Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
IL MOTU PROPRIO

Messa antica, sorpresi pure i progressisti. Müller denuncia

Continuano le reazioni, pro e contro, dei vescovi al Traditionis custodes. Negli Usa la durezza delle norme sulla Messa antica ha sorpreso perfino Gregory e O’Malley. In Francia la Conferenza episcopale esprime stima ai fedeli che partecipano al Vetus Ordo. E Müller critica le contraddizioni di Francesco, blando con il Cammino sinodale tedesco, mentre «qui colpisce duramente le pecore».

Ecclesia 20_07_2021

Di giorno in giorno aumentano le reazioni dei vescovi di tutto il mondo all'uscita del motu proprio Traditionis custodes. Come abbiamo visto ieri, c’è chi non vedeva l’ora di infierire su sacerdoti e fedeli legati alle forme liturgiche precedenti alla riforma: il vescovo portoricano Angel Luis Rios Matos che ha disposto il divieto di celebrare anche privatamente secondo il Messale del 1962 in tutta la diocesi di Mayagüez e si è spinto fino al punto di proibire l'uso di casule, veli e qualsiasi altro oggetto liturgico “propri di questo rito”, secondo la scorretta definizione utilizzata nel decreto emanato.

Non manca chi, sulle orme del nuovo motu proprio, si è premurato di stroncare il Summorum Pontificum: è il caso di monsignor Anthony B. Taylor, titolare della diocesi statunitense di Little Rock, che in un comunicato ufficiale, oltre a concedere la celebrazione secondo la forma straordinaria soltanto nelle due parrocchie personali gestite dalla Fraternità San Pietro, ha scritto che il «Summorum Pontificium» (sic!) venne promulgato per favorire «la guarigione dello scisma di Monsignor Lefebre» (sic!) ma che «come si è scoperto, non solo non ha raggiunto tale scopo, ma il risultato non intenzionale in molti luoghi è stato quello di creare un’ulteriore divisione all’interno delle parrocchie e tra i sacerdoti». Nel comunicato, il vescovo ha utilizzato termini colloquiali come Vetus Ordo e Novus Ordo in un documento ufficiale di grande importanza per la vita della comunità diocesana dell’Arkansas.

Il presidente della Conferenza episcopale statunitense, monsignor José H. Gomez, ha scelto di rilasciare un commento di poche righe, dicendo che «mentre queste nuove norme vengono attuate, incoraggio i miei fratelli vescovi a lavorare con cura, pazienza, giustizia e carità mentre insieme promuoviamo un rinnovamento eucaristico nella nostra nazione». Gli Stati Uniti, si sa, sono uno dei Paesi in cui il fenomeno dei fedeli legati anche all’antico Messale è più diffuso, con numeri in netta crescita dal 2007 in poi. La reazione dell’arcivescovo di Los Angeles è all’insegna della cautela in attesa di un confronto con il resto dell’episcopato sul contenuto del testo.

La portata delle nuove norme, infatti, nonostante l’attesa per un provvedimento restrittivo, pare aver sorpreso la maggior parte dei vescovi a stelle e strisce. Lo si evince anche dalle dichiarazioni: il cardinale Wilton Daniel Gregory ha spiegato in una lettera ai sacerdoti che nell’arcidiocesi di Washington non ci saranno modifiche e che dedicherà le prossime settimane a cercare di comprendere le reali intenzioni del Papa. Un messaggio inequivocabile: neppure lui, considerato tra i porporati statunitensi più vicini a Bergoglio, è stato consultato prima di introdurre le nuove norme. Una volta lette, ne è rimasto spiazzato. Una testimonianza di quella che lo storico delle religioni Massimo Faggioli, proprio a proposito di Traditionis custodes, ha definito la «paradossale dinamica centralizzazione-decentramento del pontificato di Francesco». Una linea seguita anche da un altro arcivescovo non certo catalogabile tra i conservatori: il cardinale Sean Patrick O’Malley, che tramite una nota firmata dal suo vicario generale ha fatto sapere che a Boston non verranno apportate modifiche, premunendosi di «assicurare a tutti i fedeli la sua sollecitudine per le loro necessità spirituali e pastorali» e sottolineando anch’egli il fatto di dover far analizzare il documento dall’ufficio diocesano per il Culto divino.

