Müller: migliorare il mondo è buono, ma non è la salvezza
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Perseverare in mezzo alla confusione, nel mondo e nella Chiesa. «Solo la Rivelazione salva, non le chiacchiere dei giornali mainstream», dice il prefetto emerito della Dottrina della Fede, intervistato dal direttore Riccardo Cascioli.
Perseverare sino alla fine... e guardando al fine, che si trova al di là e al di sopra delle confusioni e tribolazioni di questo mondo. Solo questo permette di non arrendersi e andare avanti fino alla meta, che è la Persona di Gesù Cristo. Con il cardinale Gerhard Ludwig Müller, la nuova serie dei Venerdì della Bussola entra nel vivo del tema che fa da filo conduttore alla nostra campagna estiva di raccolta fondi: Perseverare nella fede – tema fondamentale in tempi di grande disorientamento, ha spiegato in apertura il direttore Riccardo Cascioli (richiamando Mt 24,11-13: «Molti falsi profeti sorgeranno e sedurranno molti... l’amore dei più si raffredderà»). Anche il cardinale Carlo Caffarra constatava che «solo un cieco può negare che nella Chiesa ci sia grande confusione», quasi elevata a metodo, innescando dall’altra parte il tentativo di costruirsi una Chiesa su misura. «In queste oscillazioni, cosa significa perseverare nella fede?», ha chiesto Cascioli al card. Müller.
«La perseveranza è un dono», ha risposto il porporato evocando il donum perseverantiae di sant’Agostino, «perché non possiamo farcela senza la grazia di Dio»; diversamente molti, pur essendo partiti bene, «quando vengono problemi e tentazioni perdono la pazienza o si sentono delusi dai compagni di fede, invece dobbiamo guardare sempre a Gesù Cristo». Guardare a Lui permette di non cedere al disorientamento, perché la confusione viene «dal diavolo», da cui «hanno origine tutte le contraddizioni, tentazioni e liti nella comunità dei fedeli», così come «l’attuale modo di parlare secondo ciò che piace al mondo».
Molti conflitti oggi nella Chiesa ruotano intorno alla figura del Papa – osserva Cascioli – secondo opposti estremismi ma anche, volendo, due facce della stessa medaglia: da un lato chi dice che “Il Papa ha sempre ragione”, dall’altro chi vedendo che genera dubbi o contraddizioni pensa che allora “non può essere riconosciuto come Papa” (perché anche questi ultimi pensano in fondo che debba aver sempre ragione, e se non può averla, allora non è Papa). Müller – che al tema ha dedicato il volume Il Papa. Ministero e missione (Cantagalli, Siena 2023) – invita a distinguere tra il Papato e il singolo pontefice, ricordando che Dante Alighieri ne ha persino messi alcuni all’inferno. «Nessuno, Papa o vescovo che sia, ha la garanzia di fare tutto bene», anche loro hanno «bisogno di buoni collaboratori, dotati di profonda competenza in teologia, in diritto canonico», nonché animati dal desiderio di «servire la Chiesa e non servirsi della Chiesa». Neanche i pontefici precedenti erano perfetti, ciascuno con una propria personalità e limiti.
Se il disorientamento dei fedeli è palpabile – anche di fronte al contraddirsi del pontefice stesso, per esempio sull’ammissione al sacerdozio di candidati omosessuali, ai vari “sì” e poi “no”– a chi guardare per poter perseverare? «La dottrina della Chiesa è chiara», risponde Müller, aggiungendo che i pastori devono esprimersi «non secondo il nostro piacere, ma secondo la natura del sacramento» che, per esempio, nel caso del matrimonio non può fare a meno della «corrispondenza tra uomo e donna». Il porporato evoca inoltre epoche in cui «la maggioranza dei vescovi seguiva l’eresia ariana» o secoli più tardi «in Germania e Inghilterra, durante la riforma protestante, non furono capaci di dare una risposta e di resistere ai nuovi errori». È fondamentale che i vescovi «non abbiano interesse a parlare secondo il parere della maggioranza, ma secondo la Bibbia, il catechismo, il magistero, i grandi teologi e padri della Chiesa...».
Il criterio decisivo è la conformità con la Rivelazione: «Solo la Rivelazione può salvarci, non le chiacchiere o i titoli di qualsiasi periodico mainstream». Erano in pochi a fronteggiare la sfida posta nei primi secoli dagli gnostici, muniti di grandi mezzi intellettuali, così come oggi siamo una minoranza di fronte all’intellighenzia anticristiana, e lo era anche, nel Novecento, la minoranza rimasta nella Chiesa quando imperversavano i grandi dittatori e i falsi profeti, nella Germania nazista e in Unione sovietica, «ma la verità ci farà liberi» e il criterio «non è se la gente voglia udirla o meno», bensì «la Persona di Gesù Cristo che ha detto: “io sono la via, la verità e la vita”».
«Chi avrà perseverato sarà salvato»: Cascioli evoca ancora il versetto di Mt 24,13, sottolineando quanto sia difficile oggi da capire la salvezza – l’obiettivo della perseveranza – se il cristianesimo è ridotto a «un modo per migliorare il mondo, in un orizzonte soltanto terreno». «Migliorare il mondo è una cosa buona ma non è la salvezza», risponde Müller, poiché «la salvezza è superare la distanza esistente tra Dio e noi a causa del peccato, che porta con sé la morte». E non solo quella corporale, specifica, ma quella che fa venir meno «il senso profondo della nostra esistenza, quando l’intelletto non perviene alla verità, a Dio: ma per questo Gesù è venuto, per salvare gli uomini». È in quest’ottica, allora, che abbiamo anche il compito di «operare per la dignità umana» verso i bisognosi, vedendo «Cristo in loro» e non per cercare «il paradiso in terra che poi finisce nel gulag o ad Auschwitz, sappiamo bene che i paradisi fatti dagli uomini sono l’inferno in terra».
Non bisogna dunque «cadere in un umanesimo orizzontale, pensando che alla gente non interessano i sacramenti o la Parola di Dio o la domanda di fondo su Dio» e quindi ci limitiamo a lavorare per i migranti o per il clima: «questi sono compiti dello Stato o della società civile», specifica il cardinale, ma «la Chiesa di Cristo non è una Ong», è stata «fondata da Dio per salvezza eterna», che è «più alta della salute o del benessere in questa vita limitata». E nemmeno in una visione orizzontale (e in definitiva relativista) della missione: «Ci sono pastori che sostengono che in fondo Dio è uno e tutte le religioni portano a Dio – osserva Cascioli – allora la missione sarebbe inutile e l’evangelizzazione si condanna come proselitismo». Per Müller questo «è un risultato del pensiero debole o di mancanza di fede in Gesù», sottolineando che «Gesù ha mandato gli apostoli a continuare la sua stessa missione, che viene dal Padre» e che anche chi non ha conosciuto Cristo viene salvato per mezzo di Lui. Ma anche noi, se siamo cristiani, «è risultato della grazia di Dio» cui dobbiamo corrispondere testimoniandolo agli altri; rinunciare alla missione «sarebbe egoismo».
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