Prima guerra dei dazi: la Colombia deve rimpatriare gli illegali
Ascolta la versione audio dell'articolo
La Colombia rimanda indietro due aerei Usa carichi di immigrati illegali da rimpatriare. Trump minaccia sanzioni, il presidente Petro deve cambiare idea. Sull'immigrazione cambia tutto.

Hanno fatto il giro del mondo le immagini degli immigrati illegali, ammanettati (come da prassi, non è certo una novità di Trump) e imbarcati su aerei da trasporto militari C-17, per essere rimpatriati nel paese d’origine. Ma le ha viste anche la persona “sbagliata”, il presidente della Colombia, Gustavo Petro. Il quale, per reazione istintiva e improvvisa, ha impedito a quei due aerei militari statunitensi di atterrare sul suo territorio nazionale, rimandandoli indietro. Ci si sarebbe attesi un lungo braccio di ferro diplomatico fra Colombia e Usa. Ma la reazione di Donald Trump, non viscerale come quella di Petro, ma lucida e calcolata, ha chiuso la questione in meno di 24 ore. La Colombia accetta tutte le condizioni statunitensi.
Cosa è successo in questa piccola guerra, non guerreggiata, nell’America Latina? Domenica mattina, 26 gennaio, mentre gli aerei americani erano in volo, con a bordo ottanta immigrati ciascuno, il presidente Petro ha tweettato: gli Usa «non possono trattare i migranti colombiani come criminali». Poi ha aggiunto: «Non permetto l’ingresso di aerei americani con migranti colombiani nel nostro territorio». Ai due C-17 è stato negato il permesso di atterrare, dopo che erano decollati da San Diego ed erano già in volo sull’America centrale. La decisione del presidente colombiano, è giunta come una sorpresa anche alle orecchie del suo stesso governo. Non solo aveva concesso il permesso diplomatico ai due aerei di atterrare sul suolo colombiano, ma stava anche preparando il ritorno dei suoi concittadini, accogliendoli con tutti gli onori. Fonti vicine al governo di Bogotà, riferivano al Wall Street Journal che il presidente abbia cambiato idea a causa del tipo di aereo impiegato. Solitamente i rimpatri avvengono su aerei passeggeri. Il fatto di aver usato aerei da trasporto militari lo ha offeso. Ma anche le immagini degli immigrati ammanettati deve aver fatto il suo effetto.
Dopo che Petro ha negato il permesso di atterraggio e rimandato al mittente i suoi concittadini emigrati illegalmente, la risposta di Trump non si è fatta attendere. Come Petro, l’ha affidata ai social network, in questo caso al suo, Truth. Queste le prime rappresaglie: tariffe del 25% su tutti i beni importati dalla Colombia, pronte a raddoppiare dopo una settimana. Sanzioni finanziarie del Dipartimento del Tesoro, revoca del visto a tutti i funzionari d’ambasciata, ai membri del governo, ai parenti dei membri del governo, ai membri del partito socialista di governo, ai suoi alleati e sostenitori. E «queste misure sono solo l’inizio», ha minacciato il nuovo presidente americano. Perché: «Non permetteremo al governo colombiano di violare i suoi obblighi legali per quanto riguarda l'accettazione e il ritorno dei criminali che hanno costretto a entrare negli Stati Uniti».
Gustavo Petro ha inizialmente annunciato contro-sanzioni, soprattutto l’aumento delle tariffe sui beni statunitensi. Poi ha cambiato parzialmente idea, offrendo un rimpatrio “più dignitoso” per i suoi connazionali, mettendo a disposizione anche il suo aereo presidenziale. Infine ha ceduto su tutta la linea. Già domenica sera, la Casa Bianca annunciava la sua prima vittoria di una guerra di dazi: «il governo della Colombia ha accettato tutte le condizioni del presidente Trump, compresa l'accettazione senza restrizioni di tutti gli stranieri illegali colombiani rimpatriati dagli Stati Uniti, anche su aerei militari statunitensi, senza limitazioni o ritardi». E il ministro degli Esteri di Bogotà, Luis Gilberto Murillo, confermava: «Continueremo a ricevere i colombiani espulsi, garantendo loro condizioni dignitose».
I conti hanno avuto il sopravvento sull’orgoglio politico. Gli Stati Uniti hanno importato 16,1 miliardi di dollari in beni dalla Colombia nel 2023, classificandosi al 26° posto come partner commerciale. Il petrolio greggio rappresenta circa un terzo di questo valore in dollari. Tra le altre merci che gli Stati Uniti ricevono dalla Colombia figurano oro, caffè, banane e rose fresche. Ma sempre nel 2023, gli Stati Uniti rappresenteranno il 28% del valore delle esportazioni colombiane, più di qualsiasi altro partner commerciale. In sintesi: gli Usa possono fare a meno della Colombia, ma quest’ultima non può fare a meno degli Stati Uniti.
A Petro è rimasta solo la soddisfazione di uno sfogo contro gli Usa, in toni marxisti e terzomondisti, dove rievoca la condanna a morte di Sacco e Vanzetti (i due anarchici italiani ingiustamente condannati a morte, un secolo fa) e quelli che vede come gli eroi della lotta di classe in America. Un messaggio carico di recriminazioni, come: «Non vi piace la nostra libertà, bene. Non stringo la mano agli schiavisti bianchi» e promettendo a Trump che, se mai dovesse organizzare un colpo di Stato in Colombia come quello di Pinochet in Cile (del 1973), «può tentare un golpe con la sua forza economica e arroganza, come fece con Allende, ma io rimango fedele ai miei ideali. Ho resistito alla tortura e resisto anche a lei. Non voglio schiavisti accanto alla Colombia: ne abbiamo già avuti troppi e ci siamo liberati». Al di là della retorica, però, ha accettato tutte le condizioni di Trump. Una resa senza condizioni in meno di un giorno.
La presidente dell’Honduras, Xiomara Castro, convoca per giovedì prossimo la riunione d’emergenza del Celac, la Comunità degli Stati Latinoamericani e dei Caraibi, per discutere sull’impatto che avrebbe il rimpatrio massiccio degli emigrati illegali. Trump non arretra di un millimetro: nella sola domenica, si contano circa mille arresti di illegali. E un milione di emigrati a cui era stato concesso il permesso temporaneo umanitario potrebbero essere i prossimi a dover far fagotto.