Negli States, comunque, non è mancato chi ha difeso esplicitamente la cosiddetta Messa tridentina: monsignor Glen John Provost, nel comunicare che le celebrazioni secondo il Messale del 1962 all’interno del territorio diocesano di Lake Charles rimarranno invariate, ha sostenuto che «questa liturgia è stata una benedizione per molti fin dall’istituzione della Diocesi», disponendo «la sua continuazione per la cura pastorale del gregge». Così come i cardinali Gregory e O’Malley, anche monsignor Provost ha voluto rimarcare di essere venuto a conoscenza di questo documento «attraverso fonti di informazione senza previa comunicazione ufficiale».

Anche in Francia, un altro Paese in cui il Summorum Pontificum ha dato i suoi frutti migliori, la reazione al Traditionis custodes è degna di nota. Qui, infatti, la Conferenza episcopale ha rilasciato una dichiarazione con toni ben diversi da quelli utilizzati nel motu proprio e nella lettera d’accompagnamento di papa Francesco. I vescovi d’Oltralpe, infatti, hanno voluto esprimere ai «fedeli che partecipano abitualmente alle celebrazioni secondo il messale di san Giovanni XXIII e ai loro pastori, la loro attenzione, la stima che hanno per lo zelo spirituale di questi fedeli e la loro determinazione a continuare insieme la missione, nella comunione della Chiesa e secondo le norme vigenti».

Nella vicina Germania, una bocciatura al Traditionis custodes è arrivata da don Wolfgang Rothe, uno dei sacerdoti impegnati a favore della campagna per le benedizioni delle coppie omosessuali. Il prete arcobaleno, infatti, ha detto la sua in un articolo, sostenendo che la conseguenza del nuovo motu proprio sarà che le persone che partecipano alle cosiddette Messe tridentine potranno «sentirsi escluse e perseguitate ora», invitando «chiunque neghi ciò a dare un’occhiata ai forum». «Questo è un fatto - ha scritto padre Rothe -, si isoleranno e si radicalizzeranno ulteriormente per proteggersi».

Da segnalare, sempre dalla Germania, la presa di posizione del prefetto emerito della Congregazione per la Dottrina della Fede, il cardinale Gerhard Ludwig Müller, secondo cui con il Traditionis custodes «invece di apprezzare l’odore delle pecore, il pastore qui le colpisce duramente con il suo bastone». L’ex custode dell’ortodossia cattolica, poi, ha criticato la lettera indirizzata ai vescovi che, a suo parere, anziché una «presentazione di opinioni soggettive» avrebbe dovuto contenere «un’argomentazione teologica stringente e logicamente comprensibile» dal momento che «l’autorità papale non consiste nel pretendere superficialmente dai fedeli la mera obbedienza, cioè una sottomissione formale della volontà, ma, molto più essenzialmente, nel permettere anche ai fedeli di essere convinti con il consenso della mente».

Müller, inoltre, ha fatto notare la differenza di trattamento rispetto a quanto avviene in Germania dove pilastri della dottrina cattolica vengono «ereticamente negati in aperta contraddizione con il Vaticano II dalla maggioranza dei tedeschi, vescovi e funzionari laici». Il cardinale tedesco ha parlato di «sproporzione tra la risposta relativamente modesta ai massicci attacchi all'unità della Chiesa nel Cammino sinodale tedesco (così come in altre pseudo-riforme) e la dura disciplina per la minoranza che segue l’antico Messale».  Müller ha ricordato che «le disposizioni del Traditionis Custodes sono di natura disciplinare, non dogmatica e possono essere nuovamente modificate da qualsiasi futuro papa», augurandosi che i vescovi non siano indotti «dalla tentazione di agire in modo autoritario» e che la Congregazione per gli istituti di vita consacrata e quella per il Culto divino «con la loro nuova autorità non siano inebriate di potere e pensino di dover condurre una campagna di distruzione contro le comunità che celebrano secondo il Messale del 1962, nella stolta convinzione che così facendo rendano un servizio alla Chiesa e promuovano il Vaticano II».