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TRUMP-NETANYAHU

"Mar a Gaza", il piano di Trump per il Medio Oriente sconcerta il mondo

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Prendere il controllo di Gaza e trasformarla in una "riviera" del Mediterraneo, nel frattempo trasferire la sua popolazione in paesi arabi alleati: questo il piano di Trump illustrato a Netanyahu. Ai palestinesi torna in mente la "Nakba", la catastrofe del 1948. Ma anche le cancellerie di tutto il mondo sono sconcertate.

- Il presidente Usa sfida tutti di Gianandrea Gaiani

Esteri 06_02_2025
Trump e Netanyahu incontrano la stampa (La Presse)

«Gli Stati Uniti prenderanno il controllo di Gaza, un controllo a lungo termine che porterà stabilità alla regione. Gaza sarà una “riviera” del Medio Oriente». Le parole, pronunciate dal presidente Donald Trump, appena sono state diffuse dalle reti televisive e dai social hanno creato sgomento e turbamento, ma soprattutto rabbia e rancore, non solo tra la popolazione palestinese e araba, ma anche nelle cancellerie internazionali.

Ai palestinesi è ritornato in mente il 1948. In quell’anno, dopo la nascita dello Stato d'Israele, oltre settecentomila persone furono costrette ad abbandonare le proprie case, la loro terra. Gli Stati arabi, solidali con i palestinesi, dopo aver dichiarato guerra al neo-Stato ebraico, vennero sconfitti. Centinaia di villaggi furono rasi al suolo e i palestinesi prima di lasciare le loro case presero con sé la chiave della loro vecchia abitazione. Tutt'oggi, in ogni casa, sia in Palestina che nella Striscia e in ogni parte del mondo dove si sono rifugiati, all'entrata delle loro dimore c'è quella chiave, che si tramanda di padre in figlio. Quell'evento drammatico è ricordato dai palestinesi come la "Nakba"(la catastrofe) e viene ricordato il 15 maggio di ogni anno.

Nessuno si aspettava un simile annuncio da parte di Trump. Altre erano le speranze di quel primo faccia a faccia tra il neopresidente degli Stati Uniti e Benjamin Netanyahu, primo capo di governo straniero a varcare la soglia dello Studio ovale. Si sono incontrati come vecchi amici, apparentemente sembravano distesi, ma la tensione tra i due era evidente.

Ciascuno con i propri obiettivi: Trump con l’intenzione di essere decisivo su tutto il Medio Oriente: «Abbiamo – ha dichiarato - il giusto leader di Israele, anche se ancora ci sono molte cose da fare. Ha fatto un buon lavoro». Netanyahu, da parte sua, ha cercato garanzie e tentato di stemperare il clima teso, regalando al presidente Trump un cercapersone d'oro, simile a quelli fatti esplodere agli Hezbollah. Ha, però, rivendicato la libertà di azione a bombardare ancora la Striscia di Gaza in caso di minacce alla sicurezza, e, come seconda garanzia, ha chiesto di avere mano libera contro l'Iran. Una cosa è certa: è riuscito, per ora, ad incassare l’impegno della Casa Bianca all’invio di armi per un valore di 8 miliardi di dollari. Anche Trump non si è sottratto ad esibire un favore, annunciando, poco prima dell'inizio dei colloqui, la decisione di uscire dal Consiglio per i diritti umani dell'Onu, rendendo pubblica anche la decisione di chiudere i finanziamenti all'Unrwa, l’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi, diventata un «governo parallelo» a Gaza e già messa al bando in Israele.

Ma si è parlato anche del futuro di Gaza, «un luogo da demolizione», come è stata definita dall'inviato speciale del presidente americano Steve Witkoff. Trump ha ribadito la sua idea di ricollocare i palestinesi in paesi come la Giordania e l'Egitto: «So che hanno detto che non accetteranno, ma io vi dico di sì». E ha proseguito: «Gli abitanti della Striscia adorerebbero lasciare Gaza, saranno i nostri alleati arabi a trovare una soluzione».

