Messa antica, leggere il divieto nell'ottica della Redenzione
Dopo lo sciagurato Motu Proprio che punisce i fedeli che partecipano alla Messa antica già si vede una divisione tra i vescovi che l'hanno immediatamente vietata nelle loro diocesi e quelli che invece la difendono. In ogni caso questo Motu Proprio non segna la fine della Messa antica, così come la Croce non ha significato la fine di Gesù.
«Guai ai pastori che fanno perire e disperdono il gregge del mio pascolo. Oracolo del Signore.
Perciò dice il Signore, Dio d'Israele, contro i pastori che devono pascere il mio popolo: Voi avete disperso le mie pecore, le avete scacciate e non ve ne siete preoccupati; ecco io vi punirò per la malvagità delle vostre opere. Oracolo del Signore». Singolare coincidenza della ricorrenza liturgica di questi versetti del profeta Geremia nella prima domenica successiva allo scandalo del Motu Proprio Traditionis Custodes. Già, perché questa lettura ricorre una domenica ogni tre anni ed è capitata proprio a puntino.
La decisione di Francesco, che rivela un disprezzo profondo verso i sacerdoti e i fedeli che frequentano abitualmente o saltuariamente la Messa antica, non è altro che la decisione del cattivo pastore, che sta facendo di tutto per scacciare le pecore fuori dal gregge, incurante dei loro bisogni e della loro sensibilità. In barba all’unità nella diversità. Sulle conseguenze la Parola di Dio è chiara.
A lasciare tutti di stucco, è stato il fatto che Francesco abbia deciso di dare credito a quei vescovi che hanno lamentato derive scismatiche in alcuni di questi “centri Messa”, senza voler minimamente ascoltare l’altra campana e soprattutto punendo tutti indistintamente. Questa decisione spietata non fa altro che confermare - parola per parola - quelle indiscrezioni trapelate un paio di settimane fa su Paix Liturgique, soprattutto quelle dell’attuale Prefetto della Congregazione per il Culto Divino, mons. Arthur Roche: «Summorum Pontificum è praticamente morto! Andremo a restituire il potere ai vescovi su questo punto, ma soprattutto non ai vescovi conservatori».
Detto, fatto. Se sei un vescovo favorevole alla Messa antica, ti leghiamo le mani e facciamo in modo che queste comunità muoiano lentamente; se invece sei contrario, hai tutto il potere che desideri per decapitarle come e quando ti pare. Messaggio avidamente accolto dal vescovo di Mayagüez (Porto Rico), mons. Rios Matos, che, il giorno 17 luglio, ha già sfornato un bel decreto, nel quale proibisce a tutti i sacerdoti di celebrare, sia in pubblico che in privato, in Rito antico. In pieno orgasmo vendicativo, mons. Rios Matos non sa nemmeno più cosa scrive, allorché chiama il nuovo Messale «Messale conforme al Vaticano II» e finisce addirittura per proibire l’utilizzo della casula romana, della borsa del corporale, del velo omerale, etc., in quanto «propri di detto rito» (il che non corrisponde affatto a verità).
Più veloce di lui è stato l’arcivescovo di Digione, mons. Roland Minnerath, che ha giocato addirittura d’anticipo: gli è bastato sentire cosa bolliva in pentola per mettere la parola fine al priorato presente nella sua diocesi dal 1988 e seguito pastoralmente dai sacerdoti della Fraternità San Pietro. Un centro dove giovani famiglie, professori ed artigiani, persone legate alla tradizione liturgica ed altre totalmente digiune della fede si ritrovavano per crescere spiritualmente e vivere la carità (vedi qui). Lo stile di Minnerath è stato perfettamente conforme a quello del pontificato della misericordia: i sacerdoti hanno appreso la decisione, il 20 maggio scorso, per posta; e, quando i fedeli si sono riversati in massa a suonare al campanello dell’episcopio per chiedere spiegazioni a Sua Eccellenza, il vescovo li ha “ricevuti” in strada.
Non sono mancate però risposte positive e confortanti di altri vescovi, che hanno rassicurato i fedeli che la Messa nella forma straordinaria nelle proprie diocesi continuerà; a riprova del fatto che la decisione draconiana di Francesco sia la conseguenza della scelta deliberata di dare maggior peso alle lamentele di certi vescovi, ideologicamente avversi alla liturgia antica, che non ai pareri postivi di altri. Il vescovo di Bayonne, mons. Marc Aillet, il vescovo di Nanterre, mons. Matthieu Rougé, l’arcivescovo di Southwark, mons. John Wilson, quello di San Francisco, mons. Salvatore Cordileone, e il vescovo di Madison, mons. Donald Hying, hanno immediatamente confermato il proprio sostegno ai centri di Messa antica della propria diocesi. Anche l’Oratorio di Manchester ha ricevuto disposizione di poter continuare ad offrire il proprio servizio liturgico per i fedeli legati all’antica liturgia.
Nelle settimane a venire si riuscirà a comprendere meglio la nuova composizione dello scacchiere delle Messe in rito antico; ci si aspettano felici e forse inattese conferme, come anche dolorose chiusure. In ogni caso, non bisogna cedere ad analisi e reazioni frettolose, forse dettate da un comprensibile e persino giusto sdegno. Questo Motu Proprio non segna la fine della Messa antica, la quale ha radici così profonde da essere in grado di resistere a qualsiasi siccità; e non segna nemmeno la fine dell’“esperimento” di voler vivere, custodire e trasmettere questa tradizione liturgica, accogliendo l’ermeneutica della continuità.
Potrebbe sembrare la fine di questa via che ha scavato così faticosamente il suo solco nel corso degli ultimi decenni, ma non è così. Dobbiamo entrare nella dinamica della Redenzione, così come l’ha vissuta ed attuata il Signore: quando il Sommo Sacerdote e tutto il Sinedrio - salvo qualche timida eccezione - finalmente riescono a mettergli le mani addosso, a farlo condannare a morte ed infine a mettere letteralmente una pietra sopra questo singolare Rabbi che pretendeva di unire in Sé la tradizione di Israele e la novità cristiana, sappiamo come è andata a finire. Anzi che cosa è iniziato.