Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santa Francesca Saverio Cabrini a cura di Ermes Dovico
LA STORIA IGNORATA

Messico e balle. È Obrador che dovrebbe scusarsi

Il presidente messicano Obrador festeggia a modo suo i 500 anni dell’arrivo di Hernan Cortés e dell’evangelizzazione del suo Paese, chiedendo al re di Spagna e al Papa di scusarsi. In realtà è lui che dovrebbe farlo a nome dell’intero Messico, per gli 80 anni di persecuzioni contro i cattolici prima del disgelo. Inoltre, Aztechi e Incas erano dediti a sacrifici umani, tant’è che i popoli circostanti salutarono i conquistadores come liberatori.

Attualità 28_03_2019

Il presidente del Messico, Andrés Lopez Obrador, festeggia a modo suo i 500 anni dell’arrivo di Hernan Cortés con i suoi conquistadores e dell’evangelizzazione del suo Paese. Ha scritto, infatti, al re di Spagna e al Papa di scusarsi per l’«invasione» e il «genocidio» (non ha usato questi termini esatti, ma il succo è quello) cominciati già con Cristoforo Colombo. Roba da matti. Dovrebbe, infatti, scusarsi lui, e a nome dell’intero Messico.

Ci volle la visita di Giovanni Paolo II nel 1979 per il disgelo: il Partito Rivoluzionario Istituzionale (sic!), al potere da sempre, vietava ancora ai preti l’uso della talare per strada e il Papa fu accolto, non dal capo dello Stato ma da funzionari minori, come «señor Wojtyla». E questo dopo ottant’anni di persecuzioni ai danni dei cattolici, culminati nella guerra «cristera» del 1926-29. Ancora qualche anno fa l’eletta Miss Mexico sfoggiava sorridente una maxigonna con stampate le foto dei cristeros impiccati ai pali del telegrafo. E ancora oggi la Chiesa è ‘costretta’ a beatificare i martiri di quella persecuzione, preti, suore, vecchi, donne e ragazzini come san José del Rio, giustiziato senza processo a 14 anni solo perché cattolico (vedi il film Cristiada del 2012, con Andy Garcia, Peter O’Toole ed Eva Longoria).

E veniamo a Cortés. Un altro film, Apocalypto di Mel Gibson (2006), mostra com’era il «paradiso» precolombiano. In una scena i guerrieri Maya allontanano col bastone una bambina malata e forse contagiosa. Lei profetizza loro che quando vedranno un uomo «correre col giaguaro» sarà il segno che il loro mondo sta per finire. Infatti, il film termina con lo sbarco degli spagnoli e la croce. Gibson non fece altro che ispirarsi a una vera profezia pronunciata da una malata, la sorella di Montezuma, imperatore degli Aztechi. Si chiamava Papantzin e nel 1509, ammalatasi gravemente, entrò in coma. Stavano seppellendola quando si risvegliò e raccontò che cosa aveva sognato: un essere biondo e barbuto vestito di nero sarebbe arrivato dal mare su «case con grandi ali» recanti croci nere. Avrebbe annunciato il vero Dio e fatto cessare i sacrifici umani.

Ora, gli Aztechi ricordavano anche un’altra profezia: nell’anno «1 canna» sarebbe tornato il dio Quetzalcoatl, il Serpente Piumato. Ebbene, proprio in quell’anno, il 1519, arrivò Cortés, che era vestito di nero perché quel giorno era Venerdì Santo. Montezuma e la corte lo accolsero come Quetzalcoatl, il dio che, secondo profezia, avrebbe abolito i sacrifici umani. Papantzin fu tra i primi a ricevere il Battesimo, col nome di Isabel.

Ancora adesso gli archeologi portano alla luce scheletri di bambini e bambine sacrificati sugli altari dagli Aztechi (e dagli Incas). Per inaugurare il tempio maggiore di Tenochtitlán, la capitale azteca, vennero sventrate 85.000 persone, e ci vollero settimane. Gli spagnoli si ritrovarono a camminare, inorriditi, su un tappeto di teschi umani. Ma l’orrore era cominciato subito, quando Montezuma offrì loro delle vivande condite con sangue umano. Una prelibatezza per gli aztechi, che ne avevano una tale abbondanza da usarlo anche per allungare la calce (ancora è l’archeologia a confermare).

I pochi conquistadores, infatti, furono salutati come liberatori dai popoli circostanti, costretti a far da vittime sacrificali agli Aztechi, che li razziavano nelle «guerre fiorite» (perché scatenate a ogni primavera). I disgraziati venivano portati in cima alla piramide, squartati e scuoiati, poi decapitati. Il sacerdote indossava la loro pelle, ne offriva il cuore agli dei e poi rotolava il corpo giù dalle scale. Arrivato in fondo, si scatenava la gazzarra per chi dovesse aggiudicarselo e farne banchetto con gli amici. «… e costruirono le loro chiese sui templi», scrive sdegnato il presidente messicano. Non ditegli che nel 1531 la Madonna in persona venne a benedire la Conquista, apparendo all’azteco battezzato Juan Diego. Sennò scrive pure a lei (e lei gli ricorderebbe la dinamite piazzata nel santuario di Guadalupe da un funzionario presidenziale nel 1921).