentivare il divorzio, smettere di spacciare la contraccezione come una conquista e promuovere lo sviluppo integrale della persona in ambito famigliare. 

Ma di questo, nella passerella romana degli stati generali della Natalità che si concluderà oggi con Papa Francesco e il ministro dell'Economia Giorgetti non ci sarà traccia perché i politici - tutti i politici - a cui si dà voce sono in prima fila per difendere proprio l'aborto, il divorzio e la contraccezione. Vorrebbe dire costringere politica e società a fare i conti con le proprie contraddizioni e il proprio peccato originale. E a quel punto nessuno ci salirebbe più in passerella.



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