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MOVIMENTO 5 STELLE

Luigi Di Maio, il finto amico delle famiglie

Il leader del M5S Luigi Di Maio propone un "fisco amico delle famiglie" e dice di ispirarsi al modello francese di welfare. Ma a ben guardare nel suo programma, non si trova affatto il quoziente familiare alla francese, ma un sussidio che premia singoli disoccupati e non famiglie con figli a carico.

Economia 05_11_2017
Luigi Di Maio

Un fisco amico delle famiglie. È questa la proposta che il neo-incoronato candidato premier del Movimento 5 Stelle, Luigi Di Maio, ha lanciato ieri su Avvenire. “L’Italia – ha detto Di Maio al quotidiano dei vescovi - merita un sistema fiscale e di welfare come quello francese. Il nostro modello è Parigi, altro che i bonus e le mancette renziane che scompaiono quando hanno esaurito la loro funzione elettorale”. Una proposta che, letta così, parrebbe non solo buona ma addirittura rivoluzionaria nel paese in cui si discute per mesi sull'introduzione dell'Iva agevolata su pannolini, biberon e altri prodotti per la prima infanzia. Ma davvero Di Maio vuole rendere il sistema fiscale italiano simile a quello francese? Basta leggere le righe successive per capire che non è così.

“La vulgata dei salotti buoni – prosegue Di Maio - banalizza il nostro reddito di cittadinanza. Non dicono, però, che con questa misura in una famiglia in difficoltà con due figli di 14 anni entrano 1.950 euro al mese. Lo ripeto: 1.950 euro”. Quasi duemila euro che non rappresentano un incentivo specifico per le famiglie, ma una somma che deriva da un reddito percepito da tutti i cittadini disoccupati. Come riporta il testo ufficiale della proposta di legge sul reddito di cittadinanza, all'articolo 3, a ogni cittadino verrebbe corrisposto un sussidio “di valore pari ai 6/10 del reddito mediano equivalente familiare, quantificato per la persona singola nell'anno 2014 in euro 9.360 annui e euro 780 mensili”. Se “al primo adulto presente nel nucleo viene associato un valore pari all'unità, ai familiari conviventi oltre al primo adulto è associato il valore 0,5 a meno che non si tratti di minori di età inferiore ai quattordici anni per i quali è previsto il coefficiente pari a 0,3”. Ciò significa che una famiglia di quattro membri con due figli di età inferiore a 14 anni percepirebbe 1.638 euro mentre una “coppia di fatto” di adulti disoccupati arriverebbe a 1.560 euro (780 per due): appena 78 euro di differenza per due bocche in più da sfamare. Un sistema che non solo non incentiva ma addirittura penalizza le coppie che decidono di avere uno o più figli.

Che la proposta pentastellata non sia concepita per la famiglia è evidente anche dal fatto che, nel programma, non vi è alcuna traccia di un sistema organico di sgravi per le famiglie, come in Francia. Alla voce “economia” del programma, tra i numerosi interventi su finanza e aziende statali, troviamo per quanto riguarda il lavoro solo un accenno all'“abolizione della legge Biagi” e al “sussidio di disoccupazione garantito”. Nulla che riguardi il quoziente familiare francese cui Di Maio dovrebbe far riferimento: un sistema che premia davvero tutte le famiglie che lavorano e non incentiva invece i singoli inattivi come il reddito di cittadinanza pentastellato.

Tanto più che, come concepito, il reddito di cittadinanza (del costo di circa 20 miliardi di euro) è molto difficile da realizzare a causa della precarietà delle coperture previste. Nella lista citata dai 5Stelle troviamo infatti, fra le voci più consistenti: “tagli alla spesa della Pa” per 2,5 miliardi di euro attraverso i costi standard (proposta ottima ma mai realizzata da vent'anni a questa parte); aumento di tasse su banche per 2 miliardi e di 1,5 sulle trivellazioni (che comporterebbero di riflesso un aumento dei costi per risparmiatori, assicurati e del prezzo del carburante); tassazione del gioco d'azzardo per un miliardo (molto difficile da ottenere, visto che spesso si ha a che fare con società con sede fiscale all'estero) e una serie di tagli alle indennità parlamentari e alle pensioni d'oro che la Corte Costituzionale ha già bocciato più volte in passato. Infine idee controproducenti come non cumulabilità di redditi autonomi e dipendenti, che di fatto disincentiverebbe il lavoro.

A conti fatti l'unica fonte certa di denaro arriverebbe da nuovi debiti statali. Su questo punto, gliene diamo atto, Di Maio è piuttosto onesto: “Non c’è scampo: dobbiamo fare deficit e sforare la regola del 3 per cento” ha candidamente dichiarato ad Avvenire. Peccato che il deficit si traduca in debito, che dovrà essere affrontato dalle prossime generazioni: giovani precari che, con retribuzioni molto basse, hanno già oggi trattenute fiscali molto alte che servono a sostenere il pesante fardello del debito pubblico (2.300 miliardi di euro), del sistema pensionistico (quasi 300 miliardi l'anno) e di una spesa pubblica che sembra incomprimibile. Un costo che, col reddito di cittadinanza, potrebbe salire ancora fino al paradosso finale: rendere più conveniente stare a casa col sussidio che uscirne per cercarsi un lavoro.