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L'uscita di scena di Schwab, tra scandali e riposizionamento

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La ritirata dalle scene improvvisa di Klaus Schwab a causa di scandali imminenti, non cambia il quadro: il “pifferaio di Davos” non è, infatti una persona, ma piuttosto quell’alleanza pubblico-privata alla base del “capitalismo” clientelare promosso da Davos, che si sta arroccando sull'Europa, ora che negli Usa il vento sta cambiando.  

Attualità 24_04_2025

Klaus Schwab, fondatore e leader del Forum economico mondiale di Davos, da lui guidato ininterrottamente dal 1971, aveva già annunciato l’intenzione di ritirarsi da ruoli di primo piano nel WEF. In considerazione dell’età dell’economista e accademico ginevrino, ottantasette anni, una scelta comprensibile. Se non fosse per la precipitazione degli eventi. Che cos’è accaduto?

Un anno orsono, nell’aprile 2024, Schwab aveva annunciato con una mail allo staff che entro fine anno avrebbe lasciato la carica di Presidente esecutivo: il passaggio di testimone, come previsto, avvenne poco dopo a favore del numero due, Børge Brende (1965-), ex-ministro degli esteri norvegese, Presidente del WEF dal 2017 nonché membro dello steering committee del Bilderberg. Inizialmente Schwab intendeva mantenere per sé la carica di Chair del Board di Davos e invece, tre settimane fa, aveva dichiarato che era sua intenzione lasciare anche questo ruolo, senza fornire alcuna motivazione. La transizione era prevista entro gennaio 2027, prima del solito incontro annuale: era quindi pianificata su tempi lunghi, in modo da trovare la persona adeguata a ricoprire tale posizione e per assicurare la continuità operativa dell’organizzazione. E invece, in una riunione straordinaria del WEF, per di più tenutasi in fretta e furia a Pasqua, ecco giungere le dimissioni di Schwab con effetto immediato, accettate (richieste?) dal Board. Perché tanta fretta? Che cosa sanno i membri del direttivo che noi ignoriamo?

Facciamo un passo indietro. La scorsa estate, a fine giugno, a seguito di un’inchiesta del Wall Street Journal, erano già emerse delle accuse decisamente pesanti sul “clima tossico”, non a causa della Co2 ma più prosaicamente sull’ambiente di lavoro al WEF: molestie sessuali, licenziamenti immotivati, discriminazioni ai danni delle donne in gravidanza, razzismo nei confronti degli afroamericani. Insomma, non proprio il massimo in termini di inclusività. Ora pare che l’uscita di scena di Schwab gli sia stata imposta e che il WEF abbia addirittura aperto un’inchiesta interna sul suo fondatore, con accuse di cattiva condotta finanziaria sua e della moglie Hilde.

L’obiettivo è sicuramente quello di evitare ricadute di immagine negative sul mondo di Davos qualora l’inchiesta giudiziaria dovesse scoprire altri scheletri nell’armadio, anche più gravi. Il Board del Forum sarà ora guidato dall’ottantenne Peter Brabeck-Letmathe in qualità di Chair ad interim. Di origine tedesca e formazione economica, Brabeck-Letmathe è stato a capo della Nestlé in cui ha trascorso la sua carriera lavorativa sin dal 1968, ricoprendo ruoli di primo piano anche in molti altri colossi industriali, in vari settori. Il fatto che l’incarico sia ad interim è un’evidente conferma del fatto che la decisione di cedere subito il testimone Schwab l’abbia dovuta prendere in tempi brevi e sotto forti pressioni, per limitare i danni.

Per di più, considerando che questo non è certamente un momento favorevole a Davos: la nuova amministrazione statunitense, infatti, sta portando avanti un attacco frontale (qui, qui e qui) all’ideologia del multilateralismo globalista così cara al Forum e all’Agenda Onu 2030. Tant’è vero che l’iniziativa del Great Reset si sta ora arroccando in Europa, dove la Commissione von der Leyen a trazione franco-tedesca sembra quasi volere accelerare nei propri progetti. Per di più, con un ritorno prepotente sulla scena del Regno Unito, guidato da Re Carlo III, grande amico di Schwab e del Forum. Nonostante la Brexit, cioè la fuoriuscita dall’Unione Europea il 1° febbraio 2020, gli inglesi sembrano infatti ambire a riprendersi un ruolo di primo piano in Europa: mentre l’Oceano si sta allargando, la Manica si sta restringendo. Il Regno Unito pare anche intenzionato ad assumere un ruolo centrale all’interno dell’anglo-sfera, rimasta orfana dalla guida statunitense: non a caso, il Canada è ora guidato dall’ex governatore della Banca d’Inghilterra, Mark Carney (1965-), eletto il 9 marzo 2025 a capo del Partito Liberale canadese dopo le dimissioni del precedente premier Justin Trudeau (1971-), pupillo di Schwab. Entrambi sono di formazione e stretta osservanza davosiana: Carney, per di più, è intelligente, e quindi molto più pericoloso di Trudeau qualora riuscisse a vincere le elezioni federali per il rinnovo della Camera dei Comuni, che si terranno anticipatamente il 28 aprile 2025, facendo leva sullo spirito di rivalsa canadese anti-Trump.

