Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
VENERABILE

Maria Cristina, la luce di una vita per «Dio solo!»

Riconosciute dalla Chiesa le virtù eroiche di Maria Cristina Cella Mocellin, che preferì rischiare la propria vita anziché mettere a rischio il suo terzo figlio in grembo. Un esempio che richiama quello di santa Gianna Beretta Molla e fu frutto di un amore e una continua «tensione verso Dio», come racconta alla Bussola il sacerdote che la guidò spiritualmente fino al matrimonio.

Ecclesia 03_09_2021

«Maria Cristina era una ragazza normalissima, allegra, amante della vita e delle iniziative, quando c’era il palio tra i rioni di Cinisello si scatenava. Ma allo stesso tempo per lei, e per altri suoi coetanei in oratorio, il mondo soprannaturale era una realtà concreta, mentre a noi oggi sembra qualcosa di distante, separato dalla nostra vita. Di Maria Cristina mi ha sempre molto meravigliato il suo orrore per il peccato, intendo anche il peccato che noi chiameremmo veniale. Per lei era insopportabile. E qui sta la differenza».

È don Armando Bosani a raccontarci al telefono uno dei tratti salienti della spiritualità di Maria Cristina Cella Mocellin (18 agosto 1969 - 22 ottobre 1995), giovane sposa e madre di cui la Chiesa ha riconosciuto le virtù eroiche, proclamandola quindi venerabile lunedì 30 agosto. Il suo esempio si situa temporalmente nel mezzo a quelli di (almeno) altre due mamme straordinarie dell’Italia contemporanea, santa Gianna Beretta Molla e la serva di Dio Chiara Corbella Petrillo, a cui è accomunata dalla decisione di posporre le proprie cure per non recare danni alla piccola vita che portava in grembo. E anche nel caso di Cristina non si trattò di una decisione estemporanea, che fu invece frutto di un’esistenza vissuta alla luce dell’eternità. «Accanto alle virtù c’erano ovviamente quei simpatici difetti che tutti i suoi amici potrebbero attestare, ma con un lavoro continuo su sé stessa, una tensione verso Dio. Perciò, la scelta di non curarsi per salvare il bambino è stata una logica conseguenza», spiega ancora don Armando, guida spirituale della nuova venerabile dalla sua adolescenza al giorno del matrimonio, a seguito del quale Cristina si trasferì da Cinisello Balsamo a una frazione (Carpanè) del comune vicentino di Valbrenta, il paese del marito Carlo Mocellin.

Prima della vocazione al matrimonio, Cristina aveva creduto di essere stata chiamata ad altro. Era stata cresciuta da due genitori semplici (Caterina e Giuseppe), che per primi le avevano trasmesso l’amore per Dio. Fin dall’infanzia aveva frequentato l’oratorio femminile nella parrocchia della Sacra Famiglia, a Cinisello, ricevendo la formazione catechistica dalle Suore della Carità di Santa Giovanna Antida. In particolare, in quegli anni, aveva tratto grande giovamento dalle figure di suor Annarosa Pozzoli (di cui le rimasero sempre impresse le parole: «Dio non ci ha salvato con un panettone, ma con la vita del Suo unico Figlio») e di suor Gabriella Belleri, religiosa della quale Cristina fu diretta collaboratrice negli anni dell’adolescenza. Una vita impegnatissima tra gli studi liceali, l’aiuto al catechismo come insegnante, l’attività di animatrice domenicale all’oratorio, il gruppo missionario, le prove di canto per la liturgia, ecc.