Immediata la risposta da parte di Sami Abu Zuhri, funzionario di Hamas: «È solamente un sogno del presidente Trump. Le affermazioni di controllare Gaza sono ridicole e assurde, e qualsiasi idea di questo tipo può infiammare, ancora di più, la regione. Gli Stati Uniti - ha concluso - prima forniscono le bombe ad Israele per distruggere Gaza e ora la vogliono ricostruire. È veramente assurdo». Dal canto suo Netanyahu ha ribadito: «Dall'attacco del 7 ottobre stiamo combattendo i nostri nemici e cambiando il volto del Medio Oriente. Abbiamo devastato Hamas, abbiamo decimato Hezbollah. Ora vogliamo la vittoria totale». 

La proposta di Trump è stata respinta dalle varie cancellerie. Francia, Inghilterra, Spagna e molti altri Stati hanno mosso pesanti critiche. Anche la Cina si oppone al trasferimento forzato. «Tutte le parti prendano in considerazione il cessate il fuoco e la governance post-conflitto come un'opportunità per riportare la questione palestinese sulla strada giusta dell'accordo politico basato sulla soluzione dei due Stati», ha detto il portavoce del ministero degli Esteri Lin Jian.

Ma la strada che vuole percorrere il presidente Trump è piena di ostacoli, non solo per la singolare ipotesi della "riviera del Medio Oriente", ma anche per l'alto rischio che possano naufragare gli accordi di Abramo. Quell'intesa che lui stesso aveva caldeggiato durante il suo primo mandato, con la firma di un trattato di pace e l’avvio di relazioni diplomatiche tra gli Emirati Arabi Uniti e Israele, e la successiva normalizzazione con il Bahrein del 2022.

Intese che si arenarono dopo quel tragico 7 ottobre, quando i miliziani di Hamas attaccarono di sorpresa Israele. Netanyahu, da parte sua, da questo colloquio con Trump ha voluto garantirsi il pieno appoggio degli Stati Uniti all’obiettivo finale di sradicare Hamas da Gaza. Quindici mesi di violenti bombardamenti, che hanno provocato la morte di 47.487 persone, il ferimento di 111.588 e 14.222 dispersi, non sono stati sufficienti a sconfiggere l’organizzazione terroristica.

Ma ai colloqui nello Studio ovale c’era anche un ospite incomodo, anche se non presente: il principe ereditario saudita, Mohammed bin Salman, che in più di un'occasione, in pieno contrasto con la politica americana, ha dichiarato che non ci sarà alcuna normalizzazione delle relazioni con lo Stato d'Israele senza la creazione di uno Stato palestinese libero ed indipendente. Il ministro degli Esteri dell'Arabia Saudita ha rincarato la dose: «Il Regno sostiene che la proposta di uno Stato palestinese sui confini precedenti al 1967, con Gerusalemme Est come capitale, è ferma e incrollabile». Netanyahu, sempre alla Casa Bianca, ha sottolineato che la pace tra Israele e Arabia Saudita non solo è fattibile, ma ci sarà. È presto, dunque, per dire se gli Accordi di Abramo verranno congelati. Per il principe saudita tornare sui propri passi sarebbe una sconfitta, sia in politica estera che interna, ma, soprattutto, spianerebbe la strada agli Emirati Arabi Uniti per nuovi spazi geoeconomici. Dunque, Mohammed bin Salman, farà di tutto per far nascere lo Stato palestinese e poi siglare gli Accordi di Abramo tanto voluti sia da Netanyahu che da Trump.

Mentre il primo ministro israeliano volava verso gli Stati Uniti, Hamas annunciava l’inizio dei colloqui per la seconda fase dell'accordo sul cessate il fuoco. Ci sarà un cambio nella squadra dei negoziatori israeliani, David Barnea, responsabile del Mossad e capo negoziatore, pur rimanendo in una posizione di rilievo, cederà il suo ruolo a Ron Dermer, ministro per gli Affari strategici, e questo da quando è diventato presidente Donald Trump. Le trattative sulla seconda fase dell'accordo con Gaza vanno, infatti, collocate all’interno di un orizzonte più ampio, non solo la Striscia, ma anche la normalizzazione con l'Arabia Saudita e la contrapposizione con l'Iran.