Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Leonardo da Porto Maurizio a cura di Ermes Dovico
SCONTRO SU LGBT

L’UE vuole multare la Polonia. I giudici? Una scusa

La Commissione Europea ha chiesto alla Corte di Giustizia di sanzionare la Polonia con una multa quotidiana fino a quando non cambierà le norme sull’indipendenza dei giudici. Una richiesta inaudita e che non si spiega alla luce dei passi concilianti dei giorni precedenti sulla questione. La vera ragione del contendere rimane la dottrina Lgbt.

Attualità 10_09_2021

La Polonia sta difendendo, con i paesi baltici, i confini europei dal traffico di esseri umani promosso dalla Bielorussia, e la Commissione da Bruxelles la pugnala alla schiena con la minaccia di sanzioni quotidiane.

A metà agosto il Governo polacco, dopo la decisione della Corte Costituzionale di sospendere la “Camera disciplinare” che verifica atti e comportamenti dei giudici, aveva chiaramente deciso di eliminare la norma e riscriverla, entro il mese di ottobre, preso atto delle indicazioni della Corte suprema del paese e delle obiezioni della Commissione. Ciò non è bastato alla Commissione Europea che, nonostante questo gesto di buona volontà di Varsavia, martedì ha annunciato di aver chiesto alla Corte di Giustizia di sanzionare la Polonia per tutti i giorni che trascorrono senza che le riforme richieste siano pienamente attuate. Un’inaudita richiesta di ‘multa’ quotidiana, mai fatta nei confronti di alcun paese nella storia delle istituzioni europee, la cui originalità risiede nella proposta di sanzioni pressoché identica a quella promossa dall’Esi (European Stability Institute, think tank tedesco, già profumatamente finanziato da George Soros) lo scorso 5 agosto.

Nel suo studio questa lobby, operativa in varie istituzioni europee da almeno un decennio, indica anche un sistema di calcolo delle multe quotidiane (in relazione al Pil del paese, delle decisioni della Corte non implementate e del tempo necessario per implementarle). Una domanda: come mai la Commissione, anche dopo il confronto franco e cordiale del commissario Vera Jourová e del premier Mateusz Morawiecki del 30 e 31 agosto, a seguito del quale ci si riprometteva di proseguire il dialogo, ha deciso così improvvisamente di denunciare la Polonia e chiedere alla Corte di sanzionarla? Lo stesso 31 agosto, la Corte Costituzionale aveva deciso di posticipare sino ad ottobre la decisione finale sull’annosa questione della primazia della Carta fondamentale polacca (e i suoi organi) sulle norme europee e decisioni della Corte di Giustizia. Un gesto di buona volontà pareva rasserenare il clima.

Invece, l’1 settembre, il commissario Paolo Gentiloni aveva dichiarato che “c’erano condizioni per l’approvazione del Recovery della Polonia” senza il rispetto delle quali non si potevano approvare gli aiuti economici. La Polonia aveva risposto seccamente: «Nessun funzionario a livello junior o senior dell’Unione Europea ha il diritto di ricattare… perché se dovessimo prendere sul serio le sue parole, allora significherebbe che questo funzionario sta dicendo al governo polacco, allo stato polacco... “vi daremo soldi solo se accettate condizioni umilianti associate alla limitazione della vostra sovranità”». Il ricatto su cosa realmente verterebbe? Non sulla Camera disciplinare (sospesa e pressoché eliminata), non sull’eventuale primazia della Costituzione polacca sulle norme e decisioni europee (su cui il giudizio è rimandato). Quindi? La sola vera ragione del contendere e, le coincidenze temporali degli ultimi giorni ne dimostrano la fondatezza, è l’imposizione della dottrina Lgbt.

Infatti, lunedì 6 settembre, la Commissione europea ha scritto ai cinque consigli regionali polacchi che avevano approvato due anni or sono la “Carta della famiglia”, esortandoli ad abbandonare le dichiarazioni “Lgbt-free”. Questa è la condizione indicata per ricevere finanziamenti di REACT-EU (Recovery Assistance for Cohesion and the Territories of Europe), un pacchetto di fondi di coesione aggiuntivi sotto i quali la Polonia dovrebbe ricevere un totale di oltre 1,5 miliardi di euro. E il giorno seguente, 7 settembre, Bruxelles ha mandato avanti la sua procedura di infrazione contro la Polonia sull’indipendenza giudiziaria e chiesto alla Corte di Giustizia dell’UE di imporre multe giornaliere al paese. In risposta, il ministro della Giustizia polacco Zbigniew Ziobro ha solo presentato le analogie tra il sistema polacco (sospeso, eliminato e in rielaborazione) e quelli in vigore in Spagna, Romania e Germania, e ha denunciato «questa aggressione di “guerra ibrida” (economica e giudiziaria) per ragioni squisitamente politiche». Il Governo è compatto, il portavoce del premier ha detto che “la Commissione non ha ben capito il sistema in vigore in Polonia e la decisione già presa di eliminare la Camera disciplinare”.

Lo scontro, provocato ad arte dalla Commissione, dimostra il nervosismo per la crescita nei sondaggi dei partiti di governo polacchi che, oltre a difendere i confini dall’immigrazione illegale, giovedì hanno presentato un poderoso taglio delle tasse per la classe media e nuove misure per le famiglie.  In soccorso di Varsavia è venuto il Governo ungherese cha ha adottato una risoluzione di denuncia “dell’ignobile attacco di Bruxelles” e assicura il suo sostegno totale. Al 30° Forum Economico dei Carpazi, i quattro leader delle maggioranze parlamentari dei paesi di Visegrad si sono promessi mutua solidarietà e proposti l’impegno comune di agire come guardiani del Trattato di Lisbona, contro le angherie della Commissione.