Schwab se ne va, ma il Grande Reset del pifferaio di Davos resta
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L'annuncio dell'addio di Klaus Schwab al World Economic Forum non deve illuderci. Resterà dietro le quinte: il progetto del Grande Reset teorizzato dal "Pifferaio di Davos" è destinato a proseguire e farà ancora molti danni. Prima di fallire.
Il fondatore e leader del World Economic Forum, il professor Klaus Schwab, ha annunciato con una mail allo staff che entro fine anno lascerà la carica di presidente esecutivo del Forum economico di Davos. Entusiastiche le reazioni nel mondo dei social: il “pifferaio di Davos” si ritira, quindi anche l’iniziativa del Great Reset, da lui lanciata nel luglio del 2020 col suo noto libro “Covid 19. The Great Reset”, si può considerare archiviata. Peccato, però, che le cose non stiano in questi termini.
L’illusione nasce da un’interpretazione semplicistica della realtà. È vero che Klaus Schwab era, anzi è, il frontman dell’iniziativa del Great Reset, ma il World Economic Forum di Davos non si riduce alla sua figura.
Ci troviamo di fronte, infatti, a una community caratterizzata dalla cooperazione ai massimi livelli tra colossi industriali e finanziari, importanti leader politici mondiali, realtà sovranazionali, banche centrali, primarie fondazioni, accademia, media e influencer globali. L’obiettivo è superare un modello economico in parte ancora fondato sulla libertà economica della piccola e media impresa privata e su base prevalentemente nazionale, giudicato non più sostenibile, per definire una governance politica ed economica sovranazionale, basata sulla pianificazione e sul controllo.
Da un certo punto di vista, il fatto che Schwab inizi un lavoro dietro le quinte, rinunciando a un ruolo di primo piano per limiti d’età (oramai 86) e, probabilmente, anche per motivi di salute, ci aiuta a non cadere «nella tentazione, tipica di molti buoni, di cercare per forza un grande vecchio che tira le fila di tutto, di vedere complotti in ogni luogo, e meno che mai perdere la speranza. Non perché i cattivi non ci siano, e non operino, ma perché tale prospettiva semplicistica comporterebbe il rischio speculare di illudersi di potere “mettere a posto” le cose dall’alto, con le sole nostre forze, prendendo così una piega pelagiana.
Il processo rivoluzionario si muove con dinamiche spesso ignote agli stessi agenti della rivoluzione: esiste, in altre parole, una meccanica della rivoluzione, che si snoda nel corso dei secoli, oltre la difension d’i senni umani: persino dei più intelligenti e influenti come, fino a pochi mesi orsono, Henry Kissinger e oggi, ancora, Bill Gates, George Soros, Klaus Schwab, i vari attori protagonisti e le moltissime comparse del Great Reset». Mi permetto di citare questo passaggio – tratto dal mio Il pifferaio di Davos. Il Great Reset del capitalismo: protagonisti, programmi e obiettivi. Introduzione di Marco Respinti, D’Ettoris Editori, 2024 (§ 579) –, per evidenziare che certi processi prescindono persino dagli attori protagonisti che, di volta in volta, compaiono sotto i riflettori.
A chi passerà il testimone Klaus Schwab? Nulla di ufficiale, ma si parla del numero due del WEF, Børge Brende (1965-), ex-ministro degli esteri norvegese, Presidente del WEF dal 2017 e membro dello steering committee del Bilderberg. Al di là di chi raccoglierà l’eredità politica di Schwab, non ci sono dubbi che l’iniziativa del Great Reset proseguirà, per lo meno a livello di Unione Europea, Stati Uniti, Canada, Australia e Nuova Zelanda e di tutti quei Paesi di second’ordine che si riconoscono all’interno dell’area di influenza statunitense.
Che poi l’agenda sia destinata verosimilmente al fallimento, com’è normale che accada ogniqualvolta si pretende di rifare da zero un mondo nuovo, secondo logiche gnostiche, è tutt’altro discorso. L’iniziativa fallirà, ma produrrà ancora seri danni negli anni a venire, ai danni della proprietà privata, della libertà e della privacy. E il fatto che “il grande vecchio” si ritiri dalle scene, oppure che prosegua a manipolare la grande narrazione dietro le quinte, non cambia il quadro. Il “pifferaio di Davos” non è, infatti, innanzitutto una persona, ma piuttosto quell’alleanza pubblico-privata di enormi interessi – insieme a visioni ideologiche che pretendono di “creare un mondo migliore” – alla base del “capitalismo” clientelare promosso da Davos.
Le cose peggioreranno ancora, prima di iniziare a migliorare. L’alleanza globalista potrà essere dissolta solo dal fallimento dell’iniziativa: che arriverà, certamente, ma è ancora presto per cantare vittoria.
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