Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
ROMA

Marcia per la vita, anche per ricordare Alfie

Ci ritroveremo a Roma, il 19 maggio, all’ottava Marcia per la vita, noi che abbiamo pregato e ci siamo alzati in piedi per Alfie Evans e per ogni altro bambino violato nel suo diritto alla vita. Ricorderemo Alfie assieme ai sei milioni di vittime che la legge italiana di aborto ha provocato in quarant’anni nel nostro Paese. 

Vita e bioetica 08_05_2018

Caro direttore,

Ci ritroveremo a Roma, il 19 maggio, all’ottava Marcia per la vita, noi che abbiamo pregato e ci siamo alzati in piedi per Alfie Evans e per ogni altro bambino violato nel suo diritto alla vita.

Ricorderemo Alfie assieme ai sei milioni di vittime che la legge italiana di aborto ha provocato in quarant’anni nel nostro Paese e alla sterminata schiera  di bimbi uccisi in tutto il mondo.

Marceremo con la consapevolezza che la vicenda di Alfie Evans, che tanto ha scosso l’opinione pubblica, che ci ha fatto pregare e piangere, non è solo un tragico episodio capitato per una straordinaria congiuntura di eventi negativi, ma è purtroppo l’approdo di una cultura irrispettosa dell’uomo, che ha radici lontane nel darwinismo e nell’eugenismo di marca anglosassone – come questo giornale ha già evidenziato nei giorni scorsi - che, saldandosi con il femminismo radicale  attraverso esponenti storiche come Margaret Sanger, super finanziate e sostenute dalla potente fondazione Rockfeller, ha programmato e diffuso nel mondo l’aborto volontario come il mezzo per costruire un mondo di “perfetti” in cui non ci sia posto per deboli e disabili.

Quanti pensano e giustificano l’aborto come mezzo al quale si deve poter ricorrere in circostanze particolarmente difficili e penose, quelle anime belle che  sono convinte che riguardi solo casi pietosi, devono fare finalmente i conti con la realtà. Che non è quella che ci presentavano gli esponenti del Partito Radicale negli anni in cui lavoravano per arrivare alla legalizzazione dell’aborto in Italia, attraverso bugiarde campagne strappalacrime in cui le donne morivano a migliaia, vittime dell’aborto clandestino, ma è quella di una società che non  accetta il diverso, il disabile, il debole e mette in atto qualunque espediente, medico o giuridico per disfarsene.

L’aumento esponenziale ex art. 6 della legge 194 dell’aborto eugenetico   camuffato da terapeutico, che elimina i feti come merce avariata al minimo accenno di deficit, è un evidente indizio del dilagare di una mentalità che non arretra di fronte all’uccisione dell’indifeso pur di restare dentro i dettami e gli schemi disegnati da una cultura che non accetta imperfezioni. Che non ne vuole pagare i costi, prefigurati solo in termini di dolore e di fatica.

Qualcuno gridò allo scandalo e si tracciò le vesti quando, pochi anni fa, due ricercatori italiani con cattedra in Australia, Alberto Giubilini e Francesca  Minerva, decretarono che se l’aborto è legittimamente praticabile in alcune condizioni, dovrebbe essere permesso anche l’aborto post-nascita, alle stesse condizioni, non solo in caso di disabilità e di malattia, ma anche quando un bambino costituisce un problema economico o di altra natura per la famiglia. Non era farina del loro sacco, questa idea, ma del  filosofo australiano Peter Singer, che già dagli anni ’70 del secolo scorso, dalle cattedre di prestigiose  università aveva diffuso il suo credo: uno scimpanzè è molto più “umano” di un neonato disabile che può essere tranquillamente usato come serbatoio di organi da trapiantare per guarire altri bambini.

Questi sono gli esiti dell’aborto. Se della vita nel grembo si può disporre, perché non farlo anche dopo la nascita?  

Ci  possiamo ora meravigliare se medici, giudici e protocolli di strutture  ospedaliere che dovrebbero curare, hanno assunto, codificato tali idee e le mettono in pratica con la protervia e l’arroganza di cui hanno dato mostra all’Alder Hey di Liverpool? Quanti Alfie Evans sono già stati uccisi negli ospedali, da medici che, invece di prendersi cura del malato loro affidato, comminano sentenze di morte? Quanti ancora dovranno morire prima che l’uomo risalga il baratro in cui è precipitato e ritrovi il senso e le ragioni della vita?

Verremo da ogni parte del mondo a Roma, il 19 maggio, alla Marcia per la vita, per dire no all’aborto e per testimoniare che la vita merita di essere accolta  e amata sempre.