Giustizia e media, la Polonia affronta i diktat di Ue e Usa
Il governo polacco ha annunciato la volontà di eliminare la Camera disciplinare per i giudici (ma la presidente della Corte Costituzionale chiede nuove norme), disinnescando la procedura di infrazione prevista dall’Ue a partire dal 16 agosto. Approvata ieri la legge sulla proprietà straniera di mass media e tv, per la delusione di Tusk, Usa e lobby.
Unione Europea, Usa e lobby piegano ma non spezzano la Polonia, che invece rilancia. Si avvicina la data del 16 agosto, deadline europea per l’inizio della procedura di infrazione (per le criticità del sistema giudiziario) nei confronti della Polonia. Varsavia stupisce tutti, spazza via l’oggetto del contendere, cioè la Camera disciplinare per i giudici, riafferma la propria supremazia costituzionale e ribadisce la propria dignità approvando la legge che vieta la proprietà straniera delle reti televisive.
La Commissione dell’Ue analizzerà la decisione della Polonia di sospendere e riformulare la legge sulla giustizia ma non c’è margine per proseguire nella procedura di infrazione. Lo scorso 15 luglio il Tribunale Costituzionale aveva ribadito l’assoluta primazia della Costituzione polacca e delle riforme giudiziarie nei confronti delle pretese omologatrici della Commissione e della Corte di Giustizia dell’Ue. Allo stesso tempo, si era aperto un contenzioso tra gli Usa e la Polonia sulla legge che prevede la maggioranza di proprietà polacca o europea delle emittenti televisive e radiofoniche che trasmettono sul territorio nazionale. La televisione di proprietà statunitense, TVN, da anni sostiene ogni forma di opposizione al governo. Dopo le pressioni delle scorse settimane di Bruxelles e Washington, il leader del partito conservatore al governo Jarosław Kaczynski aveva ribadito la bontà delle nuove norme in discussione.
Usa e Ue, che combattono le influenze elettorali russe, vorrebbero condizionare l’elettorato polacco. Inaccettabile. La nuova legge sulla proprietà straniera di mass media e tv, di iniziativa parlamentare, nonostante le proteste di piazza guidate da Donald Tusk e attraverso tweet decisamente minacciosi dell’ex Segretario di Stato Usa, Madeleine Albright, è stata approvata ieri sera definitivamente in seconda lettura dalla Camera (Sejm) per una manciata di voti, 228 a 216 (10 astenuti), e non senza colpi di scena e ripetizioni di voti contestati. Martedì si era temuta la fine (da molti sperata) della coalizione, dopo la cacciata del vicepremier Jaroslaw Gowin, per dissensi sulla riforma fiscale.
Sulla questione giustizia, bisogna ricordare che a fine mese scorso, dopo la sentenza della Corte europea dei diritti umani, con le critiche al sistema giudiziario polacco, del tutto simili a quelle della Commissione e della Corte di Giustizia dell’Ue, il ministro della Giustizia polacco aveva affermato a chiare lettere che anche la Convenzione Europea dei Diritti Umani e la Cedu violavano i principi costituzionali del paese e chiesto una valutazione di merito alla Corte Costituzionale. Il 5 agosto scorso partiva l’attacco sulle colonne di Gazeta Wyborcza, quotidiano ormai diventato la “Pravda” delle opposizioni e di cui George Soros è azionista di riferimento, nel quale si chiedeva (pretendeva) che l’Europa passasse alle sanzioni. Invito simile proveniva dall’Esi (lobby europea finanziata da Soros) che chiedeva sanzioni europee pari al 10% del Pil polacco. Negli stessi giorni veniva presentata l’iniziativa della Ong Campaign Against Homophobia a favore dell’assistenza legale per tutti gli attivisti di varie organizzazioni sotto indagine. Tale organizzazione vede tra i suoi sponsor le ambasciate di Olanda e Stati Uniti, l’Open Society di Soros e la sua potente organizzazione locale Batory Foundation, l’Ilga (organizzazione internazionale Lgbt) e l’Unione Europea.
A tentare una prima sortita per uscire dall’assedio internazionale è stato il ministro della Giustizia, Zbigniew Ziobro, che il 6 agosto in un’intervista al quotidiano Rzeczpospolita diceva che la “Polonia è vittima di un attacco brutale da parte delle istituzioni europee” e che “la convinzione che l’Ue sia uno zio buono e ci dia soldi, e che dovremmo perciò accettare tutte le sue richieste a tutti i costi, è una propaganda falsa… la Polonia non è disponibile a restare nell’Unione Europea a tutti i costi”. Un chiaro messaggio poi ripreso da molti quotidiani, siti di web news europei e internazionali. Lo stesso giorno la presidente della Corte Costituzionale polacca, Malgorzata Manowska, annunciava la sospensione sino al 15 novembre dei procedimenti pendenti alla Camera disciplinare nei confronti dei giudici, per introdurre modifiche legislative. Una decisione che bypassa la ‘tagliola’ del 16 agosto stabilita dalla Commissione Europea per dare inizio alla procedura di infrazione. La Presidente della Corte, nel sospendere la Camera disciplinare, ha chiesto norme per render più efficaci le azioni disciplinari verso i giudici.
La lettura che la stampa di opposizione ed europea hanno dato di questa decisione è ovviamente quella di una retromarcia, di un paese impaurito dalle minacce europee. A chiarire invece che la Polonia non è per nulla spezzata dai diktat del regime europeo è stato il vicepremier e leader dei conservatori Jarosław Kaczynski che il 7 agosto ha annunciato la volontà del governo di eliminare l’attuale Camera disciplinare, vista la scarsa efficacia delle norme e “in questo modo l’oggetto della controversia con l’Ue scomparirà”. Allo stesso tempo Kaczynski ha voluto ribadire però che non sono accettabili le sentenze dei tribunali europei che vanno oltre i Trattati ed espandono il loro potere giudiziario, omologatore e sovranazionale, in Europa.
Deluso uno dei leader dell’opposizione, quel Donald Tusk ad oggi sostenuto da Bruxelles, Washington e da tutte le lobby multinazionali Lgbt e abortiste, che confidava nella rottura tra Polonia ed Europa, nel diniego dei fondi europei a Varsavia, nella crisi della coalizione di governo e nelle elezioni anticipate. La procedura di infrazione sulla giustizia invece non potrà decollare e a settembre si dovranno inviare i danari per il Recovery Plan. Il voto di ieri sulle proprietà straniere dei mass media polacchi ‘stoppa’ anche i tentativi di condizionamento elettorale internazionali a favore delle opposizioni. Varsavia dice all’Occidente: noi siamo una democrazia e un paese cristiano, voi volete rispettarci o colonizzarci?