Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santi Proto e Giacinto a cura di Ermes Dovico
il futuro dell'europa

Natalità, il peso di una parola assente dal Piano di Draghi

Ascolta la versione audio dell'articolo

Nel suo report sul futuro dell'Europa, come pensa Draghi di compensare la perdita annua di 2 milioni di lavoratori entro il 2040? Con una maggiore produttività. Un'utopia, che ignora del tutto una politica strutturale di inversione della curva demografica sganciata dai vincoli di stabilità.

Editoriali 11_09_2024

Tra le 50 parole più utilizzate da Mario Draghi nel suo rapporto sulla competitività dell’Europa presentato lunedì, compaiono termini come Investimenti, Mercato, Innovazione, Strategico, Risorse, Futuro, Produzione e molte altre.

C’è però una parola che manca all’appello e questa è: Natalità.

Si tratta di un’assenza più che curiosa, se si pensa che l’ex mister Bce, a cui la presidente Von Der Leyen ha affidato il compito di delineare la linea politica per risollevare le sorti dell’Europa, alla vigilia del suo secondo mandato da presidente della Commissione, è perfettamente consapevole che la demografia costituisce uno dei principali problemi del Vecchio Continente.

Draghi, infatti, fa riferimento all’inverno demografico che attanaglia l’Europa quando ricorda, ad un certo punto del suo sterminato report, che «l'Unione sta entrando nel primo periodo della sua storia recente in cui la crescita non sarà sostenuta dall'aumento della popolazione». Dice infatti: «Entro il 2040 si prevede che la forza lavoro diminuirà di quasi 2 milioni di lavoratori ogni anno». Si tratta di numeri spaventosi che dovrebbero far tremare i polsi dei vertici europei perché significa perdere ogni 12 mesi una città delle dimensioni di Vienna, almeno in quanto a forza lavoro. Viaggiando di questo passo la popolazione europea, che già oggi conta un saldo negativo tra morti e nati a favore dei primi, è sostenuta solo dalle migrazioni che le consentono di riequilibrare lo squilibrio leggermente a favore dei vivi.

Dunque, sembra dire l’ex presidente del Consiglio italiano, neanche con l’apporto “sostituzionista” dei migranti, che pure nel suo discorso costituiscono una voce rilevante, si riuscirà a fermare l’emorragia di abitanti che già attanaglia il Vecchio continente.

Qual è allora la proposta di Draghi? «Dovremo puntare maggiormente sulla produttività per stimolare la crescita. Se l'Ue dovesse mantenere il suo tasso medio di crescita della produttività dal 2015, sarebbe sufficiente mantenere il Pil costante fino al 2050, in un momento in cui l'Ue si trova ad affrontare una serie di nuove esigenze di investimento che dovranno essere finanziate attraverso una crescita più elevata».

E qui veniamo alle politiche per favorire la Natalità dato che per aumentare la produttività e la crescita dell’Europa, se non hai a disposizione un afflusso di nuovi nati come si potrà ottenere?

La ricetta di Draghi, dunque, sembra quella del padrone della fabbrica che pretende di raddoppiare la produttività della sua azienda puntando solo sulla digitalizzazione e la carbonizzazione delle macchine, ma facendo a meno di una parte considerevole di operai utilizzati fino ad oggi. Un’utopia, evidentemente, per arrivare a quella soglia di «investimenti in Europa che dovrà aumentare di circa 5 punti percentuali del Pil, fino a raggiungere livelli visti l'ultima volta negli anni '60 e '70» come auspicato.

Draghi non crede allora che l’unico investimento urgente e strutturale da affrontare subito sia lo squilibrio demografico eppure non fa mistero di utilizzare parole tonitruanti come doppio Piano Marshall, che in Italia si accompagnò ad una decisa risalita demografica. Agire sulla leva della produttività e posticipare indefinitamente l’età pensionabile non sarà sufficiente.

Lo ha denunciato il presidente del Forumfamiglie Adriano Bordignon che nel commentare il report di Draghi, ha ricordato che l’unica strada è quella di investire sulla natalità e rafforzare il desiderio e la determinazione di ogni generazione di prendersi cura di quelle successive. Del resto, fa notare l’esperto di politiche famigliari, dallo stesso Rapporto emerge il dato allarmante di famiglie europee che hanno pagato duramente il prezzo della perdita del tenore di vita. «Su base pro capite – infatti ha spiegato Bordignon -, il reddito disponibile reale è cresciuto quasi il doppio negli Stati Uniti rispetto all’UE dal 2000».

Risulterebbe fondamentale, dunque, «adottare nuove strategie e impiegare maggiori risorse a livello comunitario, superando i vincoli derivanti dal patto di stabilità per favorire una crescita dei redditi delle famiglie e rilanciare la domanda interna».

Ma allo stesso tempo è indispensabile incentivare un cambiamento culturale che veda nelle famiglie non solo dei consumatori, ma soggetti sociali che generano solidarietà e sussidiarietà.

Ad oggi manca del tutto una politica europea di tipo strutturale che affronti il problema della denatalità e nonostante alcune promesse in campagna elettorale di alcune forze politiche, è assente una visione che sleghi dal patto di stabilità ogni euro che gli Stati spendono per incentivare l’inversione demografica. Dunque, non solo manca una politica comunitaria di investimento sul vero capitale umano, ma gli Stati sono condannati ad avere come zavorra di spesa ogni tipo di intervento effettuato in tal senso. Non è un caso se l’Assegno unico, casualmente l’unico strumento di sostegno famigliare vagamente strutturale inaugurato nel nostro paese proprio dal Governo Draghi, anche se insufficiente, sia ora fermo al palo di una procedura di infrazione Ue, quasi a voler dire che non solo si tratta di soldi non investiti per il futuro, ma forse sono anche stati malamente elargiti.

È la cecità sul problema demografico, che è un problema prima di tutto culturale e poi sociale e infine economico, che costituisce la spia per comprendere che il socialista liberale Draghi, in fondo, scrive con l’autorevolezza della sua persona, sullo stesso spartito che i vertici europei hanno suonato fino ad ora. Una lenta e inesorabile decrescita, compensata dalle migrazioni nella pretesa di una maggiore produttività senza l’apporto di nuova forza lavoro.