«Messe libere: non decide il Governo cosa fare in chiesa»
Il giudice Mantovano alla Nuova BQ: «Libertà di culto limitata, non è tra le priorità del Governo». DPCM incoerente: «Consente l'accesso in chiesa, ma non compete allo Stato decidere che cosa si fa dentro». Appello ai vescovi: «Le Messe devono tornare». Sui rapporti tra Stato e Chiesa «non si può superare la Costituzione con un decreto». E sui blitz della Polizia in chiesa «c'è stato un eccesso di zelo, certi questori e prefetti provano fastidio per la religione».
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«Non lasciare all’ultimo posto la ripresa della celebrazione della Santa Messa». A farsi portavoce di un vero e proprio appello ai vescovi è il Centro Studi Livatino che ieri ha chiesto ai vescovi di inserire il ritorno delle Messe nella Fase 2. Messe sospese e blitz delle forze dell’ordine nelle chiese, alla luce anche degli ultimi fatti di cronaca: la Nuova BQ ne parla con Alfredo Mantovano (in foto), che del Livatino è uno dei vicepresidenti. Già Sottosegretario dell’Interno e quindi conoscitore della complessa macchina del Viminale, ma anche giudice in Cassazione, Mantovano in questi giorni ha maturato un’idea sulla compressione della libertà religiosa in Italia da quando il Coronavirus ha visto – per mezzo di semplici Dpcm – polarizzarsi da un lato il Governo e dall’altro i fedeli con i loro diritti. In mezzo i vescovi, vaso di coccio o di ferro, a seconda delle vedute.
Giudice Mantovano, perché l’appello ai vescovi?
È il seguito dell’iniziativa presa un mese fa quando furono adottate le misure drastiche di ridimensionamento delle attività che comportassero aggregazioni sociali. Vi erano eccezioni come l’accesso ai supermercati e a suo tempo facemmo presente che le stesse regole potevano disciplinare l’accesso ai luoghi di culto col distanziamento fra le persone.
Ma la storia è andata dall’altra parte verso una sospensione delle Messe accettata supinamente dai vescovi…
Non mi compete questo giudizio, ma noto una certa incoerenza da parte del governo.
Quale?
Il DPCM 10/04/2020 stabilisce che “l’apertura dei luoghi di culto è condizionata all’adozione di misure organizzative tali da evitare assembramenti di persone, tenendo conto delle dimensioni e delle caratteristiche dei luoghi, e tali da garantire ai frequentatori la possibilità di rispettare la distanza tra loro di almeno un metro”.
Quindi?
Si chiarisce che è consentito l’accesso alle chiese, pur nel rispetto delle regole di cautela.
Ma “sono sospese le cerimonie civili e religiose, ivi comprese quelle funebri”…
E qui sta l’incoerenza: se è consentito entrare in un luogo di culto, perché mai, alle medesime condizioni di prevenzione, quei fedeli presenti in chiesa, fra loro distanziati, non potrebbero assistere a una Messa, col parroco, o con un suo delegato, che accerti che non si formino assembramenti?
Che idea si è fatto?
Che non compete allo Stato decidere che cosa si fa dentro la chiesa. Un Rosario, una Messa, una preghiera personale? Una volta che il parroco o il vescovo, al pari di un gestore di supermercato, attivano le misure di distanziamento sociale, quello che accade dentro deve lasciare del tutto indifferente lo Stato.
Agnosticismo di Stato…
Tutt’altro. È la vera laicità.
Ma non le sembra che i vescovi siano stati subordinati alle decisioni del Governo? Forse un margine di autonomia in più avrebbero potuto esercitarlo…
Ripeto che sono valutazioni che non mi competono. Ricordo solo che la Chiesa cattolica non è un soggetto estraneo rispetto allo Stato, ma un soggetto con il quale esistono accordi e sulla base di questi accordi tutto ciò che rappresenta materia comune come in questo caso (rispettare le misure di contenimento per lo Stato, proseguire il suo apostolato per la Chiesa) viene regolato con intese tra Stato e Cei, sulla base dell’art. 13 co. 2 dell’Accordo di revisione del Concordato.
Quindi?
Quindi non può esserci una “gentile concessione” del sovrano ad una confessione religiosa, ma un piano di parità a tal punto che ciò che è di comune interesse viene stabilito con l’intesa. L’intesa suppone un piano di parità, non è subire l’altro.