Impegni, questi, che non la distoglievano da una ricca vita interiore. La chiamavano «la ragazza della cappella», come ci conferma telefonicamente suor Gabriella. «Al mattino presto, Cristina andava a pregare in una cappella laterale della chiesa. Era una ragazza bella tosta, vivace, molto attiva, conoscendola superficialmente uno non avrebbe mai pensato che avesse una spiritualità così intensa. Ma parlandoci personalmente, capivi quanto amasse Gesù». Dalle Suore della Carità aveva appreso il motto «Dio solo!», che la ispirava continuamente e, non a caso, si ritrova disseminato lungo le pagine del Diario che iniziò a scrivere da quindicenne. Nei primi anni di liceo, aveva pensato di farsi suora. Ma poi l’incontro (imprevisto) con Carlo a Valstagna (provincia di Vicenza), nelle vacanze estive del 1985, l’avrebbe portata sulla strada del matrimonio. Per il suo futuro sposo era stato il classico colpo di fulmine; per Cristina, invece, l’amore per lui era fiorito pian piano, dopo mesi di scambi epistolari e un cammino di discernimento vocazionale che le aveva fatto capire che quella era la via pensata da Dio per lei.

La sua via doveva essere vivificata dalla sofferenza, sperimentata intensamente - sulla propria pelle - già a 18 anni. Al ritorno da una vacanza in Canada le era comparso un sarcoma sulla coscia sinistra. Era passata da un ospedale all’altro, sottoponendosi a tre cicli di chemioterapia. Era stata come una prima grande prova di quel progetto di seguire Gesù che aveva espresso in passato fin dalla prima pagina del Diario («…portando la mia croce con gioia e nella sofferenza accettando la volontà di Dio», scriveva l’11 novembre 1984) e più volte ripetuto con la consapevolezza, propria dei santi, che è l’offerta del dolore a salvare il mondo. Dal Diario - pubblicato postumo, nel 2005, a cura di padre Patrizio Garascia (il sacerdote che divenne la guida spirituale di Cristina dopo il suo trasferimento nel vicentino) - emerge in modo affascinante, come anche dalle lettere, il rapporto personale che la venerabile aveva con Dio.

Dai suddetti primi cicli di chemio era uscita guarita e soprattutto ne era uscito fortificato l’amore tra lei e Carlo, che aveva viaggiato tra il Veneto e la Lombardia per starle accanto. Il matrimonio, celebrato da don Armando, giunse il 2 febbraio 1991, quando lei aveva vent’anni e mezzo. Dai suoi scritti si coglie la grande gioia provata da Cristina per quel sacramento che la univa a Carlo e la consapevolezza che il loro amore coniugale poteva rimanere autentico e crescere solo se orientato all’amore di Dio.

Il primo figlio della coppia, Francesco, nasce a dieci mesi di distanza dal matrimonio e a lui si aggiunge, un anno e mezzo dopo, Lucia. Pochi mesi dopo arriva la notizia della terza gravidanza, quella di Riccardo, notizia seguita a stretto giro dalla diagnosi di un tumore all’inguine di Cristina. «Superato lo sconforto iniziale - si legge su un sito dedicato alla venerabile -, Cristina e Carlo iniziano un grande itinerario di preghiera, personale e di coppia. Davanti all’oncologo entrambi si mostrano decisi nel voler salvaguardare innanzi tutto la vita del bambino che Cristina ha in grembo. Ella subisce quindi un’operazione locale, atta ad asportare il tumore, ma attende ad iniziare le cure chemioterapiche, per non danneggiare la vita del feto. Riccardo nasce a luglio del 1994 ed è un bel bambino vispo e pienamente sano».

A gravidanza ultimata, Cristina si sottopone quindi alle cure necessarie contro il tumore, ma gli esami rivelano presto che le metastasi hanno raggiunto i polmoni. Tutti gli sforzi si rivelano inutili. E ciononostante la donna, come il suo Gesù, si è già abbandonata nelle braccia del Padre, alla cui Casa tornerà il 22 ottobre 1995. Prima aveva scritto: «Credo che Dio non permetterebbe il dolore, se non volesse ricavare un bene segreto e misterioso, ma reale. Credo che non potrei compiere nulla di più grande che dire al Signore: “Sia fatta la tua volontà”. Credo che un giorno comprenderò il significato della mia sofferenza e ne ringrazierò Dio. Credo che senza il mio dolore sopportato con serenità e dignità, mancherebbe qualcosa nell’armonia dell’universo».