Al di là di chi guida o guiderà il Forum di Davos, si possono quindi tenere fermi questi due punti: il primo è l’evidente affanno dell’iniziativa dopo la sconfitta del mondo liberal alle elezioni statunitensi, con la conseguente ritirata tattica nella roccaforte europea, e in parte del Commonwealth; il secondo, dati gli enormi interessi in gioco non si possono ricondurre le sorti di tale iniziativa alle vicende di singoli personaggi, per quanto influenti. È vero che Klaus Schwab era il frontman dell’iniziativa del Great Reset, ma il World Economic Forum di Davos non si riduce alla sua figura: queste considerazioni ci aiutano anche «a non cadere nella tentazione, tipica di molti buoni, di cercare per forza un grande vecchio che tira le fila di tutto, di vedere complotti in ogni luogo, e meno che mai perdere la speranza. Non perché i cattivi non ci siano, e non operino, ma perché tale prospettiva semplicistica comporterebbe il rischio speculare di illudersi di potere “mettere a posto” le cose dall’alto, con le sole nostre forze, prendendo così una piega pelagiana.

Il processo rivoluzionario si muove con dinamiche spesso ignote agli stessi agenti della rivoluzione: esiste, in altre parole, una meccanica della rivoluzione, che si snoda nel corso dei secoli, oltre la difension d’i senni umani: persino dei più intelligenti e influenti come, fino a pochi mesi orsono, Henry Kissinger e oggi, ancora, Bill Gates, George Soros, Klaus Schwab, i vari attori protagonisti e le moltissime comparse del Great Reset». Mi permetto di citare questo passaggio – tratto dal mio Il pifferaio di Davos. Il Great Reset del capitalismo: protagonisti, programmi e obiettivi. Introduzione di Marco Respinti, D’Ettoris Editori, 2024 (§ 579) –, per evidenziare che certi processi prescindono persino dagli attori protagonisti che, di volta in volta, compaiono sotto i riflettori, per poi uscire di scena come ora accade a Klaus Schwab.

Ci troviamo di fronte a una community caratterizzata dalla cooperazione ai massimi livelli tra colossi industriali e finanziari, importanti leader politici mondiali, realtà sovranazionali, banche centrali, primarie fondazioni, accademia, media e influencer globali. L’obiettivo è superare un modello economico in parte ancora fondato sulla libertà economica della piccola e media impresa privata e su base prevalentemente nazionale, giudicato non più sostenibile, per definire una governance politica ed economica sovranazionale, basata sulla pianificazione e sul controllo.

L’agenda è destinata verosimilmente al fallimento, com’è normale che accada ogniqualvolta si pretende di rifare da zero un mondo nuovo, secondo logiche gnostiche e prometeiche; permangono i rischi, tuttavia, per lo meno in Europa, che l’iniziativa possa produrre ancora seri danni negli anni a venire, ai danni della proprietà privata, della libertà e della privacy. La ritirata dalle scene del “grande vecchio” non cambia il quadro: il “pifferaio di Davos” non è, infatti, innanzitutto una persona, ma piuttosto quell’alleanza pubblico-privata alla base del “capitalismo” clientelare promosso da Davos: un intreccio incestuoso di enormi interessi economici-finanziari e di potere saldati a visioni ideologiche che pretendono di creare un “mondo migliore” e un “uomo nuovo”, secondo logiche tecnocratiche e transumane. Un mix davvero inquietante. L’alleanza globalista potrà essere dissolta solo dal fallimento dell’iniziativa.

In conclusione, al di là dell’effettiva responsabilità di Schwab sul piano giudiziario, che sarà accertata dalla magistratura, è chiaro che uno scandalo del genere nel cuore di un’associazione che ambiva a rifare il mondo da zero e a renderlo migliore non potrà che danneggiare non poco la narrazione buonista del WEF. «Chi vuole fare l’angelo finisce per fare la bestia», commenterebbe il filosofo Pascal, ma più che i vizi privati di questo mondo, su cui non vale la pena soffermarsi, devono invece preoccupare proprio le loro pubbliche “virtù”: la hỳbris di ricreare un mondo migliore, attuando un reset globale prometeico e distopico, ovunque nel mondo e a tutto campo, culturale, sociale, economico, politico.  

È ancora presto per cantare vittoria, soprattutto in Europa. Intanto, godiamoci la graditissima sorpresa dentro l’uovo di Pasqua.



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