Si è verificato?
I valori costituzionali chiamati in causa sono l’articolo 7 che disciplina i rapporti tra Stato e Chiesa e il 19, che richiama la libertà religiosa. Ebbene: non possono essere superati da un DPCM
A suo avviso sono stati superati?
Secondo me sì, e lo dimostra il fatto che, col passare dei giorni, il Governo ha condotto un progressivo allargamento delle concessioni. Basti pensare all’ingresso in chiesa. Quindi significa che all’inizio c’è stata una posizione dura ed errata che via via è stata corretta.
E ha bisogno di essere ancora corretta ancora...
Vale per le Messe, ma anche per i funerali, che hanno inciso simbolicamente nel sottolineare una sorta di abbandono di poveri uomini contagiati, morti e ai cui famigliari è stato impedito di condividere la consegna dell’anima a Dio. In una chiesa da mille posti, che problema avrebbe mai creato la presenza di una decina di famigliari a distanza?
Impedimento del culto?
Di sicuro la compressione della libertà religiosa c’è stata. È venuto meno un bilanciamento dei poteri come inteso dall’articolo 7 della Costituzione.
C’è stata una volontà anticlericale da parte del Governo?
Rispondere a questa domanda significa fare il processo alle intenzioni e non voglio farlo. Ma quello che emerge è che sicuramente la libertà religiosa non è stata ritenuta un bene primario dai provvedimenti.
Cioè, a farne le spese è stata la Chiesa?
La libertà di culto non è l’unico bene costituzionalmente tutelato a non essere stato ritenuto primario dalla normativa di emergenza: penso ai diritti dei detenuti i cui termini di custodia cautelare restano sospesi oppure alla compressione dei diritti di difesa all’interno dei giudizi.
Qual è la conseguenza politica di ciò?
Diciamo che la libertà religiosa non è tra le priorità del governo.
Sulla Nuova BQ abbiamo denunciato le incursioni della polizia in chiesa. Si è arrivati persino a multare preti e a interrompere Messe compiendo delle vere e proprie profanazioni con troupe televisive in veste di "buoncostume". Qualcosa di più di una semplice invasione di campo?
Questa emergenza ha fatto emergere non problemi nuovi, ma problemi vecchi che sono stati accentuati e rilanciati.
Quali?
Il primo è l’invadenza di alcune trasmissioni televisive che sono animate da anticlericalismo viscerale e vogliono fare scoop a ogni costo passando sopra al rispetto della dignità e della libertà delle persone.
Ma la Polizia spesso è stata chiamata da cittadini comuni…
Questo è legato all’eccesso di zelo delle Forze di Polizia alle quali è stata indicata come priorità quella di ottenere il risultato di “stare tutti a casa”. Ma con un’indicazione del genere, capita che qualcuno applichi la consegna senza la dovuta elasticità.
Sta giustificando?
No, ma è successo in altri versanti e ha prodotto effetti paradossali. Ad esempio, in occasione di Pasqua molti hanno gridato allo scandalo perché sulle strade verso il mare c’erano file di auto. In realtà erano file create a causa dei controlli delle Forze dell’Ordine.
Sarà anche eccesso di zelo, ma polizia e carabinieri fanno quello che dice il Governo, cioè la legge. Forse il problema è a monte…
Non sempre il rispetto degli ordini è avvenuto con elasticità e ragionevolezza. Il problema è che nel cercare di rispettare pienamente le norme, per qualche questore o prefetto il fattore religioso è un ostacolo all’osservanza delle norme civili.
Siamo all’inizio di una latente persecuzione?
È più un qualcosa con cui dover fare i conti in termini di fastidio, grazie a Dio non è così per tutti i questori e prefetti, ma è una ricaduta che va registrata perché il fattore religioso venga tenuto in debito conto. Qualcuno deve rendersi conto che c’è stata un’esagerazione, ma il fedele non deve essere lamentoso.
Eppure, le proibizioni ci sono state…
Vero, più della sfera pubblica che di quella privata.
Dice poco?
È inevitabile. Bisogna affermare che la libertà religiosa significa anche che la chiesa per me è un luogo importante, almeno quanto il supermercato o il tabaccaio.