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LA QUESTIONE

Microchip sottopelle, un effetto dell’utopia transumana

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Matteo Coffetti, 35 anni, si fa impiantare 5 microchip per facilitare operazioni quotidiane. Sul piano morale vanno valutati non solo i fini, ma anche i rischi della pratica. Il cui substrato è il transumanesimo, che vede l’uomo come una cosa.

Vita e bioetica 01_08_2023

Una volta avevamo solo cinque sensi. Ora possiamo avere anche cinque chip. Lui si chiama Mattia Coffetti, 35 anni, bresciano ed esperto di sicurezza informatica. Si è fatto impiantare sotto la cute ben cinque microchip: uno per pagare, porgendo solo il dorso della mano come se fosse una carta di credito; un altro per scambiare dati e poterli salvare; un terzo e un quarto rispettivamente per entrare in casa e per accedere alla palestra; infine l’ultimo per entrare in alcuni siti e per utilizzare app senza bisogno di login e password. Poi ha altri due oggetti sottocutanei che hanno uno scopo solo ludico ed estetico: un led e un magnete (chissà quanti problemi a fare una tac oppure all’aeroporto).

Compri online per poche centinaia di euro questi chip e te li fai impiantare da centri specializzati: la tecnica è la medesima che si usa per i chip sottocutanei dei cani. Coffetti tiene a precisare: «Non contengono localizzatori e funzionano esattamente come quelli che troviamo sulle tessere dei bancomat o delle carte di credito che tutti abbiamo già nel portafoglio. Installarlo sotto la propria pelle permette di poter uscire senza portare nulla con sé e pagare ciò che si acquista».

Come giudicare dal punto di vista morale la scelta di Coffetti di farsi impiantare questi microchip? Il fine della scelta è sicuramente positivo: facilitare operazioni già esperibili precedentemente. Ma, come per ogni nostra azione, per giudicare della bontà di una condotta non possiamo arrestarci alla valutazione del fine, occorre anche verificare che gli effetti positivi, i fini perseguiti, superino quelli negativi, gli effetti collaterali nocivi, ossia occorre applicare il principio di efficacia. Quindi su un piatto della bilancia dobbiamo mettere le facilitazioni ottenute e sull’altro, ad esempio, i costi, i rischi sanitari, la violazione della privacy, le derive possibili (un chip per testare immediatamente la compatibilità affettiva tra le persone sarebbe deleterio) e le reazioni sociali (impossibile non figurarsi la faccia stranita della commessa del supermercato quando il Coffetti usa il dorso della mano per pagare).

Due sono sicuramente i punti dolenti di questa pratica: la tutela della privacy (come schermare da possibili scanner i dati contenuti in questi chip?) e i rischi per la salute. In merito a quest’ultimo punto ci domandiamo: a lungo termine, pur tenendo conto che i chip verranno cambiati con regolarità, questi innesti possono essere dannosi per l’uomo? Ad essere rigorosi, solo il tempo e l’eventuale diffusione di questa pratica potranno dircelo.

Se poi volessimo giudicare non solo la scelta di Coffetti, ma la pratica di per sé, il quadro si complicherebbe. Infatti le applicazioni sarebbero infinite e infiniti anche i pro e i contro da tenere in considerazione. Ad esempio, pensiamo al campo della medicina. Spiega il trentacinquenne bresciano: «Ora i microchip servono per pagare, salvare e scambiare dati, ma hanno possibilità e applicazioni infinite, soprattutto in campo medico. Da poco è uscito un impianto che permette di misurare la temperatura corporea, ma attualmente viene usato solo sugli animali. Penso ad uno che contenga tutte le informazioni sanitarie: sarebbe utilissimo, così come uno che monitora i parametri vitali. Credo che con questa integrazione abbiamo solo da guadagnarci: come un computer lancia un’allerta quando qualcosa non funziona, un domani potrebbe essere la tecnologia impiantata nel nostro corpo a segnalare che c'è qualcosa che non va bene, permettendo di intervenire in tempo».

Ciò detto, è interessante individuare le suggestioni culturali che questa pratica porta con sé. Coffetti si dichiara transumanista. Il transumanesimo, tentando di sintetizzare un fenomeno complesso e assai variegato, è quell’orientamento filosofico che nella sua variante moderata predica un’integrazione uomo-tecnologia per rendere la vita delle persone più comode (Elon Musk ha annunciato di voler impiantare un microchip nel cervello capace di comunicare con un Pc: addio a tastiere e mouse), per curare la persona e per potenziare la stessa sul piano intellettivo e fisiologico. Nella sua variante estrema – che però risulta essere la stessa essenza del transumanesimo – quest’ultimo predica che sconfiggeremo ogni malattia, potenzieremo all’infinito le abilità cognitive, debelleremo la vecchiaia e la morte (sposa questo orientamento estremista l’ex ingegnere capo di Google, Raymond Kurzweil). Tutto questo tramite l’ingegneria genetica, gli xenotrapianti, l’innesto di nanotecnologie e i microchip per gli interventi intracellulari e per la riparazione di ogni danno fisico. Infine, grazie all’intelligenza artificiale e al riversamento della memoria del soggetto in supporti informatici indistruttibili noi ci eterneremo, ossia non moriremo mai.

Il transumanesimo quindi predica l’avvento, grazie alla tecnologia, di un superuomo, un uomo che travalicherà i propri limiti naturali. Perciò, concludiamo noi, siamo in piena utopia, perché ci troveremmo di fronte non ad un superuomo, ma ad un ultrauomo, ossia ad un essere che non è più uomo, un essere che ha scavalcato la barriera della natura umana e ha assunto un’altra natura più perfetta. Una variante di una teoria già sentita: ci riferiamo all’Übermensch di Nietzsche. Il transumanesimo si muove su uno sfondo gnostico almeno per un motivo: l’uomo si salva da sé (non dal peccato, bensì dalla vecchiaia, dalla malattia e dalla morte). Si salva grazie ai microchip, non grazie a Cristo.

Nella prospettiva transumanista l’uomo, grazie all’ibridazione tecnologica, si meccanizza, diventa macchina (e le macchine, di contro, si umanizzano), perciò si reifica, assume le vesti di cosa. Fenomeno, questo, che è già attuale con la fecondazione artificiale, l’aborto, l’eutanasia, pratiche dove da una parte si costruisce il prodotto “uomo” e dall’altra lo si scarta se difettoso.

Ciò detto, è opportuno operare un distinguo. Sebbene la pratica dell’innesto di microchip rinvii a queste suggestioni culturali, la stessa non deve essere rigettata a priori. Questo vuol dire che ogni caso andrà valutato di per sé. Ad esempio se, come suggerito da Coffetti, l’impianto di un microchip potesse avvertire un cardiopatico che a breve potrebbe essere colpito da un infarto, la scelta di iniettarsi tale supporto informatico, qualora fosse rispettato il principio di efficacia, sarebbe moralmente lecita e anzi da suggerire.